Ancora sull’eccezione di prescrizione della banca nei rapporti di conto corrente

L’eccezione di prescrizione del diritto del correntista alla ripetizione di somme addebitate dalla banca a titolo di interessi anatocistici, ultralegali, commissione di massimo scoperto, spese e competenze, continua a rappresentare tema di vivo interesse, ampiamente dibattuto nelle aule di giustizia.

Ritorna in argomento la Prima Sezione Civile della Suprema Corte che, con decisione n. 6195 del 5 marzo 2020, si sofferma sui poteri d’intervento del Giudice innanzi all’eccezione di prescrizione della banca, con una digressione sulla forma attenuata dei contratti di apertura di credito. La fattispecie. La Corte di Appello di Torino, in accoglimento del gravame della banca ed in parziale riforma dell'impugnata decisione di primo grado, ha dichiarato prescritto, con riferimento alle rimesse antecedenti all’anno 1999, il diritto del correntista alla ripetizione delle somme che la banca aveva indebitamente introitato a titolo di interessi anatocistici, interessi ultra legali, commissione di massimo scoperto, spese e competenze in dipendenza del rapporto di conto corrente aperto in data antecedente l’anno 1995 e chiuso dopo il 1999. La Corte territoriale, dopo aver richiamato gli enunciati in tema di prescrizione fissati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 24418/2010, ha motivato la decisione sull'assunto che l’eccezione della banca è determinata nell'oggetto e soddisfa le condizioni minime di chiarezza esigibili a tutela del contraddittorio , rendendosi inutile un elencazione dettagliata di tutte le singole rimesse tanto più che non essendo stata provata l’esistenza di un affidamento in conto, automaticamente tutte le rimesse, nella prospettazione della banca, sono da reputarsi solutorie . La Corte di Appello di Torino ha poi aggiunto che non è ravvisabile un affidamento in senso tecnico, giacché non è stato prodotto in atti alcun contratto scritto di apertura di credito o, comunque, di finanziamento , né è dimostrabile la sua stipulazione per facta concludentia , non potendo farsi luogo all'applicazione del predetto principio essendo prevista per legge l’adozione della forma scritta per tutti i contratti bancari e quindi anche per l'apertura di credito. Da qui l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione della banca poiché ritenuta fondata. Conseguentemente, il correntista ha proposto ricorso per cassazione. Natura ripristinatoria o solutoria delle rimesse non spetta alla banca precisarlo. Col primo motivo il correntista si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 166, 167 c.p.c. e 2697 c.c. poiché la Corte d’Appello, contrariamente alla presunzione che le rimesse abbiano nella normalità dei casi natura ripristinatoria, aveva modificato radicalmente i fatti allegati dalla banca a sostegno della eccezione di prescrizione, affermando che la banca avrebbe indicato come solutorie tutte le rimesse intervenute prima della data del 21.12.1999 , quantunque la banca in comparsa avesse omesso di dedurre ed allegare che il conto fosse scoperto e mai avesse dedotto ed allegato l'esistenza di rimesse solutorie. La Corte di Cassazione reputa infondato detto motivo e richiama al riguardo il principio di diritto delle Sezioni Unite n. 15895 del 13 giugno 2019 secondo cui in tema di prescrizione estintiva, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte . Ne discende, ad avviso della Corte di Legittimità, che essendo inconferente ai fini della scrutinabilità dell'eccezione di prescrizione sollevata dalla banca che questa precisi la natura delle rimesse, non incorre nel denunciato vizio la decisione del Giudice che ne riconosca la fondatezza qualificando la natura delle rimesse. Il conto corrente è affidato? Indagine sul contratto madre” e su quello figlio”. Con il secondo motivo di ricorso il correntista deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. poiché la Corte territoriale, nell'escludere che il conto corrente a lui intestato fosse affidato ed, anzi, nell'escludere che agli atti del giudizio fosse stato prodotto il relativo contratto, non aveva preso in considerazione una prova scritta decisiva introdotta nel processo negandone addirittura l'esistenza rappresentata appunto dal predetto contratto, al cui art. 6 era previsto che il correntista può utilizzare in una o più volte la somma messagli a disposizione e può con successivi versamenti ripristinare la sua disponibilità , intendendosi in tal modo disciplinare