L’esposizione alle polveri di amianto ""storicizza"" i doveri del datore in tema di tutela delle condizioni di lavoro

L’insussistenza di responsabilità oggettiva in capo al datore non legittima però l’inversione dell’ onus probandi in relazione all’articolo 2087 c.c. a danno del lavoratore.

Il fatto. I prossimi congiunti di un lavoratore del settore industriale, purtroppo deceduto nell’anno 2000 per una neoplasia polmonare contratta durante ed a causa del pregresso rapporto di lavoro subordinato, intecorso con azienda privata di rilevanza nazionale e risalente al ventennio 1963-1984, convenivano in giudizio la predetta azienda azionando una tutela risarcitoria, attribuendo ad essa società la responsabilità della malattia contratta dal loro comune dante mortis-causa , poiché il datore di lavoro non aveva adempiuto l’obbligo ex articolo 2087 c.c. ovvero nel caso di specie, non aveva apprestato e/o approntato le misure di salvaguardia e di sicurezza idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore impiegato in lavorazioni esposte al rischio della polverizzazione delle fibre di amianto. Il Tribunale rigettava però la domanda, sul presupposto della carenza probatoria circa l’inadempimento del datore di lavoro verso gli obblighi sanciti dalla normativa sulla sicurezza negli ambienti di lavoro, in relazione ai rischi connessi all’utilizzazione dell’amianto, considerando altresì, che all’epoca del rapporto di lavoro 1963-1984 la legge non vietava l’utilizzazione dell’amianto e la scienza” non aveva ancora scoperto alcuna pericolosità di tale sostanza. In sede di gravame, i prossimi congiunti lamentavano che il giudice di prime cure aveva invertito il regime dell’onere probatorio con riferimento all’obbligo datoriale ex articolo 2087 c.c. ponendolo iniquamente ed illegittimamente a carico del lavoratore e, quindi, a carico di essi eredi ed inoltre facevano rilevare come l’oggettiva ignoranza circa la sussistenza di un nesso di causalità tra le neoplasie polmonari e l’amianto non escludeva però il dovere del datore di lavoro di adottare le misure di protezione per l’asbestosi patologia polmonare cronica conseguente all'inalazione di fibre di asbesto . Pericolosità dell’amianto e id quod plerumque accidit circoscrivono in concreto l’obbligo astratto ex articolo 2087 c.c. Infatti, di tale fenomeno degenerativo causato dalle polveri di fibre di amianto si aveva contezza scientifica” già anteriormente agli anni ’70, pertanto l’imprenditore usando la dovuta diligenza misurata sul parametro oggettivo del corso ordinario degli eventi in virtù del quale, tenuto conto della conoscenza delle conseguenze nocive per la salute derivanti dalla dispersione nell’ambiente delle polveri di amianto, ben si sarebbe potuto e dovuto apprestare delle misure di sicurezza per rendere i relativi ambienti di lavoro consoni e conformi alla normativa ex-articolo 2087 c.c. L’epilogo del giudizio di appello confermava, tuttavia, il dictum del giudice di prime cure infatti i giudici di appello sostenevano che quand’anche la malattia mortale del lavoratore fosse stata contratta durante il pregresso rapporto di lavoro 1963-1984 , ammettendo quindi una relazione di probabilità tra prestazione lavorativa e malattia, non risultava comunque provato da parte dei ricorrenti che l’evento dannoso sarebbe dipeso dalla violazione da parte del datore di lavoro delle norme di prevenzione dirette ad evitare la dispersione delle fibre di amianto nell’ambiente di lavoro. La Corte di appello riteneva quindi che i ricorrenti avrebbero dovuto non solo fornire adeguata prova circa il nesso eziologico tra malattia ed ambiente di lavoro, ma addirittura avrebbero dovuto provare la colpa” del datore di lavoro circa il mancato adeguamento alle norme di sicurezza dell’ambiente di lavoro secondo la comune esperienza dell’epoca 1963-1984 della pericolosità per la salute delle polveri di amianto. La comune-esperienza è un dato oggettivo. La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla questione per impugnazione della sentenza di appello sempre a cura dei prossimi congiunti del lavoratore, ha sconfessato l’operato dei giudici di merito, statuendo in diritto che la norma ex articolo 2087 c.c. pur non stabilendo una sorta di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro è istitutiva comunque di un obbligo a carico di costui, a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, apprestando un ambiente di lavoro sicuro e dignitoso sulla scorta della comune esperienza data dalla conoscenza delle cose da parte dell’uomo dotato di