Trasferimento rifiutato, licenziamento legittimo: decisiva la nuova assunzione ‘forzata’. Secondaria, invece, la riduzione temporanea dell’organico aziendale

Considerate fondate le motivazioni addotte da una ditta l’incremento produttivo in uno stabilimento richiedeva lo spostamento di una persona. Il rifiuto opposto dal lavoratore è assolutamente illegittimo. Soprattutto perché il ‘buco’ è stato colmato d’emergenza dall’azienda, con un’assunzione ad hoc.

‘Battere il ferro finché è caldo ’, ovvero, per le imprese – soprattutto adesso che bisogna fare i conti con la crisi –, puntare capitali e manodopera laddove le prospettive – ossia gli obiettivi produttivi – sono migliori. E, di rimando, questa filosofia deve essere adottata anche dai lavoratori maggiore flessibilità, ovvero maggiore disponibilità a spostarsi e a spostare la propria sede operativa. Altrimenti il rischio è quello di perder tutto Cassazione, sentenza n. 20614, sezione Lavoro, depositata oggi . Irremovibile. Esemplare la vicenda vissuta da un lavoratore di una azienda italiana che opera nel settore dei cereali i vertici della ditta lo spostano in un nuovo stabilimento – distante circa 160 chilometri dalla sede ‘storica’ per il lavoratore –, il dipendente, però, rifiuta, ma ci rimette il posto di lavoro. La linea seguita dall’azienda, difatti, è tranchant licenziamento. E le motivazioni addotte a sostegno di questo provvedimento vengono ritenute legittime dai giudici, sia in primo che in secondo grado decisivo il niet del lavoratore all’ipotesi del trasferimento, certo, ma altrettanto rilevante è la effettività dell’incremento produttivo dell’unità lavorativa cui l’operaio era stato destinato. E significativo, a questo proposito, sostengono i giudici, è il fatto che, poi, una volta sancito il licenziamento, l’azienda abbia dovuto assumere un altro dipendente Esigenze aziendali. Secondo l’uomo, però, tale carenza a livello di manodopera, sostenuta dall’azienda, non era effettiva, non era verificata. Più precisamente, egli sostiene, dinanzi ai giudici di Cassazione, che era lapalissiana la mancata sostituzione presso la sede di destinazione, caratterizzata da una realtà imprenditoriale costituita complessivamente da una decina di dipendenti, che dimostrava l’inutilità, ai fini organizzativi e produttivi, della decisione di sostituirlo . E, in aggiunta, l’uomo afferma anche di aver rifiutato il trasferimento per il convincimento della illegittimità del provvedimento aziendale, non essendo apparse plausibili le esigenze tecnico-produttive a sostegno di tale decisione . Però i giudici di Cassazione, ricordando, in premessa, il potere datoriale di determinare il luogo della prestazione lavorativa e di trasferire il lavoratore da una unità produttiva ad un’altra , mostrano di condividere la linea già seguita in Tribunale e in Corte d’Appello, e di considerare concreta la necessità per la ditta di procedere a un incremento produttivo nella sede a cui era stato destinato il lavoratore. Altrettanto verificata, poi, la soluzione d’emergenza adottata dalla ditta, ossia assumere un altro operaio . Quadro chiarissimo, quindi, per i giudici, che non viene scalfito dall’osservazione mossa dal lavoratore licenziato, il quale aveva evidenziato una riduzione dell’organico complessivo dell’impresa in determinati periodi , e quadro che conduce alla conferma della legittimità del licenziamento adottato dall’azienda.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 ottobre – 22 novembre 2012, n. 20614 Presidente Lamorgese – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con sentenza del 19/6 - 13/9/08 la Corte d’appello di Brescia ha rigettato l’impugnazione proposta da L.M. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Cremona che gli aveva respinto la domanda diretta all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatogli il 7/3/2005 dalla società L. s.p.a. Tale licenziamento era seguito al rifiuto opposto in data 22/2/05 dal lavoratore al suo trasferimento da San Bassano, in provincia di Cremona, allo stabilimento modenese di Cavezzano, oltre che al suo atteggiamento di insubordinazione e provocazione tenuto nello stesso giorno ed alle assenze ingiustificate dal lavoro nei giorni successivi. Il Tribunale aveva ritenuto fondati il primo ed il terzo addebito e la Corte territoriale ha confermato che erano risultate provate sia la effettività dell’incremento produttivo dell’unità lavorativa modenese, sia l’esistenza del nesso di causalità tra il provvedimento di trasferimento e le ragioni della scelta imprenditoriale, tanto che a causa del rifiuto del ricorrente la società aveva dovuto assumere dopo il suo licenziamento un altro dipendente. Per la cassazione della sentenza propone ricorso L.M., il quale affida l’impugnazione ad un solo articolato motivo di censura. Resiste con controricorso la società L. s.p.a, che deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. Motivi della decisione Con un solo motivo di censura il ricorrente si duole dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. Il ricorrente, dopo aver premesso che il suo rifiuto ad accettare il trasferimento presso l’unità produttiva di Cavezzano era dipeso dal convincimento della illegittimità del provvedimento aziendale, non essendogli apparse plausibili le esigenze tecnico-produttive addette a sostegno di tale decisione datoriale, precisa che il fatto controverso rispetto al quale lamenta la carenza di motivazione nei termini sopra indicati, sarebbe rappresentato dalla contestata necessità, asserita, invece, dalla controparte, della sua sostituzione presso la sede di lavoro alla quale era stato destinato, il tutto a seguito del licenziamento disposto nei suoi confronti a causa del predetto rifiuto. A tal riguardo il ricorrente sostiene che se il giudicante avesse prestato maggior attenzione alla documentazione versata in atti avrebbe potuto accertare la sua mancata sostituzione presso la sede di destinazione, sede caratterizzata da una realtà imprenditoriale costituita complessivamente da una decina di dipendenti che dimostrava l’inutilità ai fini organizzativi e produttivi della decisione di sostituirlo. Il ricorso è infondato. Invero, va osservato che il potere datoriale di determinare il luogo della prestazione lavorativa e di trasferire il lavoratore da una unità produttiva ad un’altra è discrezionalmente esercitabile quando sussistano ragioni tecniche, organizzative e produttive per l’impresa, salvo che, per disposizione di contratto collettivo o individuale, nella fattispecie insussistente, non venga stabilito, con carattere vincolante per entrambe le parti, che la prestazione lavorativa debba essere effettuata in un determinato luogo. Nel caso in esame la Corte di merito ha avuto modo di accertare, nell’ambito dei suoi poteri di indagine correttamente esercitati, che realmente era sorta per la società la necessità di procedere ad un incremento produttivo presso la sede modenese di Cavezzano ove era stato disposto il trasferimento dell’odierno ricorrente, così come provato con documenti e testi adeguatamente apprezzati, e che effettivamente, a seguito del licenziamento di quest’ultimo, la stessa società aveva provveduto ad assumere un altro operaio, come comprovato attraverso il libro matricola, per cui finisce per rivelarsi non decisiva la dedotta e contrastata circostanza della riduzione dell’organico complessivo dell’impresa in determinati periodi, circostanza, questa, che secondo il ricorrente sarebbe incompatibile con la prospettata necessità di incremento della produzione. Oltretutto, come eccepito correttamente dall’intimata, dai documenti indicati da L.M., il cui contenuto è stato dal medesimo riprodotta nel presente ricorso, risulta che erano costantemente presenti in azienda nove lavoratori, per cui un tale dato contrasta con la tesi sostenuta dal medesimo ricorrente circa l’esistenza di una realtà produttiva costituita complessivamente da una decina di dipendenti. In ogni caso, il ricorrente non ha prodotto in giudizio i documenti che, a suo dire, avrebbero dovuto attestare la fondatezza della sua tesi in ordine al fatto che egli non sarebbe stato sostituito da altri lavoratori dopo il suo licenziamento. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio in € 2300.00 per compensi professionali ed in € 40.00 per esborsi, oltre I.V.A. e C.P.A. ai sensi di legge.