Vettura usata guasta, niente intervento dalla società che ‘copre’ la garanzia offerta dalla concessionaria

L’intoppo subito ha spinto il proprietario a chiedere la risoluzione del contratto e la restituzione del prezzo pagato. La concessionaria ha pensato di ‘scaricare’ il problema sulla società. Ma su questo fronte il rifiuto di attivare la garanzia non può rendere la società responsabile nei confronti del venditore per la risoluzione del contratto intercorso con il cliente.

L’acquisto di un’automobile usata si rivela un pessimo affare. Innanzitutto, perché la vettura viene subito bloccata da un guasto, e poi perché la società che si è fatta carico degli obblighi derivanti dalla garanzia convenzionale prestata dalla concessionaria ha respinto la richiesta di intervento sul veicolo. Ciò nonostante, è discutibile, osservano i Giudici in Cassazione, ritenere legittima in automatico la risoluzione del contratto di acquisto della vettura e, contrariamente a quanto sancito sia in primo che in secondo grado, ‘caricarla’ sulla società e non sulla concessionaria Cassazione, ordinanza n. 31859/19, sez. II Civile, depositata oggi . Guasto. Il nuovo proprietario della vettura usata cita in giudizio la concessionaria che gliel’ha venduta, chiedendo la risoluzione del contratto di acquisto per vizio del veicolo. La domanda è considerata accoglibile prima in Tribunale e poi in Appello, con conseguente sanzione per la società che, in sostanza, si era fatta carico degli obblighi derivanti dalla garanzia convenzionale prestata dalla concessionaria all’acquirente della vettura. Per i Giudici di merito è evidente che la società non ha dato seguito a una richiesta di intervento sul veicolo, e ciò sull’erroneo presupposto che la colpa del guasto fosse da ricondurre alla negligenza o all’imperizia dell’automobilista, e a causa di tale rifiuto l’intervento non venne effettuato, determinandosi, di conseguenza, la risoluzione del contratto e l’obbligo di restituire il prezzo, salva la riduzione dell’importo per tenere conto del precedente uso del veicolo . In sostanza, la responsabilità della società viene basata sulla violazione dell’obbligazione di garanzia che , osservano i giudici, aveva indotto la concessionaria a rifiutare il ripristino chiesto dall’acquirente . Risoluzione. Le valutazioni compiute tra primo e secondo grado vengono messe fortemente in discussione in Cassazione. Condivisibile, secondo i Giudici, l’osservazione proposta dai legali della società, osservazione secondo cui vi è stata la condanna a sopportare le conseguenze della risoluzione del contratto di vendita in assenza di qualsiasi indicazione circa il titolo giuridico di una siffatta responsabilità . In premessa viene ricordato che in primo e in secondo grado è stata accolta la domanda di manleva proposta dalla concessionaria contro la società, che è stata così condannata a tenere indenne la concessionaria in ordine alle conseguenze della risoluzione del contratto di vendita con il cliente . Tale decisione è stata motivata col fatto che la società col suo ingiustificato rifiuto di considerare il guasto lamentato dal proprietario dell’auto ha indotto il venditore a rifiutare il richiesto ripristino e a non poter disporre dell’importo garantito a favore del cliente . Per i Giudici della Cassazione, però, questa linea di pensiero è assai fragile, poiché non si comprende per quale ragione il rifiuto della società di dare corso all’intervento, pure in ipotesi ingiustificato, potesse considerarsi fattore esclusivo e determinante per la risoluzione del contratto di vendita col consumatore . In sostanza, manca il titolo a cui agganciare il ragionamento secondo cui il rifiuto di attivare la garanzia rendesse responsabile la società, nei confronti del venditore, per la risoluzione del contratto intercorso con il cliente . A fronte di questo quadro, nessun elemento, secondo i giudici, permette di giustificare la condanna della società al pagamento di un importo superiore rispetto al massimale di polizza . Necessario, quindi, un secondo processo in Appello, proprio per valutare meglio l’elemento della risoluzione del contratto rispetto alla posizione della concessionaria e della società.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 25 settembre – 5 dicembre 2019, n. 31859 Presidente Gorjan – Relatore Tedesco Ritenuto che W. Su. chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Monza la Camauto Due s.a.s., chiedendo che fosse pronunciata la risoluzione, per vizio della cosa venduta, del contratto di acquisto della vettura usata tipo Mazda, modello 6, targata omissis , che l'attore aveva acquistato presso la concessionaria convenuta, di cui chiedeva la condanna alla restituzione del prezzo, oltre rivalutazione e interessi dall'acquisto. Su istanza della convenuta era autorizzata ed eseguita la chiamata in garanzia della Safecar S.p.A. Costituitasi la Safecar, il tribunale accoglieva sia la domanda proposta dall'attore, sia la domanda di garanzia. Al riguardo il primo giudice osservava che la Safecar, che si era fatta carico degli obblighi derivanti dalla garanzia convenzionale prestata dal venditore, non aveva dato seguito a una richiesta di intervento sul veicolo, e ciò sull'erroneo