dettagliatamente le condizioni del servizio accessorio dell'apertura di credito. La Corte di Cassazione rigetta anche questo motivo di ricorso. Dopo aver richiamato il filo delle riflessioni sviluppate in tema dalle Sezioni Unite con pronuncia n. 24418/10, i Giudici di Legittimità ritengono infondata la doglianza laddove essa allega la violazione dell’art. 2697 c.c., essendo stabile convinzione che la violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del nuovo art. 360 n. 5 c.p.c. Cass., 29 maggio 2018, n. 13395 . La doglianza si rivela infondata, precisa la Corte di Cassazione, anche in relazione alla denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c , tenuto conto dell'insegnamento secondo cui la violazione dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale Cass., 28 febbraio 2018, n. 4699 . Analizzando la fattispecie, osserva inoltre la Corte di Cassazione che il Giudice di merito, nel ricusare la convinzione che nella specie il conto fosse affidato, si era fatto scudo della mancata produzione in atti vuoi del contratto di affidamento, vuoi quello di conto corrente. Tuttavia, la Corte di Cassazione coglie un profilo di significativa rilevanza e cioè che il contratto di conto corrente non solo era stato prodotto agli atti del giudizio, ma, per mezzo della previsione racchiusa nel suo art. 6, introduceva nel giudizio un fatto astrattamente idoneo a provare secondo la prospettazione dell'istante che il conto aperto a suo nome presso la banca convenuta fosse affidato. Da qui l’erroneità del contrario convincimento espresso dalla Corte d’Appello. Ciò nonostante, conclude la Corte di Cassazione, detto errore non assume la portata che il ricorrente vorrebbe riconoscergli. Viene al riguardo ricordato che in tema di disciplina della forma dei contratti bancari, l'art. 3, comma 3, della I. n. 154 del 1992 e successivamente l'art. 117, comma 2, del d.lgs. n. 385 del 1993, abilitano la Banca d'Italia, su conforma delibera del C.I.C.R. a stabilire che particolari contratti possano essere stipulati in forma diversa da quella scritta, sicché quanto da queste autorità stabilito circa la non necessità della forma scritta, in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto , va inteso nel senso che l'intento di agevolare particolari modalità della contrattazione non comporta una radicale soppressione della forma scritta ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi l'indicazione nel contratto madre delle condizioni economiche cui andrà assoggettato il contratto figlio Cass., Sez. I, 22 novembre 2017, n. 27836 . Precisa ancora la Corte di Cassazione che l'intento di agevolare particolari modalità della contrattazione non può comportare, in una equilibrata visione degli interessi in campo, una radicale soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa, con l'effetto perciò che andrà in particolare salvaguardata la necessità che, giusta la previsione dell'art. 117 TUB, il contratto madre rechi le necessarie condizione economiche disciplinanti il contratto figlio . Poiché, nella specie, ad avviso della Corte di Cassazione, il motivo è sul punto silente - né il documento che ne integra l'illustrazione offre ragione del contrario - la censura viene ritenuta priva di ogni rilevanza ai fini del decidere. Conclude la Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, che l'attenuazione della forma scritta, seppur consentita, non comporta l'integrale soppressione del requisito, sicché non si può deflettere da essa, dovendo le condizioni del rapporto trovare comunque una regolamentazione in forma scritta. Qualche precedente giurisprudenziale in materia. Di recente, sul tema dell’eccezione di prescrizione della banca e con ampi richiami giurisprudenziali, cfr. R. BENCINI, Apertura di credito l’eccezione di prescrizione della banca al lume del riparto dell’onere probatorio, in Diritto e Giustizia.