media cultura . La Cassazione ha infatti ribadito come in tema di responsabilità per fatto illecito, spetti sicuramente al danneggiato l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto obbligatorio al risarcimento, quindi nel caso di specie, la causalità tra prestazione lavorativa espletata e malattia contratta, però, combinando tale riparto dell’onere probatorio al predetto obbligo datoriale ex articolo 2087 c.c. si comprende come, ricada sul datore di lavoro il rispettivo onere di provare di aver esattamente adempiuto l’obbligo di dotare l’ambiente di lavoro delle misure di sicurezza idonee a garantire al lavoratore medesimo l’integrità fisica e la dignità morale. Più precisamente, l’assolvimento di tale onere probatorio, con riferimento alle lavorazioni svolgentesi in luoghi prossimi ad utilizzazioni di amianto, si deve rappresentare storicizzando” il precetto contenuto nella norma 2087 c.c. e, quindi, fermo restando che rientra nella comune esperienza il dato della pericolosità della inalazione delle polveri delle fibre di amianto già in epoca anteriore agli anni ‘70, il datore di lavoro deve dimostrare come l’ambiente di lavoro sia stato sempre organizzato e/o allestito con modalità consone sotto il profilo tecnico a scongiurare l’insorgenza di conosciute conseguenze dannose derivanti dalle esposizioni all’amianto. Il S.C. nomofilattico ha accolto, pertanto, il ricorso dei prossimi congiunti del lavoratore, provvedendo soltanto in merito al giudizio rescindente ad annullare la sentenza impugnata e rinviando per la fase rescissoria ovvero per l’adozione del provvedimento sul merito, ad altra Corte di Appello che deciderà anche sulle spese di giustizia.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 novembre – 14 dicembre 2011, n. 26879 Presidente Ianniello – Relatore Curzio Fatto e diritto 1. M G. e M T. , rispettivamente moglie e figlio di M T., deceduto il omissis a causa di un mesotelioma pleurico maligno epiteliode , convennero in giudizio Ansaldo Energia spa, esponendo che il loro congiunto aveva contratto la malattia che lo aveva condotto alla morte per aver lavorato dal 21 gennaio 1963 al 30 settembre 1984 alle dipendenze di Ansaldo, che doveva essere ritenuta responsabile a causa delle sue inadempienze in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro. La società Ansaldo chiamò in causa le società assicuratrici Assicurazioni generali spa, SASA Assicurazioni, Assitalia le assicurazioni d'Italia spa per essere manlevata in caso di soccombenza. 2. Il Tribunale di Genova, esperita l'istruttoria, respinse il ricorso per mancanza di prova della mancata adozione da parte del datore di misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore con riguardo ai rischi connessi alla mancata utilizzazione dell'amianto. 3. La Corte d'appello di Genova ha confermato la decisione. 4. M G. e M T. hanno proposto ricorso per cassazione. Ansaldo Energia spa e Assicurazioni generali spa si difendono con controricorso. I ricorrenti e l'Ansaldo hanno anche depositato una memoria. 5. Il ricorso per cassazione si articola in due motivi. 6. Con il primo si denunzia violazione ex art. 360 punto 5 in relazione all'art. 2087, 1218, 2697 cc . Con il secondo motivo si denunzia violazione dell'art. 2087 cc, nonché dell'art. 21 dpr 19 marzo 1956 n. 303. 7. Il ricorso deve essere accolto. 8. La Corte di Genova articola i seguenti passaggi argomentativi A è provato che il signor T. morì il omissis a causa di un mesotelioma pleurico maligno epiteliode malattia professionale indennizzata dall'INAIL. B I ricorrenti assumono che il loro congiunto, avendo lavorato dal 21 gennaio 1963 al 30 settembre 1984 alle dipendenze dell'Ansaldo, aveva contratto la malattia a causa del lavoro. C Il Tribunale di Genova esperite le prove testimoniali rigettò il ricorso per mancanza di prova dell'inadempimento da parte del datore di lavoro di misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore con riguardo ai rischi connessi alla utilizzazione dell'amianto. D Tale utilizzazione all'epoca del rapporto di lavoro del T. 1963-1984 non era vietata e le conoscenze circa la sua pericolosità erano scarse. E La decisione di primo grado fu appellata dai congiunti del lavoratore, per due motivi con il primo si sosteneva che il Tribunale aveva invertito l'onere della prova, ponendolo a carico del lavoratore ricorrente. Con il secondo si assumeva che l'affermazione del primo giudice sulla mancanza di conoscenza all'epoca dei fatti del rapporto di causalità tra amianto e mesotelioma, non escludeva il dovere del datore di lavoro di adottare le misure di protezione per l'asbestosi. 9. La Corte d'appello ha rigettato entrambi i motivi di appello richiamando i principi di distribuzione dell'onere della prova in materia di art. 2087 cc fissati dalla giurisprudenza ed affermando che, nel caso in esame, se anche poteva ritenersi probabile che il lavoratore avesse contratto la malattia durante il lavoro, tuttavia non poteva dirsi provato che tale evento dovesse essere imputato alla violazione da parte del datore di lavoro di norme di prevenzione dirette ad evitare la dispersione di fibre di amianto nell'ambiente di lavoro. Ai ricorrenti incombeva provare che la mancata adozione di misure di prevenzione fosse imputabile a colpa del datore di lavoro il quale ne aveva consapevolmente ignorato la pericolosità, che avrebbe dovuto essere a lui nota secondo le conoscenze allora disponibili e la qualificata diligenza alla quale era tenuto. Quanto poi alla adozione di misure a protezione delle polveri da amianto finalizzate a tutelare il lavoratore contro la asbestosi, secondo la Corte occorre dare la prova non solo della omissione delle misure, ma anche delle loro efficacia preventiva rispetto a quello specifico rischio. 10.La Corte ha ritenuto probabile che il T. abbia contratto il mesotelioma durante l'attività lavorativa , tuttavia ha rigettato l'appello perché non può dirsi provato che tale evento debba essere imputato alla violazione da parte del datore di lavoro di norme di prevenzione dirette ad evitare la dispersione di fibre di amianto nell'ambiente di lavoro . 11. Ma tale conclusione non viene raggiunta sulla base di una analitica e motivata valutazione della prova acquisita nel processo, bensì in applicazione dei principi sull'onere della prova. La Corte ha affermato infatti che gravava sul lavoratore in questo caso i suoi congiunti, essendo egli deceduto non solo provare che la malattia fosse stata cagionata dall'ambiente di lavoro prova che la Corte ritiene acquisita , ma anche che vi sia stata colpa del datore per non avere adeguato il sistema di prevenzione secondo le conoscenze all'epoca disponibili circa la pericolosità dell'amianto . 12. Quest'ultima affermazione, da cui deriva la decisione di rigetto dell'appello e di conferma della sentenza di rigetto della domanda, viola le norme indicate nel ricorso per cassazione. 13. I congiunti del lavoratore devono sicuramente provare che la morte è avvenuta a causa del mesotelioma e devono provare che tra il lavoro svolto e il mesotelioma sia intercorso un nesso di causalità, quanto meno in termini di concausalità. E una prova impegnativa, anche perché, contrariamente a quanto avviene in ambito INAIL, non operano presunzioni circa la natura professionale della malattia quando la stessa, il lavoro ed il periodo di tempo trascorso rientrino nelle previsioni tabellari. Ma l'onere a carico dei ricorrenti si ferma una volta raggiunto questo livello di prova. 14. L'art. 2087 c.c. dispone L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro . 15.Tale norma non comporta una responsabilità di natura oggettiva, ma pone un obbligo a carico del datore di lavoro. Di conseguenza la prova dell'adempimento di tale obbligo, e cioè di aver adottato le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica del lavoratore, è a carico del datore di lavoro. 16. Se il periodo di lavoro ed il processo di incubazione della malattia sono risalenti nel tempo, come in questo caso 1963-1984 , dovrà tenersi conto del grado di conoscenze dell'epoca, storicizzando il livello di esperienza e di tecnica richiesto dalla norma e verificando il rispetto delle norme a tutela delle malattie professionali e dell'igiene sul lavoro vigenti all'epoca. Ma la prova è comunque a carico del datore di lavoro sul grado di conoscenze circa il rischio amianto in un periodo analogo a quello qui considerato, cfr. Cass. 23 maggio 2003 n. 8204, che si occupò di un rapporto di lavoro iniziato nel 1968 e conclusosi nel 1983, confermando le decisioni di condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni conseguenti ad un mesotelioma contratto a causa di tale lavoro da ultimo, cfr. Cass. 21 aprile 2011 n. 9238 . 17. La sentenza della Corte d'appello di Genova non ha seguito questi principi e deve pertanto essere annullata con rinvio ad altro giudice che dovrà valutare la controversia alla luce dei criteri di distribuzione dell'onere della prova su specificati. Il giudice di rinvio deciderà anche in ordine alle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d'appello di Torino, anche per le spese.