L’imprenditore che di fatto fruisce della prestazione lavorativa assume lo status di datore di lavoro

Anche nel contesto delle Holding e/o gruppi di imprese vale la regola della coincidenza tra datore di lavoro ed effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa.

Il fatto. Un dirigente che riteneva di aver prestato la sua attività professionale alle dipendenze e sotto il controllo di una società capogruppo, nell’ambito di una fattispecie di impresa complessa, ricorreva al giudice del lavoro per ottenere, previa dichiarazione di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la società predetta, la realizzazione dei diritti obbligatori ivi derivanti riconducibili all’intero svolgimento dell’attività lavorativa e non limitatamente al periodo di attività dirigenziale non ottenendo giustizia in primo grado, proponeva appello e la Corte territoriale in accoglimento del gravame riformava la sentenza del giudice di prime cure. La società-datrice di lavoro impugnava la sentenza di merito in Cassazione, lamentandosi del fatto che i giudici di appello non avevano saputo fare un uso diligente dei canoni ermeneutici negoziali, nell’interpretare un accordo transattivo, poichè non avevano colto, attraverso le proposizioni volitive negoziali in esso contenute, il valore definitivamente estintivo di ogni pretesa azionata in giudizio dal lavoratore e derivante dal pregresso rapporto di lavoro. La Corte di Cassazione ha ritenuto, invece, correttamente motivata la sentenza di appello relativamente all’accertamento del contenuto del contratto di transazione dedotto in giudizio. Invero, è risaputo che in sede di legittimità non si può procedere alla ricostruzione ex novo del c.d. fatto storico sostanziale, che nel caso di specie consisterebbe nel ricercare direttamente la disciplina negoziale del rapporto giuridico patrimoniale contenuta nell’anzidetto contratto applicando i criteri interpretativi dei contratti, ossia il criterio letterale e quello della comune volontà delle parti e della buona fede, dovendosi limitare la Cassazione a verificare se esistono delle contraddizioni oppure delle insufficienze nel ragionamento seguito dai giudici di appello nell’applicazione concreta dei predetti criteri ermeneutici. Classificazione dei canoni ermeneutici negoziali. Ebbene, anche in materia di ermeneutica contrattuale, al pari dell’interpretazione delle leggi, esiste una gradazione tra i rispettivi canoni ermeneutici riferita su base gerarchica precisamente in materia contrattuale, il canone ermeneutico prevalente è quello del criterio letterale, in virtù del quale se dalla combinazione logica delle parole usate dai contraenti nella redazione per iscritto delle rispettive clausole, ossia le proposizioni volitive, risulta chiara la volontà degli stessi, alcuna indagine interpretativa ulteriore è tenuto a compiere l’interprete, ossia in sede contenziosa, il giudice. Laddove, invece, il senso letterale ingenerasse confusione perché condurrebbe alla determinazione di diversi significati anche tra loro divergenti e/o contrastanti, l’interprete è tenuto a utilizzare i criteri secondari e sussidiari conosciuti, come la comune volontà delle parti e la buona fede contrattuale. Nella sentenza in commento la Suprema Corte ha ritenuto che i giudici di appello hanno fatto buon uso dei predetti criteri, in quanto dalla motivazione e quindi dall’ iter logico-giuridico riepilogato nella sentenza, ben si comprende come attraverso l’esame diretto delle clausole approvate dai contraenti nell’allegata transazione, si rileva una volontà comune di considerare tacitata ogni pretesa del lavoratore solamente con riferimento al solo rapporto di lavoro a contenuto dirigenziale e non invece con riferimento alla tacitazione di ogni pretesa economica riconducibile all’intero svolgimento del rapporto di lavoro. Relativamente alla seconda ed ultima doglianza dedotta dalla società ricorrente, circa un vizio di motivazione inficiante la sentenza di appello con riferimento ad una insussistente fattispecie di illecita interposizione di manodopera, il Supremo Consesso ha disatteso anche tale vizio, offrendo una compiuta analisi del tema del contratto di lavoro nell’ambito della realtà dell’integrazione di impresa. Prestazioni di lavoro e fattispecie di impressa a struttura complessa. In genere va individuato come datore di lavoro l’imprenditore esercente l’attività di impresa sia in forma individuale che collettiva che, di fatto, diriga, utilizzi e si avvalga della prestazione lavorativa del lavoratore, ovvero ne sia l’effettivo destinatario questa regula