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 dicembre 2019 – 5 marzo 2020, n. 6195 Presidente De Chiara – Relatore Marulli Fatti di causa 1. Con ricorso a questa Corte M.L. censura sulla base di tre motivi l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino, accogliendo il gravame di Veneto Banca ed in parziale riforma dell’impugnata decisione di primo grado, ha dichiarato prescritto, con riferimento alle rimesse antecedenti al 21.12.1999, il diritto del medesimo alla ripetizione delle somme che la banca aveva indebitamente introitato a titolo di interessi anatocistici, interessi ultralegali, commissione di massimo scoperto, spese e competenze in dipendenza del rapporto di conto corrente aperto dal M. in data antecedente al 1.8.1995 e chiuso dopo il 31.12.1999. Il giudice territoriale, richiamati in generale gli enunciati in tema di prescrizione fissati dalle SS.UU. con la sentenza 24418/2010, ha motivato il proprio deliberato sull’assunto che, avendo la banca eccepito la prescrizione di tutte le rimesse antecedenti alla predetta data, così individuando adeguatamente l’oggetto dell’eccezione e la sua decorrenza, l’eccezione così formulata è determinata nell’oggetto e soddisfa le condizioni minime di chiarezza esigibili a tutela del contraddittorio , rendendosi perciò inutile un elencazione dettagliata di tutte le singole rimesse, tanto più che non essendo provata la esistenza di un affidamento in conto, automaticamente tutte le rimesse, nella prospettazione della banca, sono da reputarsi solutorie . Nè, per vero, ha aggiunto il decidente, è ravvisabile nella specie un affidamento in senso tecnico, posto che non è stato prodotto in atti alcun contratto scritto di apertura di credito o, comunque, di finanziamento , nè è dimostrabile la sua stipulazione per facta concludentia , non essendo stato prodotto il contratto di conto corrente e non potendo farsi luogo all’applicazione del predetto principio essendo prevista ex L. n. 154 del 1992 l’adozione della forma scritta per tutti i contratti bancari e quindi anche per l’apertura di credito. Sicché in conclusione, quanto al periodo anteriore al 21.12.1999, l’eccezione di prescrizione formulata dalla banca è ammissibile e fondata e nessun onere aveva la stessa di specificatamente indicare le rimesse solutorie posto che la banca non aveva mai dato atto dell’esistenza di un contratto di apertura di credito . Al proposto ricorso, illustrato pure con memoria, resiste la banca con controricorso. 2. Chiamata in trattazione all’adunanza camerale del giorno 11.4.2019 la causa era rinviata a nuovo ruolo in attesa che le SS.UU., sollecitate con ordinanza 30.10.2018 n. 27680 di questa Sezione si pronunciassero in ordine alla questione se la prescrizione per essere validamente proposta e quindi ammissibile, dovesse contenere l’allegazione, non solo, dell’inerzia del titolare, ma anche delle singole rimesse operate nel corso del rapporto aventi natura solutoria e, pertanto, dell’avvenuto superamento del limite dell’affidamento da parte del cliente . A seguito della pronuncia resa dalle SS.UU. con sentenza in data 13.6.2019 n. 15895 ne è stata nuovamente fissata la trattazione per l’odierna pubblica udienza. Ragioni della decisione 3. Con il primo motivo di ricorso il M.si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 166 e 167 c.p.c. e 2697 c.c. poiché la Corte d’Appello, ritenendo, contrariamente alla presunzione che le rimesse abbiano nella normalità dei casi natura ripristinatoria, aveva modificato radicalmente i fatti allegati dalla banca a sostegno della eccezione di prescrizione, affermando che la banca avrebbe indicato come solutorie tutte le rimesse intervenute prima della data del 21.12.1999 , quantunque la banca nella propria comparsa di costituzione avesse omesso di dedurre ed allegare che il conto fosse scoperto e mai avesse dedotto ed allegato l’esistenza di rimesse solutorie. 4. Il motivo è infondato. Ponendo termine all’accennato contrasto le SS.UU. di questa Corte con la richiamata sentenza 15895 del 13/06/2019 hanno statuito che in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte . Ne discende pertanto che, essendo inconferente ai fini della scrutinabilità dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca che questa precisi la natura delle rimesse, non incorre nel denunciato vizio la decisione del giudice investito della sua cognizione che ne riconosca la fondatezza qualificando previamente la natura delle rimesse. 5. Con il secondo motivo di ricorso il M. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. poiché la Corte d’Appello, nell’escludere che il conto corrente a lui intestato fosse affidato ed, anzi, nell’escludere che agli atti del giudizio fosse stato prodotto il relativo contratto, non aveva preso in considerazione una prova scritta decisiva introdotta nel processo negandone addirittura l’esistenza rappresentata appunto dal predetto contratto, al cui art. 6 era previsto che il correntista può utilizzare in una o più volte la somma messagli a disposizione e può con successivi versamenti ripristinare la sua disponibilità , intendendosi in tal modo disciplinare dettagliatamente le condizioni del servizio accessorio dell’apertura di credito. 