Reintegrazione ritrattata a favore dell’indennità sostitutiva

L’intimazione a riprendere servizio rivolta al lavoratore reintegrato non esclude il tempestivo esercizio dell’opzione per la prestazione indennitaria.

Il fatto. Un lavoratore, destinatario di un provvedimento giudiziale di nullità del licenziamento che statuiva la tutela risarcitoria ex articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, optava, in luogo della reintegrazione in servizio, per il pagamento dell’indennità sostitutiva ed azionava tale pretesa creditoria avverso il datore di lavoro, attraverso il procedimento monitorio. Il datore di lavoro, dal canto suo, proponeva formale opposizione al decreto ingiuntivo conseguito dal lavoratore, avanzando l’inesigibilità del credito azionato poiché il lavoratore era già stato intimato a riprendere servizio in ottemperanza alla reintegrazione nel posto di lavoro. Il tribunale rigettava l’opposizione del datore di lavoro e confermava il provvedimento monitorio parimenti accadeva in sede di gravame, ove la Corte di Appello statuendo la legittimità del comportamento del lavoratore, il quale, prima che il rapporto di lavoro venisse ricostruito in conseguenza della reintegrazione, optava per ricevere l’indennità sostitutiva, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro e tanto nel rispetto dell’anzidetta norma ex articolo 18 St. Lav. In sede di legittimità il datore di lavoro censura l’operato del giudice del gravame sotto il profilo logico-giuridico in quanto detto giudicante non avrebbe tenuto conto della portata e/o valore della comunicazione datoriale con cui veniva intimato al lavoratore di riprendere servizio, fatto, questo, cui conseguiva l’intempestività della richiesta dell’indennità sostitutiva pretesa dal lavoratore medesimo. Qual è il momento in cui il rapporto di lavoro si ritiene ricostruito? La Suprema Corte di Cassazione disattendendo quanto argomentato dal datore di lavoro, chiarisce come solo, con l’effettivo reinserimento in azienda del lavoratore si ricostruisce il rapporto di lavoro, ciò comporta quindi che fino a quel momento il lavoratore può optare ex articolo 18 D.Lgs.300/1970 per la corresponsione dell’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro, di talchè, appare corretto quanto statuito dalla Corte territoriale in sede di gravame. Parte datoriale eccepisce, altresì, la violazione e/o falsa applicazione della norma ex articolo 18 St. Lavoratori formulando al riguardo, precipuo quesito di diritto contestando la liceità della ritrattazione ex-post operata dal lavoratore con riferimento alla scelta di aderire alla reintegrazione nel posto di lavoro oppure di pretendere l’indennità pecuniaria. L’obbligazione derivante dal dictum giudiziale dichiarativo della nullità del licenziamento, è caratterizzata dal lato attivo, dal potere del creditore, quindi del lavoratore, di scegliere tra due prestazioni tra loro alternative. Nel caso di specie, la Corte Territoriale ha puntualmente osservato come la predetta comunicazione datoriale si risolveva in un invito ricolto al lavoratore di riprendere servizio, ma, la stessa non inibiva il potere del lavoratore medesimo di richiedere l’adempimento della prestazione alternativa consistente nel pagamento della predetta indennità sostitutiva. Illegittimità del licenziamento Obbligazione alternativa o obbligazione facoltativa. I giudici di appello hanno quindi, correttamente ricondotto lo schema obbligatorio derivante dalla nullità del licenziamento a quello delle obbligazioni alternative ex articolo 1285 c.c. ed all’uopo, hanno peraltro puntualmente applicato un orientamento giurisprudenziale consolidato dalla medesima Corte di Cassazione, secondo il quale l’obbligazione alternativa contiene due o più prestazioni parimenti ed autonomamente idonee a liberare il debitore dal vincolo obbligatorio, al verificarsi dell’adempimento di una sola di esse a scelta del creditore medesimo e tale scelta diviene irrevocabile unicamente a seguito della manifestazione di volontà operata dal creditore, ovvero nel caso di specie del lavoratore. Diversamente si atteggia la c.d. obbligazione facoltativa dove, accanto alla prestazione principale se ne aggiunge un’altra, c.d. facoltativa” rimessa alla scelta del creditore che però, può optarvi solamente fino a quando il debitore non adempie la prestazione principale. L’illegittimità del licenziamento, pertanto, rileva ai sensi dell’articolo 18 St. Lav.ri L.300/1970 in concreto quale fatto costitutivo di un’obbligazione alternativa” e non facoltativa” in virtù della quale, spetta al creditore ossia al lavoratore scegliere se richiedere la prestazione del fare infungibile consistente nella reintegrazione in servizio oppure l’alternativa prestazione pecuniaria.