iuris è sopravvissuta anche all’entrata in vigore del D.Lgs. 267/2003 introduttivo di fattispecie di appalti di manodopera, ponendosi rispetto ad essa, in un rapporto di genere a specie”, perché la prima normativa rimane quella generale, mentre la seconda concerne la previsione di tipiche” fattispecie interpositorie in deroga e come tali aventi natura eccezionale. Ciò posto, non può escludersi che, nel contesto delle cc.dd. fattispecie di impresa a struttura complessa” quali ad esempio i gruppi di società la figura del datore di lavoro possa passare da una concezione realistico-unitaria” ad una ideale-plurisoggettiva”, cui consegue l’insorgenza di una coobbligazione solidale, in capo a ciascuna società costituente il gruppo, delle obbligazioni retributive, contributive, previdenziali e risarcitorie derivanti dal rapporto di lavoro subordinato. Entro quali limiti la capogruppo può intervenire nella gestione delle società controllate, in nome dell’interesse unitario di gruppo? Tale fenomeno si verifica allorquando la rilevanza del c.d. interesse unitario di gruppo” consistente nell’aspirazione al conseguimento di uno scopo comune che trascende l’interesse delle singole società esponenziale solamente dell’aspirazione dei singoli soci al conseguimento di un utile attraverso l’esercizio in comune dell’attività di impresa si pone in rapporto diretto” e non semplicemente riflesso” rispetto all’adempimento di quelle obbligazioni funzionali alla realizzazione del predetto interesse unitario, tra cui anche quelle inerenti la gestione della forza lavoro delle imprese collegate. Pertanto, quando la società capogruppo si limita ad impartire direttive di direzione e coordinamento alle società da essa controllate e/o collegate in virtù di un raccordo di tipo economico-funzionale, l’interesse della stessa all’adempimento dei predetti obblighi funzionali è solamente mediato e/o riflesso, quindi non si può giustificare alcun mutamento plurisoggettivo” nella posizione contrattuale imputata alla parte-datoriale nel contratto di lavoro subordinato. Occorre analizzare il grado di ingerenza della capogruppo nello svolgimento dei rapporti di lavoro interni alle varie società. Diversamente, invece, se il predetto interesse unitario di gruppo”, coltivato dalla società capogruppo, è diretto” rispetto ad esempio alla gestione della forza lavoro delle società controllate, perché le prestazioni lavorative sono funzionali al conseguimento del predetto interesse, bisogna distinguere il tipo di ingerenza che la società capogruppo espleta su tali rapporti di lavoro, in quanto se l’ingerenza è riferibile soltanto alle direttive di coordinamento verso le società controllate e/o collegate allora il singolo rapporto di lavoro presso la società controllata non avrà alcuna rilevanza nel contesto del gruppo”, mentre invece se l’ingerenza della capogruppo sarà tale da determinare le modalità esecutive della prestazione lavorativa nonché il distacco dello stesso dipendente presso altra sedi e addirittura la data del suo licenziamento, allora il tutto si rifletterà in una figura patologica” di integrazione societaria che si traduce un una illecita interposizione di manodopera. Nel caso di specie la S. C. ha statuito che la Corte territoriale ha correttamente accertato in punto di fatto che la società-datoriale capogruppo ha avuto un’ingerenza idonea ad annullare l’autonomia organizzativa delle società controllate, quindi la responsabilità del rapporto di lavoro dedotto in giudizio va utilmente imputata ad essa società quale effettiva destinataria della prestazione lavorative del lavoratore. Se l’ingerenza della capogruppo eccede il ruolo di coordinamento e gestione, essa diventa datore di lavoro. All’uopo la Suprema Corte ha statuito il seguente principio di diritto In presenza di un gruppo di società, la concreta ingerenza della società capogruppo nella gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle società del gruppo, che ecceda il ruolo di direzione e coordinamento generale alla stessa spettante sul complesso delle attività delle società controllate, determina l’assunzione in capo alla società capogruppo della qualità di datore di lavoro, in quanto soggetto effettivo utilizzatore della prestazione e titolare dell’organizzazione produttiva nella quale l’attività lavorativa si è inserita con carattere di subordinazione .