Indennizzo per recesso unilaterale del committente: spetta all’appaltatore dimostrare l’utile netto che avrebbe conseguito

In caso di recesso unilaterale del committente del contratto d’appalto, ai sensi dell’art. 1671 c.c., grava sull’appaltatore, che chiede di essere indennizzato del mancato guadagno, l’onere di dimostrare quale sarebbe stato l’utile netto da lui conseguibile con l’esecuzione delle opere appaltate.

Lo ha ribadito la Cassazione con sentenza n. 15304/20 depositata il 17 luglio. Dichiarato concluso il contratto di appalto tra il Condominio e l’impresa, contratto dal quale il Condominio aveva receduto, il Tribunale rigettava la domanda di condanna di quest’ultimo al risarcimento del danno . La Corte d’Appello, in parziale accoglimento del gravame proposto dall’impresa, condannava il Condominio al pagamento di una somma a titolo di indennizzo ex art. 1671 c.c. ma riteneva che, per mancanza di prova, all’impresa non spettava alcun risarcimento del danno, né per spese generali, né per lesione dell’immagine. Avverso tale pronuncia, il Condominio ha proposto ricorso per cassazione lamentando, in particolare, la violazione delle norme che regolano l’onere della prova e il principio di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c In accoglimento del motivo di ricorso, la Cassazione rileva il principio ormai consolidato secondo cui, in ipotesi di recesso unilaterale del committente del contratto d’appalto , ai sensi dell’art. 1671 c.c., grava sull’appaltatore , che chiede di essere indennizzato del mancato guadagno, l’ onere di dimostrare quale sarebbe stato l’utile netto da lui conseguibile con l’esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, restando salva per il committente la facoltà di provare che l’interruzione dell’appalto non ha impedito all’appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli ha procurato vantaggi diversi . Nel caso in esame, secondo la Suprema Corte, la Corte d’Appello ha erroneamente sostenuto che la sussistenza dell’ an del pregiudizio risultasse dimostrato dalla mancata allegazione da parte del Condominio dell’ aliunde perceptum e cioè che l’impresa, dopo la revoca dell’incarico, avesse comunque reperito altri clienti. Pertanto, ha accolto il ricorso e cassato la sentenza con rinvio ad altra sezione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 novembre 2019 – 17 luglio 2020, n. 15304 Presidente San Giorgio – Relatore Bellini Fatti di causa Con sentenza n. 568/2010, depositata in data 22.11.2010, il Tribunale di Cuneo in funzione monocratica dichiarava che tra il CONDOMINIO e l’IMPRESA M.R. era stato concluso un contratto di appalto dal quale il Condominio era receduto ex art. 1671 c.c., in data 14.2.2007 e rigettava la domanda di condanna del Condominio al risarcimento del danno. Contro la sentenza proponeva appello il R. lamentando che il Tribunale non avesse provveduto alla liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., dal medesimo patito. Si costituiva in giudizio il Condominio assumendo che il R. non aveva dimostrato nè le spese sostenute, nè i lavori eseguiti, nè il mancato guadagno. Con sentenza n. 2100/2014, depositata in data 25.11.2014, la Corte d’Appello di Torino accoglieva in parte l’appello e, per l’effetto, condannava il Condominio a pagare al R. , a titolo di indennizzo ex art. 1671 c.c., la somma di Euro 22.050,00, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo e condannava il Condominio al pagamento di un terzo delle spese di lite dei due gradi di giudizio. In particolare, la Corte territoriale riteneva che al R. nulla competesse per le spese, non avendo il medesimo provato di aver provveduto ad alcuna spesa dopo la conclusione del contratto in data 19.12.2006, essendo risultata falsificata la data della fattura relativa all’acquisto di ponteggi la data accertata era risultata precedente alla stipula del contratto, come da sentenza penale del GIP del Tribunale di Cuneo del 19.4.2011 . Nè poteva essere accolta la domanda di risarcimento del danno di Euro 22.272,00 per spese generali di impresa pari al 10% dei lavori commissionati, non avendo il R. dimostrato nè di avere provveduto all’organizzazione del cantiere, nè ad alcuna spesa per l’esecuzione del contratto. Nè poteva trovare accoglimento la domanda di risarcimento del