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 ottobre – 16 dicembre 2011, n. 27205 Presidente Amoroso – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, rigettava l'opposizione proposta dalla società Impresa Carchella al decreto ingiuntivo emesso su istanza di R. per la somma di Euro 20634,90 richiesta a titolo d'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro di cui alla precedente sentenza del 18 marzo 2003 con la quale era stata dichiarata la illegittimità del licenziamento intimato dalla predetta società. La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede,riteneva che ancorché il R. avesse - con atto di precetto - chiesto, a seguito della sentenza dichiarativa dell'illegittimità del licenziamento, oltre al risarcimento dei danni anche la reintegrazione nel posto di lavoro ben poteva - in assenza di effettiva reintegrazione - richiedere l'indennità sostitutiva di cui all'art. 18 della legge n. 300 del 1970, avendo egli avanzato la relativa istanza nel termine di trenta giorni dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio. Avverso questa sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di due censure precisate da memoria. Resiste con controricorso la parte intimata. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso la società, deducendo vizio di motivazione, indica, ai sensi dell'art. 366 bis cpc, quale fatto controverso l'atto di significazione e comunicazione con il quale la società aderendo alla richiesta del R. di essere reintegrato gli intimava di riprendere, senza dilazione, servizio con conseguente ripristino del rapporto di lavoro e tardività della richiesta d'indennità per essere stata la stessa avanzata dopo la ricostituzione del rapporto di lavoro. Assume la società che la Corte del merito ha del tutto trascurato l'avvenuta esecuzione della reintegrazione prima della richiesta dell'indennità sostituiva da parte del lavoratore. La censura è infondata. Invero la Corte del merito nell'affermare che ove il lavoratore abbia manifestato l'intenzione di chiedere la reintegrazione nel posto di lavoro, fintantoché la medesima reintegrazione non abbia avuto esecuzione, può optare per l'indennità di 15 mensilità , ha ritenuto correttamente - che il mero invito riprendere servizio non costituisce esecuzione dell'obbligo scaturente dal dictum della sentenza - di reintegrazione nel posto di lavoro realizzandosi questo esclusivamente con l'effettivo reinserimento del lavoratore nel suo posto di lavoro. Con la seconda critica la società, denunciando violazione dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970, formula, ex art. 366 bis cpc, il seguente quesito se il lavoratore che abbia richiesto la reintegrazione in servizio e che sia stato integrato dal datore di lavoro, possa, successivamente,ritrattare la propria scelta e domandare l'indennità sostitutiva . La censura non è accoglibile. Infatti il quesito di diritto muove dal presupposto che, nella specie, il lavoratore sia stato reintegrato nel posto di lavoro, mentre di contro, come sottolineato nell'esame del motivo che precede, il datore di lavoro si è limitato, nella specie, ad invitare il lavoratore a prendere servizio, ma a tale invito non è seguito l'effettivo ripristino del rapporto di lavoro. È, quindi, corretta la sentenza impugnata che si è adeguata alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’obbligazione alternativa, ai sensi dell’art. 1285 e segg. cod. civ., presuppone l'originario concorso di due o più prestazioni, poste in posizione di reciproca parità e dedotte in modo disgiuntivo, nessuna delle quali può essere adempiuta prima dell'indispensabile scelta di una di esse, scelta rimessa alla volontà di una delle parti e che diventa irrevocabile con la dichiarazione comunicata alla controparte. L'obbligazione cosiddetta facoltativa, invece, postula un'obbligazione semplice, avente ad oggetto una prestazione principale, unica e determinata fin dall'origine, nonché, accanto a questa, una prestazione facoltativa - della cui effettiva ed attuale esigibilità il creditore optante abbia piena consapevolezza - dovuta solo in via subordinata e secondaria qualora venga preferita dal creditore stesso e costituisca quindi l'oggetto di una sua specifica ed univoca opzione, opzione che, peraltro, può essere esercitata solo fino al momento in cui non vi sia stato l'adempimento della prestazione principale Cass. 17 novembre 1995 n. 11899 e Cass. 16 agosto 2000 n. 10853 . Difatti è ius receptum che la richiesta del lavoratore illegittimamente licenziato di ottenere, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, l'indennità prevista dall'art. 18, quinto comma, legge n. 300 del 1970, costituisce esercizio di un diritto derivante dall'illegittimità del licenziamento, riconosciuto al lavoratore secondo lo schema dell'obbligazione con facoltà alternativa ex parte creditoris , nel senso che, in luogo della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, che è l'unica prestazione a cui è tenuto il datore di lavoro in conseguenza dell'illegittimità del licenziamento irrogato, il lavoratore può optare per la corresponsione della indennità di cui alla citata norma v. oltre a Corte Costituzionale 4 marzo 1992 n. 81, Cass. 13 agosto 1997 n. 7581, Cass. 16 ottobre 1998 n. 10283, Cass. 8 aprile 2000 n. 4472, Cass. 12 giugno 2000 n. 8015, Cass. 26 agosto 2003 12514 nonché, tra le tante, Cass. 16 marzo 2009 n. 1642 . Il ricorso in conclusione va respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 tremila/00 per onorario oltre spese generali, IVA e CPA.