Il bando prevede l’inquadramento retroattivo? L’amministrazione non può posticiparlo

Illegittima la disposizione del Ministero che colloca i vincitori di un concorso nella nuova posizione economica alla data di approvazione della graduatoria anziché a quella di indizione della procedura come previsto nel bando.

Se il bando di concorso per lo svolgimento di procedure di progressione orizzontale nell’ambito della stessa categoria di inquadramento prevede che i vincitori saranno collocati nella superiore posizione economica con decorrenza dalla data di indizione della procedura, l’amministrazione non può stabilire che il nuovo inquadramento spetti, invece, dalla successiva data di approvazione della graduatoria. Questo il principio sancito dalla sezione lavoro della S.C. di Cassazione nella sentenza n. 25045 depositata il 28 novembre scorso. Il bando di concorso ha natura di offerta al pubblico. Il bando della procedura concorsuale interna che contenga tutti gli elementi essenziali numero del posti disponibili, qualifica, modalità del concorso, criteri di valutazione dei titoli, ecc. , stabilendo altresì la decorrenza temporale del nuovo inquadramento, integra gli estremi dell’offerta al pubblico. Il datore di lavoro è dunque tenuto sia al rispetto della norma con la quale esso stesso ha delimitato la propria discrezionalità, sia ad adempiere l'obbligazione secondo correttezza e buona fede. L’amministrazione ha gli stessi poteri di un datore di lavoro privato. La tesi secondo cui il principio dell'immodificabilità del bando sarebbe recessivo rispetto all'esigenza di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, non considera che, a seguito della riforma, la pubblica amministrazione, nel rapporto di pubblico impiego, non esercita più poteri di supremazia speciale, ma opera con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato nell'ambito di un rapporto contrattuale paritario, priva del potere di degradare le posizioni soggettive di vantaggio dei lavoratori. Ciò al di fuori del casi in cui viene eccezionalmente riconosciuto al datore di lavoro pubblico il potere di incidere unilateralmente sul vincolo contrattuale come nei casi di esercizio del potere disciplinare o di legittimo esercizio dello ius variandi . Agli atti di gestione del rapporto si applica la disciplina comune. La persistente rilevanza che assume l'interesse generale rispetto al datore di lavoro pubblico non determina la sindacabilità dei relativi atti per contrasto col pubblico interesse, come i provvedimenti amministrativi, ma solo ed esclusivamente nei limiti consentiti dal programma negoziale e dalle relative fonti - legali e contrattuali - di riferimento. Pertanto, le determinazioni assunte nell’ambito di procedure valutative qual è quella che oggetto della pronuncia, si collocano sempre sul piano del regime di diritto comune, costituendo espressione di potere privato . La clausola di retrodatazione dell’inquadramento è legittima. Il principio dell’ordinaria coincidenza fra la data di inizio dell'attività lavorativa ed il riconoscimento del relativo trattamento è derogabile nell’ipotesi di concorso interno, ben potendo la retrodatazione degli effetti trovare giustificazione in particolari valutazioni di tipo organizzativo relative alle posizioni di lavoro legittimanti la partecipazione al concorso ed all'esigenza di assicurare la parità di trattamento dei dipendenti positivamente selezionati, indipendentemente dai tempi di definizione delle relative procedure. Né possono ravvisarsi profili di nullità della clausola contrattuale collettiva integrativa in conformità della quale è stata indicata nel bando la decorrenza dell'inquadramento, posto che, vertendosi in tema di passaggio a superiore posizione economica nell’ambito della stessa area, si è al di fuori dell'ipotesi di nuova assunzione e di conseguente eventuale violazione delle previsioni dell'art. 35 del D. Lgs n. 165/01, né, della disciplina pubblicistica inerente alle assunzioni o, comunque, agli inquadramenti.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 ottobre – 28 novembre 2011, n. 25045 Presidente Canevari – Relatore Bandini Svolgimento del processo Con sentenza del 13 - 19.6.2007 la Corte d'Appello di Milano respinse il gravame proposto dal Ministero della Pubblica Istruzione avverso la pronuncia di prime cure che aveva dichiarato il diritto di V.I., T.A., L.G., C.P., P.T., M.F.C. e Va.Ma.Vi. alla posizione economica B3 dall'ottobre 2001 - ossia dalla data di pubblicazione del bando di concorso, in conformità a quanto ivi previsto, anziché, come disposto dal Ministero, da quella successiva di approvazione della graduatoria - e condannato il datore di lavoro pubblico al pagamento delle relative differenze retributive a sostegno del decisum la Corte territoriale richiamò i principi di immodificabilità unilaterale del regolamento negoziale di cui al bando di concorso e ritenne l'insussistenza sia della nullità della relativa clausola del bando per contrarietà ai principi di buon andamento della pubblica amministrazione, sia di una modificazione pattizia in ordine alla questione controversa per effetto di un accordo collettivo successivo al bando di concorso di che trattasi. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, il Ministero della Pubblica Istruzione ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo. Le intimate V. immacolata, T.A., L.G., C.P., P.T., M.F.C. e Va.Ma.Vi. hanno resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Con l'unico motivo, denunciando violazione di plurime norme di legge e di contratto collettivo, nonché vizio di motivazione, il ricorrente deduce che la ritenuta intangibilità delle disposizioni del bando nulla avrebbe a che vedere con la decorrenza degli inquadramenti dei vincitori, trattandosi di un elemento accidentale passibile di successiva modificazione, e prospettando altresì la nullità della previsione contrattuale collettiva in conformità della quale era stata inserita nel bando la clausola relativa alla decorrenza dell'inquadramento. 2. La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di esaminare controversie analoghe alla presente cfr, Cass., nn. 14478/2009 26493/2010 , osservando condivisibilmente che - ove il datore di lavoro abbia manifestato la volontà di provvedere alla copertura di posti di una determinata qualifica attraverso il sistema del concorso interno ed abbia, a questo fine, pubblicato un bando che contenga tutti gli elementi essenziali numero dei posti disponibili, qualifica, modalità del concorso1 criteri di valutazione dei titoli, ecc. , prevedendo, altresì, il riconoscimento del diritto del vincitore del concorso di ricoprire la posizione di lavoro disponibile e la data a decorrere dalla quale è destinata ad operare giuridicamente l'attribuzione della nuova posizione, sono rinvenibili in un siffatto comportamento gli estremi della offerta al pubblico, che impegna il datore di lavoro non solo al rispetto della norma con la quale esso stesso ha delimitato la propria discrezionalità, ma anche ad adempiere l'obbligazione secondo correttezza e buona fede, sicché il superamento del concorso, indipendentemente dalla successiva nomina, consolida nel patrimonio dell'interessato l'acquisizione di una situazione giuridica individuale, non disconoscibile alla stregua della natura del bando, né espropriabile per effetto di diversa successiva disposizione generale, in virtù del disposto dell'art. 2077, comma 2, cc cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 8595/1998 Cass., n. 16501/2004 - tale principio di diritto risulta pienamente coerente con la posizione che il datore di lavoro pubblico riveste nell'ambito del pubblico impiego cosiddetto privatizzato e con la conseguente natura delle situazioni soggettive tutelabili che fanno capo ai dipendenti, posto che la tesi secondo cui il principio dell'immodificabilità del bando dovrebbe ritenersi recessivo rispetto all'esigenza di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, non considera che, a seguito della riforma, la pubblica amministrazione non esercita più, nel rapporto di pubblico impiego, poteri di supremazia speciale, ma opera con la capacità del datore di lavoro privato e nell'ambito di un rapporto contrattuale paritario, e che, non configurandosi in capo ai dipendenti situazioni di interesse legittimo di diritto pubblico, la posizione degli stessi integralmente riportabile alla categoria dei diritti soggettivi o, a fronte di specifici poteri discrezionali, degli interessi legittimi di diritto privato, pur sempre, comunque, riconducibili alla categoria dei diritti di cui all'art. 2907 cc cfr, Cass., SU, n. 14625/2003 Cass., n. 3880/2006 non è degradabile per effetto di atti unilaterali del datore di lavoro, per come per l'innanzi avveniva, allorché la tutela del lavoratore pubblico era riconducibile ed era connessa all'esercizio del potere amministrativo pubblico - la persistente rilevanza che assume l'interesse generale rispetto al datore di lavoro pubblico non determina e non si risolve, quindi, nella funzionalizzazione dei singoli atti, quanto dell'attività complessiva, di guisa che i singoli atti di gestione o di organizzazione per la parte di questi ultimi che si collocano al di sotto dell'aita organizzazione, mantenuta in regime pubblicistico non sono sindacabili per contrasto col pubblico interesse, come i provvedimenti amministrativi, ma nei limiti consentiti dal programma negoziale e dalle relative fonti - legali e contrattuali - di riferimento e quindi, non alla stregua dei tradizionali vizi dell'atto amministrativo, ma secondo quelli propri della patologia dei negozi giuridici, derivanti dalla violazione della disciplina legale o contrattuale che presiede all'attività paritetica della pubblica amministrazione cfr, Cass., nn. 21660/2008 11103/2006 - dal che discende, che, al di fuori dei casi in cui viene eccezionalmente riconosciuto al datore di lavoro, pubblico o privato, il potere di incidere unilateralmente sul vincolo contrattuale come nei casi di esercizio del potere disciplinare o di legittimo esercizio dello ius variandi , non risulta configurabile un potere di autotutela della pubblica amministrazione, che costituiva in precedenza espressione delle prerogative unilaterali di cui la stessa era titolare nella regolamentazione del rapporto di impiego, e, più in generale, che la specialità del rapporto non è riferibile come era nel testo originario della riforma al perseguimento di interessi generali, ma alle singole disposizioni essenzialmente concernenti le modalità dell'assunzione, l'irrilevanza dei fatti concludenti e l'obbligo di assicurare parità di trattamento per i dipendenti che determinano una regolamentazione specifica per il pubblico impiego - in tale contesto, i poteri discrezionali o valutativi che sono riconosciuti al datore di lavoro pubblico anche in tema di procedure di avanzamento in carriera si collocano sempre, come nel lavoro privato, sul piano del regime di diritto comune, e costituiscono espressione di potere privato , e non anche di discrezionalità amministrativa, risultando censurabili in conformità alle disposizioni di legge e di contratto, e comunque sulla base delle regole di correttezza e buona fede in quanto espressive dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Cost. cfr, Cass., SU, n. 9332/2002 Cass., nn. 9814/2008 28274/2008 ed in conformità a criteri di adeguatezza e ragionevolezza - il principio della normale coincidenza fra la data di inizio dell'attività lavorativa e il riconoscimento del relativo trattamento non risulta puramente speculare alla posizione del personale che sia già dipendente dell'amministrazione e che pur acceda alla superiore posizione economica per effetto di concorso interno, ben potendo la retrodatazione degli effetti trovare, in questi casi, giustificazione in particolari valutazioni di tipo organizzativo relative alle posizioni di lavoro legittimanti la partecipazione al concorso ed all'esigenza di assicurare la parità di trattamento dei dipendenti positivamente selezionati, indipendentemente dai tempi di definizione delle relative procedure. Deve ancora aggiungersi che neppure appare condivisibile l'assunto secondo cui l'art. 4 del CCN Integrativo del 9.2.2004 avrebbe modificato quanto previsto, per ciò che qui specificamente rileva, dall'art. 19, comma 5, del CCN Integrativo del 21.9.2000 in base al quale la decorrenza giuridica ed economica per il personale riqualificato è da considerarsi la data della pubblicazione del bando , posto che la nuova normativa pattizia, pretesamente innovativa sul punto, si limita a prevedere che i provvedimenti di inquadramento del personale a seguito dei passaggi all'interno delle aree Be C sono definiti con l'approvazione di tutte le graduatorie e la sottoscrizione dei contratti individuali di lavoro da stipularsi entro il 31 gennaio 2004 e, perciò, a disciplinare la data ultima di sottoscrizione dei contratti e la necessità dell'adozione dei formalmente necessari atti ricognitivi, sicché non possono ravvisarsi profili di incongruità nell'interpretazione, rispettosa dei criteri ermeneutici e immune da vizi logici, al riguardo accolta nella sentenza impugnata. Né possono ravvisarsi profili di nullità della clausola contrattuale collettiva integrativa in conformità della quale è stata indicata nel bando la decorrenza dell'inquadramento, posto che - vertendosi in tema di passaggio di livello nell'ambito della stessa area si è al di fuori dell'ipotesi di nuova assunzione e di conseguente eventuale violazione delle previsioni dell'art. 35 divo n. 165/01, né, a fortori, della disciplina pubblicistica inerente alle assunzioni o, comunque, agli inquadramenti superiori così come, parimenti, sono sostanzialmente inconferenti rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio i principi a cui è improntata la sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2002 - non può essere ritenuto che la previsione del contratto integrativo del 21.9.2000, che ha stabilito la decorrenza giuridica ed economica delle riqualificazioni dalla data di pubblicazione del bando, violi il principio di competenza che regola i rapporti fra il contratto collettivo nazionale e quello di livello decentrato ai sensi dell'art. 40, comma 3, dl.vo n. 165/01 che, nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal dl.vo n. 150/09 ed applicabile, nella fattispecie, ratione temporis , recitava La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate ovvero l'art. 40 bis, comma 3, dl.vo n. 165/01, posto che il ricorso, in violazione dei principi di autosufficienza, al di là del richiamo ad una generica nota della Ragioneria Generale dello Stato - Ispettorato Generale peraltro neppure depositata in una con il ricorso, in violazione dell'art. 369, comma 2, n. 4, cpc , non indica e tanto meno riporta il contenuto delle emergenze probatorie dimostrative della eventuale sussistenza di oneri, derivanti dalla ridetta clausola contrattuale, non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione o non compatibili con i vincoli di bilancio. 3. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida complessivamente in Euro 50,00, oltre ad Euro 3.000,00 tremila per onorari, spese generali, Iva e Cpa come per legge.