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 – 29 novembre 2011, n. 25270 Presidente Roselli – Relatore Meliadò Svolgimento del processo Con sentenza in data 7.6/11.7.2007 la Corte di appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, dichiarava sussistere fra R B., la Fiat Group Automobiles spa già Fiat Auto spa e la Fiat partecipazioni spa un rapporto di lavoro subordinato con riferimento al periodo 1.8.1982/31.3.1987. Osservava in sintesi la Corte territoriale che, in tale periodo, la Fiat Auto aveva in concreto gestito l'attività lavorativa del B., sia sotto l'aspetto organizzativo, che gerarchico ed economico, ed aveva usufruito delle relative prestazioni, assumendo nei confronti dello stesso la veste di effettivo datore di lavoro, in luogo della società controllata estera la Fiat of Australia pty limited che lo aveva formalmente assunto. Per la cassazione della sentenza propongono ricorso la Fiat Group Automobiles spa già Fiat Auto spa e la Fiat partecipazioni spa con due motivi. Resiste con controricorso R B. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell'art. 360 n. 3 cpc, le società ricorrenti lamentano violazione degli artt. 1362 e 1363 cc, osservando che fra le parti era intervenuto un accordo transattivo al fine di prevenire l'insorgere di .controversie connesse all'intercorso rapporto di lavoro a contenuto dirigenziale . e che una corretta lettura di tale testo contrattuale avrebbe dovuto indurre la Corte a considerare che con lo stesso le parti avevano inteso definire ogni pretesa retribuiva e risarcitoria connessa all'intera carriera professionale del dipendente, e non solo al periodo in cui lo stesso aveva svolto funzioni dirigenziali. Con il secondo motivo, prospettando violazione di legge art. 360 n. 3 cpc in relazione agli artt. 2697, 2094 cc e all'art. 1 della legge n. 1369 del 1960 e vizio di motivazione, osservano che la corte territoriale aveva ritenuto come sintomatici della sussistenza della fattispecie interpositoria elementi che, in realtà, nulla provavano in merito all'assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo e gerarchico della Fiat Auto, dal momento che i documenti presi in considerazione attestavano solo l'interesse dell'azienda alla prestazione del lavoratore interesse connaturale al ruolo di coordinamento e di direzione strategica svolto dalla Fiat Auto nell'ambito della struttura di gruppo e tale da rendere del tutto fisiologica l'ingerenza della stessa nella vita delle società consociate. 2. Il primo motivo è procedibile, avendo le società ricorrenti provveduto a trascrivere il testo dell'atto transattivo contestato e a indicarlo nella sua esatta collocazione nell'ambito dei fascicoli di causa, così soddisfacendo l'onere imposto dall'art. 366, primo comma, n. 6 cpc, novellato dal decr. leg.n. 40 del 2006, che, oltre a richiedere l'indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso e, quindi, la descrizione specifica di tali atti secondo il canone dell'autosufficienza del ricorso per cassazione cfr. ad es. Cass. n. 18854/2010 , esige, altresì, che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto tale prescrizione va correlata all'ulteriore requisito di procedibilità di cui all'art. 369 secondo comma n. 4 cpc, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta, qualora il documento sia stato prodotto, nella fase di merito, dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo dello stesso, mediante la produzione del fascicolo, purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile ovvero, qualora il documento sia stato prodotto dalla controparte, mediante indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di tale parte cfr. SU ord n. 7161/2010 . E risulta, altresì, ammissibile, con riferimento al tema di indagine relativo al rispetto dei canoni di ermeneutica legale, tenuto conto del contenuto stresso della sentenza impugnata, che, al fine di escludere la rilevanza dell'atto transattivo, ha dato ingresso ad un profilo diverso da quello preso in considerazione dai giudici di primo grado, che le società ricorrenti hanno in conseguenza censurato. 3. Nel merito, tuttavia, il motivo è infondato. Giova, al riguardo, premettere, in conformità al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che l'interpretazione degli atti negoziali implica un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, che, come tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale art. 1362 ss cc in relazione all'art. 360 n. 3 cpc ovvero per vizio di motivazione art. 360 n. 5 cpc , fermo l'onere del ricorrente di indicare specificamente il modo in cui l’interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica o la motivazione relativa risulti obiettivamente carente o logicamente contraddittoria, non potendosi, invece, limitare a contrapporre