Nullo il verbale se il rappresentante sindacale non firma con il lavoratore

di Maria Flaminia Ferrari

di Maria Flaminia Ferrari * Nella sentenza n. 3237/11, sezione Lavoro, la Corte Suprema di Cassazione si è espressa relativamente ad una questione di pagamento di differenze retributive e licenziamento. La fattispecie. Un dipendente di una società proponeva ricorso al Tribunale di Napoli richiedendo il pagamento di differenze retributive relative al rapporto di lavoro intercorso con la società dal 1993 al 1997, rapporto concluso a seguito delle dimissioni del lavoratore e poi ricominciato e durato circa un anno, per terminare con il licenziamento orale nel dicembre del 1998 il lavoratore chiedeva anche che fosse dichiarata la nullità di tale licenziamento. Mancata sottoscrizione del verbale di conciliazione da parte del sindacalista. Il Tribunale rigettava la domanda del dipendente, il quale appellava la sentenza presso la Corte di Napoli, che, nel 2005, accoglieva la sua istanza nella parte relativa al pagamento delle differenze retributive, mentre respingeva l'impugnazione del licenziamento. Il primo rapporto di lavoro è stato ritenuto sicuramente sussistente, escludendo che il verbale di conciliazione sindacale prodotto dalla società potesse avere valore ex art. 411 c.p.c., in quanto non ne era stata depositata copia presso la sede della CGIL e quindi non era stato sottoscritto in sede sindacale alla presenza del lavoratore. Anche il secondo rapporto di lavoro era stato ritenuto dalla Corte sussistente, ritenendolo di tipo subordinato, grazie anche alle dichiarazioni di un collega del lavoratore fino al 1998, ma soprattutto alla presunzione che ha fatto ritenere alla Corte la natura subordinata del secondo rapporto sul presupposto della subordinazione riscontrata nel primo rapporto di lavoro. La società proponeva ricorso per la cassazione di questa sentenza per cinque motivi 1 con il primo denunciava la violazione dell'art. 437 c.p.c. udienza di discussione , sostenendo che la domanda di nullità del verbale di conciliazione è stata proposta per la prima volta in appello 2 con il secondo lamentava la violazione degli art. 411 c.p.c. processo verbale di conciliazione e 2113 c.c. rinunzie e transazioni , affermando che il verbale di conciliazione dovesse essere considerato valido, anche se non sottoscritto in sede sindacale 3 con il terzo lamentava vizio di motivazione e violazione degli artt. 115 disponibilità delle prove e 116 valutazione delle prove c.p.c., sostenendo che non ci fossero prove che dimostrassero che la conciliazione non venne sottoscritta in sede sindacale 4 con il quarto motivo la società denunciava la violazione degli artt. 1965 nozione di transazione e 2113 c.c., affermando che al verbale di conciliazione va riconosciuto almeno il valore di transazione non impugnata 5 con l'ultimo motivo veniva denunciata la violazione dell'art. 2729 presunzioni semplici c.c., contestando l'attività di presunzione che il giudice d'appello ha attuato nel ritenere la natura subordinata del secondo rapporto di lavoro sul presupposto della subordinazione riscontrata nel precedente rapporto, ritenendo tale presunzione illogica o inesistente. Bocciato il ricorso della società. La Suprema Corte ha rigettato tutte le doglianze della società. Relativamente alla contestazione del verbale di conciliazione, il lavoratore l'aveva effettuata già in primo grado, quindi non è vero che la domanda di nullità del verbale di conciliazione era stata proposta per la prima volta in appello, come sosteneva la società. Non è garantita la funzione di supporto riconosciuta al sindacato. Per quanto concerne la validità del verbale di conciliazione e la sua sottoscrizione o meno in sede sindacale, la Cassazione è d'accordo con la Corte d'Appello nell'escludere che l'atto in questione abbia efficacia ex art. 411 c.p.c., non solo perché non risulta sottoscritto in sede sindacale, ma anche perché non sarebbe stato firmato dal rappresentante sindacale alla presenza ed in contestualità con il lavoratore. Relativamente invece al valore di transazione non impugnata da riconoscere al verbale di