6. Il motivo è infondato. Come questa Corte ha ancora di recente precisato - riprendendo anche con il più recente arresto delle SS.UU. Cass., Sez. U, 13/06/2019, n, 15895 dianzi richiamato il filo delle riflessioni già sviluppate in tema da Cass., Sez. U, 2/12/2010, n. 24418 dell’avviso, si ricorderà, che l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati - che allorché si discuta della prescrizione nella suddetta materia occorra distinguere, tra i conti correnti passivi, i contratti a servizio dei quali sia prevista la messa a disposizione del cliente di un certa somma a mezzo di un parallelo contratto di apertura di credito conti affidati dai contratti di conto corrente che di tale servizio non fruiscono conti non affidati . Mentre in relazione a questi ultimi le rimesse hanno tutte funzione solutoria in quanto, essendo dirette a colmare le passività maturate scoperto , comportano un pagamento operando uno spostamento patrimoniale in favore della banca, in relazione ai primi le rimesse possono avere tanto natura solutoria allorché siano dirette a colmare le passività conseguenti all’utilizzazione della provvista in misura superiore al consentito sconfinamento , quanto natura ripristinatoria se le rimesse siano volte invece a ripristinare la provvista nei limiti dell’accordato. Dunque, è dirimente stabilire, secondo i dettami del citato arresto, onde accertare se bene abbia fatto il decidente del grado ad affermare che nella specie tutte le rimesse effettuate dal M. in epoca anteriore al 21.12.1999 avessero natura solutoria, se il conto corrente intestato al medesimo fosse un conto affidato o meno. 7. Esaminando perciò il detto secondo motivo di ricorso, reputa la Corte che al suo scrutinio non faccia previamente ostacolo la riconduzione dell’errore con esso lamentato al campo dei vizi revocatori e, segnatamente, del’errore revocatorio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, giacché la suggestione in chiave ostativa argomentata dal tenore di detta norma - che rende suscettibili di revocazione le decisioni fondate sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa ovvero sulla supposta inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita smarrisce ogni forza persuasiva di fronte alla considerazione che il fatto onde concretare un errore rilevante ai fini della revocazione non deve essere controverso e non deve aver formato oggetto di pronuncia, circostanze che nella specie in esame fanno manifesto difetto, dibattendosi, infatti, tra le parti se il conto fosse affidato o meno ed essendosi il decidente pronunciato sul punto escludendo, non essendovene prova agli atti, che il conto corrente intestato al M.fosse pure assistito da un’apertura di credito. 8. La doglianza, non altrimenti resistita, poiché le ulteriori obiezioni che la banca vi oppone sul terreno dell’ammissibilità involgono valutazioni di merito, si rivela tuttavia, allo scrutinio, infondata in relazione ad entrambi i dedotti profili di erroneità. È certo infondata laddove essa allega la violazione dell’art. 2697 c.c., essendo stabile convinzione di questa Corte che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5 Cass., Sez. III, 29/05/2018, n. 13395 . 9. Ma infondata si rivela anche in relazione alla pure denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c., quando, tenendo conto dell’insegnamento ancora dispensato da questa Corte al riguardo secondo cui la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale Cass., Sez. I, 28/02/2018, n. 4699 - non si voglia, invece, credere che l’omissione lamentata sotto questo secondo profilo sia prima facie altrettanto inconferente. Diversamente, occorre invero considerare che la Corte d’Appello, nel ricusare la convinzione che nella specie il conto intestato al M. fosse un conto affidato, si era fatta scudo non solo del fatto che non fosse stato prodotto in atti alcun contratto scritto di apertura di credito o comunque di finanziamento , ma, a riprova che l’affidamento non avrebbe potuto essere argomentato per facta concludentia, anche del rilievo che nella specie non è stato prodotto il contratto di conto corrente ovvero che stante l’assenza del contratto di conto corrente, non è rinvenibile aliunde alcuna valida pattuizione in ordine all’affidamento . Come però riporta il motivo e come significativamente non contesta il controricorso che anzi spendendo l’argomento dell’errore revocatorio non mette in dubbio che il documento in parola fosse stato messo a disposizione del giudice i merito - il contratto di conto corrente 20397/0 del 24.2.1993 non solo era stato prodotto agli atti del giudizio, ma, per mezzo della previsione racchiusa nel suo art. 6, introduceva nel giudizio un fatto astrattamente idoneo a provare secondo la prospettazione dell’istante che il conto aperto a suo nome presso la banca convenuta fosse affidato. Onde il contrario convincimento espresso dalla Corte d’Appello risulta errato, a nulla valendo a svaporarne l’astratta portata cassatoria opporre che si tratta non di un errore di diritto, ma di un errore di giudizio dacché, per effetto della previsione che vi figura, il documento non ha solo la valenza di un elemento istruttorio, ma pure di fatto probatorio, tanto più meritevole di considerazione quanto più si rifletta che, benché all’epoca della stipulazione del contratto di che trattasi la L. 17 febbraio 1992, n. 154 avesse previsto l’adozione della forma scritta per tutti i contratti bancari, le note istruzioni della Banca d’Italia consentano l’adozione di una forma scritta attenuata allorché l’apertura di conto trovi previsione nel contratto di conto corrente. 10. E tuttavia il rilevato errore non ha nella specie la portata che il ricorrente vorrebbe riconoscergli. Fa agio su di essa quanto questa Corte si è già data ragione al riguardo di affermare annotando che in tema di disciplina della forma dei contratti bancari, la L. n. 154 del 1992, art. 3, comma 3, e successivamente il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 2, abilitano la Banca d’Italia, su conforma delibera del C.I.C.R. a stabilire che particolari contratti possano essere stipulati in forma diversa da quella scritta, sicché quanto da queste autorità stabilito circa la non necessità della forma scritta, in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto , va inteso nel senso che l’intento di agevolare particolari modalità della contrattazione non comporta una radicale soppressione della forma scritta ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi l’indicazione nel contratto madre delle condizioni economiche cui andrà assoggettato il contratto figlio Cass., Sez. I, 22/11/2017, n. 27836 . L’intento di agevolare particolari modalità della contrattazione non può infatti comportare, in una equilibrata visione degli interessi in campo, una radicale soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa, con l’effetto perciò che andrà in particolare salvaguardata la necessità che, giusta la previsione dell’art. 117 TUB, il contratto madre rechi le necessarie condizione economiche disciplinanti il contratto figlio . Poiché, nella specie, il motivo è sul punto silente - nè il documento che ne integra l’illustrazione offre ragione del contrario - la declinata censura con riferimento alla violazione dell’art. 115 c.p.c. si perime da sé, risultando perciò priva di ogni rilevanza ai fini del decidere. E dunque con ciò trova ragione la decretata infondatezza della relativa doglianza. 11. Con ciò resta assorbito anche il terzo motivo di ricorso, mercè il quale il M. rinnova la denuncia per violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 117 TUB e art. 2697 c.c. poiché la Corte d’Appello, nell’affermare che il contratto di apertura di credito debba essere stipulato per iscritto, aveva trascurato che in forza della delibera CICR 4.3.2003 attuativa del comma 2 dell’art. 117 Tub la forma scritta non era obbligatoria per le operazioni e i servizi già previsti in contratti redatti per iscritto , di modo che essendo stato prodotto in giudizio il contratto di conto corrente recante la predetta previsione l’obbligo formale doveva considerarsi assolto. Al contrario, come visto, l’attenuazione della forma scritta, consentita dalle norme richiamate nella sua rubrica, non comporta affatto l’integrale soppressione del requisito, sicché se, come si è affermato rigettando il secondo motivo di ricorso, non si può deflettere da essa, dovendo le condizioni del rapporto trovare comunque una regolazione in forma scritta, la censura perde conseguentemente ogni consistenza. 12. Il ricorso va dunque respinto. 13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da susseguente dispositivo. Ove dovuto il raddoppio del contributo, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater. P.Q.M. Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge. Ove dovuto il raddoppio del contributo, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.