interpretazioni o argomentazioni alternative o, comunque, diverse rispetto a quelle proposte dal giudice di merito, non potendo il controllo di logicità del giudizio di fatto risolversi in una revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata. In tal contesto, poi, i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia, in forza del quale i canoni strettamente interpretativi artt. 1362 1365 cc prevalgono su quelli interpretativi integrativi art. 1366-1371 cc e ne escludono la concreta operatività, quando l'applicazione degli stretti canoni interpretativi risulti, da sola, sufficiente per rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti. Nell'ambito, poi, dei canoni strettamente interpretativi, risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole art. 1362 comma 1 cc , con la conseguenza che, quando quest'ultimo risulti sufficiente, l'operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente conclusa, mentre, in caso contrario, il giudice può, in via sussidiaria e gradatamente, ricorrere agli altri, al fine di identificare, nel caso concreto, la comune intenzione delle parti contraenti v. ex plurimis ad es Cass. n. 23273/2007 Cass. n. 20660/2005 Cass. n. 7548/2003 . Di tali principi la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione, avendo individuato nel testuale e ripetuto riferimento all’ intercorso rapporto di lavoro a contenuto dirigenziale , quale oggetto dell'accordo transattivo, l'impossibilità di ritenere transatta ogni pretesa connessa all'intero svolgimento del rapporto di lavoro. L'interpretazione cui è pervenuta la corte territoriale, sulla base del significato letterale delle parole del testo negoziale, sono contestate dalle ricorrenti allegando che la corte di merito avrebbe trascurato totalmente nella motivazione il riferimento all' intercorso per focalizzare l'attenzione sulla parte successiva della frase che richiama il contenuto dirigenziale sul presupposto che, in realtà, il riferimento sarebbe al vissuto lavorativo complessivo del dipendente .comprensivo pertanto del periodo anteriore al 1995 in cui .ha lavorato in categorie sub dirigenziali , ma senza specificare sotto quale aspetto l'utilizzazione del prioritario criterio dell'interpretazione letterale risulti illogica o contraddittoria o incompatibile con i canoni legali che presiedono all'interpretazione dei contratti. Con la conseguenza che il ricorso, in quanto volto solo a prefigurare una diversa opzione interpretativa, senza sminuire, tuttavia, la adeguatezza logica e normativa di quella adottata dai giudici di merito, non risulta, pertanto, idoneo a contrastare l'accertamento da questi ultimi operato. 4. Anche il secondo motivo sebbene ammissibile, per denunciare le società ricorrenti l'adeguatezza degli elementi sintomatici presi in considerazione, e puntualmente descritti, dai giudici di merito ai fini della ricostruzione della fattispecie interpositoria, e non precluso da alcuna autonoma statuizione, rimasta priva di impugnazione è, nel merito, infondato. 5. Ravvisato lo snodo decisivo della causa nella individuazione del soggetto destinatario delle prestazioni, la corte di merito ha accertato, in punto di fatto, che la Fiat Auto, conferita al B. la posizione di direttore generale del Sud Est Asia, aveva richiesto alla Fiat of Australia di emettere una lettera funzionale al conseguimento del suo permesso di soggiorno a Singapore , in cui si attestava che sarebbe stato iscritto nei libri paga della Fiat of Australia e che gli sarebbe stato corrisposto da quest'ultima il salario mensile, con successivo addebito all'ufficio di Sidney della Fiat Auto che era stata la Fiat Auto a determinare il trattamento economico del B. e a provvedere ai relativi adeguamenti al pari di quanto avveniva per i dipendenti della Fiat Auto distaccati all'estero e che operavano nella stessa area del B. che era stata la Fiat Auto a determinare gli obiettivi fondamentali della posizione del dipendente, individuato, in una nota a firma del valutatore I M. , con la posizione e la qualifica di Area manager-Singapore , appartenente all'Ente Direzione vendite Area Extra Europa che la Fiat Auto si era fatta carico pure della sua posizione contributiva, provvedendo al pagamento annuale di 5.000,00 dollari, da attingere dai fondi di funzionamento ed ancora che la Fiat of Australia si occupava di trattori e macchine agricole, laddove il B. per come risultava dal documento con il quale la Fiat Auto fissava gli obiettivi per il 1986 era stato incaricato di promuovere tutte quelle attività che consentano una ripresa delle nostre attività