conciliazione a detta della società, la Corte nega la possibilità di riconoscere tale valore all'atto. In ultimo, in relazione alla presunzione attuata dal giudice d'appello, la Suprema Corte concorda con i giudice di seconda istanza nel riconoscere la continuità - e quindi la subordinazione - della prestazione lavorativa nel corso del secondo rapporto di lavoro sulla base delle dichiarazioni del teste, secondo una presunzione logica. Alla luce di quanto affermato, il lavoratore vede quindi confermata la sentenza della Corte d'Appello di Napoli, che accoglieva la sua istanza nella parte relativa al pagamento delle differenze retributive, mentre respingeva l'impugnazione del licenziamento. * Praticante legale, iscritta al Consiglio dell'ordine dei praticanti di Roma

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 gennaio 10 febbraio 2011, numero 3237 Presidente Foglia Relatore Napoletano Svolgimento del processo Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda proposta da , proposta nei confronti della società , avente ad oggetto il pagamento di differenze retributive relative al rapporto di lavoro intercorso con la predetta società dal 2 dicembre 1993 alla fine di novembre 1997, data nella quale egli era si era dimesso per giusta causa, e del successivo rapporto di lavoro iniziato nel dicembre 1997 e cessato in data 14 dicembre 1998 a seguito di licenziamento orale di cui chiedeva anche la declaratoria di nullità. La Corte di Appello di Napoli accoglieva la domanda relativa al pagamento di differenze retributive, ma respingeva quella concernente l'impugnativa del licenziamento. L'adita Corte, per quello che interessa in questa sede, ritenuta incontestata la sussistenza del primo rapporto di lavoro escludeva che il verbale di conciliazione sindacale prodotto dalla società, in ordine a tale primo rapporto di lavoro, potesse avere il valore previsto dall'art. 411 cpc non potendosi asserire, che fosse stato sottoscritto in sede sindacale non essendo risultata depositata presso la sede periferica della CGIL alcuna copia del relativo verbale, e alla presenza ed in contestualità con il lavoratore. Né aggiungeva la predetta Corte al verbale poteva riconoscersi valore transattivo per il mancato riferimento ai titoli delle pretese rinunciate, se non a quelle concernenti il TFR. Quanto al secondo rapporto di lavoro, osservava la Corte partenopea, che, incontestata la durata dello stesso, la continuità della prestazione lavorativa era desumibile dalle dichiarazioni della teste che aveva lavorato con il ricorrente e dalla presunzione logica che anche dopo la eventuale cessazione del rapporto di lavoro del I teste la prestazione lavorativa del ricorrente era continuata con le stesse modalità. La Corte del merito, poi, avuto riguardo alle mansioni effettivamente espletate dal ed al conseguente inquadramento nel IV livello del CCNL del settore, riconosceva le reclamate differenze retributive utilizzando in via parametrica il richiamato CCNL. Avverso questa sentenza la società ricorre in cassazione sulla base di cinque censure. Resiste con controricorso la parte intimata. Motivi della decisione Con il primo motivo la società ricorrente, denunciando violazione dell'art. 437 cpc, sostiene che la domanda di nullità del verbale di conciliazione è stata per la prima volta svolta in appello e come tale non poteva essere delibata dal giudice di appello. La censura è infondata. Invero, la deduzione della novità della domanda in questione deve ritenersi, in difetto di diversa e specifica allegazione, sollevata per la prima volta solo in sede di legittimità e come tale è inammissibile. Peraltro, mette conto rilevare che la contestazione del verbale di conciliazione risulta effettuata dal sin dal primo grado del giudizio e tanto a seguito delle argomentazioni difensive sviluppate dalla società proprio in relazione alla avvenuta sottoscrizione del verbale di conciliazione. La questione concernente il valore da assegnare al verbale di cui trattasi, pertanto, faceva già parte del thema decidendum del giudizio di primo grado. Con la seconda censura la società , deducendo violazione degli 2113 