danno per pretesa lesione dell’immagine pari ad Euro 10.000,00, mancando la prova che della revoca dell’incarico fossero venuti a conoscenza soggetti terzi e che si fossero verificati effetti pregiudizievoli. Viceversa. la Corte di merito accoglieva la domanda di indennizzo per lucro cessante, essendo notorio che la parte contrattuale che subisca l’interruzione di un rapporto in essere venga privata dell’utile che dall’esecuzione del contratto le sarebbe derivato, ove controparte non dimostri come nella specie un aliunde perceptum. La Corte riteneva, in forza di un criterio equitativo, di riconoscere la percentuale del 10% del corrispettivo imponibile dell’appalto, e ciò analogamente a quanto previsto in materia di appalti pubblici. Propone ricorso per cassazione il Condominio spiegando 3 motivi resiste il R. con controricorso. La causa proviene dall’adunanza camerale della VI sezione del 4/04/2017. Ragioni della decisione 1.1. - Con il primo motivo, il condominio ricorrente lamenta, Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione delle norme che regolano l’onere della prova nonché il principio di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c., in relazione all’affermazione secondo cui sarebbe stato onere di parte convenuta dimostrare l’aliunde perceptum dell’impresa . 1.2. - Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione delle norme che regolano l’onere della prova ex art. 2697 c.c., la violazione e falsa applicazione dei principi in tema di risarcimento del danno ex art. 1223 c.c. e delle norme che regolano la valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. . 1.3. - Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione delle norme che regolano il principio di applicazione analogica di cui all’art. 12 preleggi al cc. con particolare riferimento alla non estensibilità della normativa sugli appalti pubblici alle ipotesi di recesso ex art. 1671 c.c. . 2. - Il primo motivo è fondato. 2.1. - La Corte di merito ha affermato che pur in mancanza di prova da parte del R. , oltre che del danno emergente, anche del lucro cessante per il mancato guadagno è notorio che la parte contrattuale che subisce la interruzione di un rapporto contrattuale in essere, venga privata dell’utile che dall’esecuzione di contratto le sarebbe derivato, a meno che la controparte non dimostri l’aliunde perceptum e cioè che l’impresa abbia reperito un contraente sostitutivo in modo da garantirsi comunque un guadagno . E che, dunque, nel caso di specie, deve ritenersi certo l’an del pregiudizio, posto che il Condominio non ha neppure allegato l’aliunde perceptum e cioè che l’impresa, dopo la revoca dell’incarico, abbia comunque reperito altri clienti in modo tale da impiegare le proprie risorse produttive e da procurarsi un pari guadagno a quello che dalla esecuzione del contratto con il Condominio le sarebbe derivato sentenza impugnata, pagina 4 . Siffatta argomentazione collide con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la quale in sintonia col principio della vicinanza al fatto oggetto di prova Cass. n. 19146 del 2013 ha affermato che, in ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto d’appalto, ai sensi dell’art. 1671 c.c., grava sull’appaltatore, che chiede di essere indennizzato del mancato guadagno, l’onere di dimostrare quale sarebbe stato l’utile netto da lui conseguibile con l’esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, restando salva per il committente la facoltà di provare che l’interruzione dell’appalto non ha impedito all’appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli ha procurato vantaggi diversi Cass. n. 8853 del 2017 Cass. n. 9132 del 2012 . La Corte distrettuale ha, viceversa erroneamente affermato, mediante l’apodittico richiamo al fatto notorio, che la non altrimenti provata sussistenza dell’an del pregiudizio dovrebbe ritenersi dimostrata non già in ragione della prova offerta dall’appaltatore, bensì della mancata allegazione da parte del committente dall’aliunde perceptum. 3. - Va dunque accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo e del terzo la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Torino, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo, con assorbimento del secondo e del terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.