in Tailandia, Indonesia, Malesia, Singapore e Hong Kong sulla linea Fiat che Lancia , e, quindi, di promuovere una tipologia merceologica affatto distinta da quella dell'impresa che lo aveva formalmente assunto. Dal complesso di tali dati di fatto, correttamente valutati dai giudici di merito, e, pertanto, insindacabili in questa sede di legittimità, la corte piemontese ha dedotto che, in tale periodo, la Fiat Auto aveva in concreto gestito l'attività lavorativa del B., sia sotto l'aspetto organizzativo, che gerarchico ed economico, ed aveva usufruito delle relative prestazioni, assumendo nei confronti dello stesso la veste di effettivo datore di lavoro, in luogo della società controllata estera che lo aveva formalmente assunto. Le contrarie valutazioni delle società ricorrenti, fondate essenzialmente sulla considerazione che l'interessamento e l'ingerenza della Fiat Auto nella vita delle società collegate e consociate dovevano considerarsi del tutto fisiologiche , oltre che coerenti col ruolo di direzione strategica unitaria rivestito dalla Fiat Auto nell'ambito dell'assetto strutturale del gruppo e non risultavano, pertanto, idonee ad evidenziare la sussistenza della fattispecie interpositoria, non inficiano la correttezza logica e giuridica del ragionamento della corte territoriale. Ed, al riguardo, merita di essere, innanzi tutto, ricordato come anche di recente la giurisprudenza di questa Suprema Corte abbia ribadito come costituisca regola generale dell'ordinamento lavoristico il principio secondo cui il vero datore di lavoro è quello che effettivamente utilizza le prestazioni lavorative, anche se i lavoratori sono stati formalmente assunti da un altro datore apparente e prescindendosi da ogni indagine che tra l'altro risulterebbe particolarmente difficoltosa sull'esistenza di accordi fraudolenti fra interponente ed interposto così SU n. 22910/2006 . Regola giova soggiungere che si è correttamente ritenuto non abbia perduto consistenza nemmeno a seguito dell'entrata in vigore del d. lgs. n. 267 del 2003, dal momento che le forme di dissociazione fra titolarità del rapporto e destinazione effettiva della prestazione ivi previste debbono considerarsi come tipologie negoziali eccezionali, in deroga al principio che parte datoriale è solo colui su cui in concreto fa carico il rischio economico dell'impresa nonché l'organizzazione produttiva nella quale è di fatto inserito con carattere di subordinazione il lavoratore, e l'interesse soddisfatto in concreto dalle prestazioni di quest'ultimo, con la conseguenza che chi utilizza tali prestazioni deve adempiere tutte le obbligazioni a qualsiasi titolo derivanti dal rapporto di lavoro medesimo giur. cit v. anche, con riferimento alla disciplina comunitaria dei licenziamenti, Corte Giust. 10.9.2009, causa C 44/08 per l'affermazione che per la realizzazione dell' effetto utile dei diritti collettivi di tipo procedimentale, il gruppo non rileva al fine di escludere la responsabilità del diretto datore di lavoro . Se, pertanto, la giurisprudenza conferma la rilevanza che, in ambito lavoristico, assume il concetto di impresa e di datore di lavoro, individuabile, sulla base di una concezione realistica , nel soggetto che effettivamente utilizza la prestazione di lavoro ed è titolare dell'organizzazione produttiva in cui la prestazione stessa è destinata ad inserirsi, non vi è dubbio che tale direttiva, con riferimento al fenomeno dei gruppi di società, impone una attenta valutazione degli indici utilizzabili al fine di distinguere fra la fisiologia e la patologia del fenomeno delle imprese a struttura complessa. Ed, infatti, la direzione ed il coordinamento che compete alla società capogruppo, e che qualifica, ora anche in sede normativa art. 2497 ss cc , il fenomeno dell'integrazione societaria, può evolversi in forme molteplici, che possono riflettere una ingerenza talmente pervasiva da annullare l'autonomia organizzativa delle singole società operative accreditando un uso puramente strumentale o, in altri termini, puramente opportunistico della struttura di gruppo , ovvero un rilevante, ma fisiologico, livello di integrazione che può costituire il presupposto per una valutazione differenziata che la rilevanza dell' interesse unitario di gruppo manifesta rispetto all'adempimento dell'obbligazioni che risultano funzionali alla realizzazione di tale interesse . In questo contesto, e con specifico riferimento alle problematiche lavoristiche, del tutto decisivo appare il riferimento alle forme di utilizzazione del personale dipendente, potendo l'ingerenza della società