presupposto che la colpa del guasto fosse da ricondurre a negligenza o imperizia dell'utilizzatore. A causa di tale rifiuto l'intervento non venne effettuato, determinandosi di conseguenza la risoluzione del contratto e l'obbligo del venditore di restituire il prezzo, salva la riduzione dell'importo per tenere conto del precedente uso del veicolo. La Corte d'appello di Milano confermava la sentenza. Essa condivideva la valutazione del primo giudice sia quanto alla genesi del guasto, che era tale da escludere una responsabilità per imprudenza o negligenza dell'utilizzatore, sia quanto alla misura del danno liquidato, sia quanto alla ricostruzione giuridica, fondandosi la responsabilità della Safecar sulla violazione dell'obbligazione di garanzia, che aveva indotto Camauto a rifiutare il ripristino richiesto dall'acquirente. Per la cassazione della sentenza Safecar ha proposto ricorso, affidato a due motivi. Carnuto Due s.a.s. e W. Su. sono rimasti intimati. Considerato che In relazione all'intervenuto fallimento della ricorrente Safecar s.r.l., reso noto dal difensore con la memoria depositata in vista dell'udienza camerale, la relativa circostanza è irrilevante in questa sede di legittimità. Infatti l'intervenuta modifica dell'art. 43 L. fall, per effetto dell'art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui stabilisce che l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo , non comporta l'interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest'ultimo, in quanto dominato dall'impulso d'ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge Cass. n. 27143/2017 n. 21153/2010 . Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 128 del codice del consumo. Si rimprovera alla corte di non avere tenuto conto dell'effettivo ruolo di Safecar nella vicenda, la quale non era una compagnia di assicurazione chiamata a coprire tout court i vizi e i difetti del bene usato compravenduto, ma si era solamente accollata alcuni degli obblighi inclusi nella garanzia convenzionale che il venditore aveva prestato in favore dell'acquirente. Si sostiene che essa aveva correttamente ritenuto che non ci fossero le condizioni di operatività della garanzia. In ogni caso ciò non impediva al venditore, di contrario avviso, di eseguire l'intervento. Non avendolo fatto il solo responsabile del danno subito dal cliente era il venditore, che non aveva titolo per pretendere la restituzione di quanto pagato all'acquirente in dipendenza della risoluzione. Safecar, al limite, avrebbe potuto essere condannata al pagamento del massimale, pari a Euro 2.100,00. Si pone inoltre l'accento sull'arricchimento realizzato dal venditore, che senza sopportare alcun onere, è rientrato nella disponibilità della vettura, con la conseguente possibilità di ripararla e rivenderla. Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per carenza di motivazione. La corte ha condannato Safecar a sopportare le conseguenze della risoluzione del contratto di vendita fra Camauto e il cliente, in assenza di qualsiasi indicazione circa il titolo giuridico di una siffatta responsabilità. Si impone in via prioritaria l'esame del secondo motivo, che è fondato. Costituisce orientamento oramai consolidato nella giurisprudenza della Corte che in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c, disposta dall'art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. Cass. n. 22598/2018 n. 8053/2014 . Nel caso in esame ricorre il vizio della motivazione nei termini sopra descritti. E invero la corte di merito ha accolto la domanda di manleva proposta dalla venditrice contro Safecar, che è stata così condannata a tenere indenne la Camauto in ordine alle conseguenze della risoluzione del contratto di vendita con il cliente. La ragione portata a sostegno della decisione risiede in ciò l'odierna ricorrente, con il suo ingiustificato rifiuto di considerare il guasto lamentato dal consumatore compreso nella garanzia convenzionale, aveva indotto il venditore a rifiutare il richiesto ripristino e a non poter disporre, a favore del cliente, dell'importo garantito . Fatto è però che tale implicazione non riflette una corrispondente ricostruzione giuridica della fattispecie idonea a giustificarla. In particolare non si comprende quale sia stata la ragione per cui il rifiuto di Safecar di dare corso all'intervento, pure in ipotesi ingiustificato, potesse considerarsi fattore esclusivo e determinante la risoluzione del contratto di vendita intercorso con il consumatore. La sentenza è infatti del tutto silente riguardo al titolo in base al quale il rifiuto di Safecar di attivare la garanzia la rendesse responsabile, nei confronti del venditore, della risoluzione del contratto intercorso con il cliente. Nulla si dice inoltre che possa giustificare la condanna dell'attuale ricorrente al pagamento di un importo superiore rispetto al massimale di polizza. L'accoglimento del secondo motivo comporta l'assorbimento del primo motivo. La sentenza deve essere cassata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il secondo motivo di ricorso dichiara assorbito il primo motivo cassa la sentenza in relazione al motivo accolto rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Milano anche per le spese.