cc, assume che il verbale di conciliazione, ancorché non sottoscritto in sede sindacale, non è privo del suo valore. Con il terzo motivo la società ricorrente, allegando vizio di motivazione e violazione degli art. 411 cpc, del prodotto verbale di conciliazione, non sulla base dell'esclusivo rilievo che questo non risulta sottoscritto in sede sindacale, ma anche perché lo stesso non sarebbe stato sottoscritto dal rappresentante sindacale alla presenza ed in contestualità con il lavoratore. E ciò conformemente a quanto sancito da questa Corte con sentenza 11 dicembre 1999 numero 13910. Pertanto la Corte del merito, con accertamento di fatto, adeguatamente motivato, che come tale è sottratto al sindacato di legittimità, esclude, in base alle concrete modalità della conciliazione, l'effettuazione, nella specie, di quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa e, quindi, correttamente ritiene non qualificabile l'atto in parola agli effetti di cui all'art. 411 cpc Cfr. Cass. 3 aprile 2002 numero 4730 . Con la quarta censura la società, deducendo violazione degli 2113 cc, prospetta che al verbale di conciliazione va quantomeno riconosciuto il valore di transazione non impugnata essendo presente, sia la ed res litigiosa, sia le reciproche concessioni. La censura non è accoglibile. Infatti il ricorrente pur criticando che la Corte territoriale non ha riconosciuto al verbale di conciliazione valore di rinuncia e transazione agli effetti dell'art. 2103 cc e pur assumendo che in tale verbale sarebbe indicata la res litigiosa e le reciproche concessioni, non trascrive, in violazione del principio di autosufficienza, nel ricorso il testo di tale verbale impedendo in tal modo qualsiasi sindacato di legittimità. Né contesta la società ricorrente la ritenuta mancata indicazione, nel predetto verbale, dei titoli delle pretese rinunciate se non per il TFR. Con il quinto motivo la società, denunciando violazione dell'art. 2729 cc, nonché omessa ed insufficiente motivazione, allega che la presunzione logica, in base alla quale il giudice di appello ritiene la natura subordinata del secondo rapporto sul presupposto della subordinazione riscontrata nel primo rapporto di lavoro, è illogica o addirittura inesistente difettando qualsivoglia riferimento agli indizi gravi, precisi e concordanti. Il motivo è infondato. Difatti, la Corte partenopea relativamente al secondo rapporto di lavoro, in ordine al quale la società aveva dedotto la occasionante e non continuità della prestazione lavorativa, riconosce la continuità della detta prestazione lavorativa -e quindi la subordinazione sulla base delle dichiarazioni della teste che aveva lavorato con il sino al 1998 e, solo con riferimento alla eventuale cessazione del rapporto di lavoro della richiamata teste prima della fine del 1998, ritiene che il rapporto di lavoro del sia continuato sino al dicembre 1998 con le stesse modalità di esecuzione riferite dal teste. Non coglie, quindi, nel segno la censura della società ricorrente la quale non tiene conto, nello svolgere la sua critica, della specifica motivazione sviluppata sul punto dalla Corte territoriale la quale esclusivamente a conforto -e pertanto ad ulteriore conferma delle conclusioni a cui perviene. rileva che vi è la presunzione logica che, essendo incontestata tra le parti la sussistenza, per il precedente periodo lavorativo, della natura subordinata del rapporto e quindi della continuità della prestazione, si deve presumere anche per il periodo successivo una continuità delle prestazioni rese . Né può sottacersi che per correttamente investire questa Corte della questione di cui trattasi la società non si doveva limitare a censurare solo ed esclusivamente siffatta ultima ratio deciderseli, ma doveva investire anche l'altra indicata autonoma ratio decidendi cfr., in merito, ex multis, Cass. 26 marzo 2001 numero 4349, Cass. 27 marzo 2001 n 4424 e da ultimo Cass. 20 novembre 2009 numero 24540 . Sulla base delle esposte considerazioni, in conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in E. 10,00 per esborsi oltre E. 2.500,00 per onorario ed oltre spese generali, IVA e CPA.