dominante nella gestione del rapporto di lavoro spingersi sino al punto di determinare una utilizzazione del tutto indistinta e promiscua della forza lavoro all'interno del gruppo accreditando una situazione di confusione contrattuale , tale da far constatare, in realtà, l'esistenza di una impresa unitaria, solo apparentemente organizzata in forma di gruppo v. per tutte Cass. n. 6707/2004 ovvero, in presenza di gruppi genuini, ma fortemente integrati, determinare la destinazione della prestazione di lavoro al complesso delle società operative, secondo le note forme della prestazione cumulativa o alternativa oppure riguardare solo la determinazione generale degli obiettivi strategici delle singole società operative, anche per ciò che riguarda le politiche del personale, ma senza alcuna incidenza sulla concreta gestione del personale e sulla destinazione della prestazione alla società che assume la veste di datore di lavoro. Con riferimento a tali molteplici fattispecie, ha avuto modo la giurisprudenza di legittimità di precisare per citare solo alcune esempi, indicativi delle situazioni evidenziate , da un lato, come il collegamento economico funzionale tra imprese appartenenti ad un medesimo gruppo societario non è di per sé sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, intercorso fra una di esse ed il lavoratore, debbano estendersi anche all'altra, e che, tuttavia, in presenza di una società capogruppo, formalmente estranea al rapporto di lavoro, che si comporti come effettivo dominus, decidendo il distacco del lavoratore presso altra società del gruppo e la data del suo licenziamento anche per ragioni organizzative, va ravvisato un fenomeno di illecita interposizione di manodopera con la conseguente imputazione del rapporto di lavoro alla capogruppo cfr Cass. n. 19931/2010 ma anche, che è giuridicamente possibile concepire un'impresa unitaria che alimenta varie attività formalmente affidate a soggetti diversi, il che non comporta sempre la necessità di superare lo schermo della persona giuridica, né di negare la pluralità di quei soggetti, ben potendo esistere un rapporto di lavoro che veda nella posizione del lavoratore un'unica persona e nella posizione del datore di lavoro più persone, rendendo così solidale l'obbligazione del datore di lavoro così Cass. n. 4274/2003 . Nel caso in esame, sulla base degli accertamenti svolti dalla corte di merito, deve ritenersi che l'interesse della Fiat Auto alla destinazione e al risultato dell'attività lavorativa del B. così nel ricorso non fosse solo riflesso del ruolo di coordinamento e di direzione strategica unitaria dalla stessa rivestito nell'ambito dell'assetto strutturale del gruppo, ma determinasse una concreta incidenza nella gestione del rapporto di lavoro del dipendente per aspetti decisivi e qualificanti, quali la determinazione della retribuzione, la previsione degli obiettivi e la valutazione dei risultati della prestazione, la sopportazione dei costi relativi alla posizione previdenziale e l’inserimento di quest'ultimo ben evidenziato anche dalla tipologia dell'attività produttiva della società controllata, a fronte dei ben diversi compiti assegnati al lavoratore nell'organizzazione produttiva di una impresa diversa da quella che lo aveva formalmente assunto, al pari di altri dipendenti della Fiat Auto distaccati all'estero e che operavano nella stessa area del B Così convertendosi l'interesse della Fiat Auto al risultato dell'attività lavorativa del B. in un interesse, non di mero fatto, ma giuridicamente qualificato e tale da determinare l'imputazione del rapporto di lavoro al soggetto che era stato effettivo destinatario ed utilizzatore della prestazione. 6. Il ricorso va, pertanto, rigettato e va, al riguardo, formulato il seguente principio di diritto In presenza di un gruppo di società, la concreta ingerenza della società capogruppo nella gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle società del gruppo, che ecceda il ruolo di direzione e coordinamento generale alla stessa spettante sul complesso delle attività delle società controllate, determina l'assunzione in capo alla società capogruppo della qualità di datore di lavoro, in quanto soggetto effettivamente utilizzatore della prestazione e titolare dell'organizzazione produttiva nella quale l'attività lavorativa si è inserita con carattere di subordinazione. 7. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna le società ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in Euro 40,00 per esborsi ed in Euro 2500,00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA.