Con il pignoramento cessa la locazione

Il pignoramento di alcune quote di proprietà dell’immobile determina l’automatica cessazione di efficacia del contratto di locazione, in situazione di libera disponibilità del termine di scadenza contrattuale, laddove manchi l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dall’art. 560, comma 2, c.p.c

Così si è pronunciata la Terza Sezione Civile della Suprema Corte, con la sentenza n. 19522/19, depositata il 19 luglio. I fatti. I fatti di causa risalgono al 31.5.2015, data di scadenza naturale di un contratto di locazione di un immobile sito in Milano. Detto bene apparteneva a tre comproprietari ed il 50% delle quote, prima del 31.5.2015, era stato sottoposto a pignoramento. In conseguenza, entro i termini di legge, il titolare del residuo 50% delle quote aveva manifestato al conduttore la propria volontà di non rinnovare il rapporto alla seconda scadenza. Successivamente, lo stesso aveva agito in giudizio per far rilevare l’intervenuta, automatica, cessazione del contratto, non essendo intervenuta l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione per la rinnovazione della locazione, ex art. 560 c.p.c La domanda era stata accolta in primo grado ma, in seguito all’impugnazione interposta dal conduttore, con sentenza resa in data 10.10.2016, la Corte d’Appello meneghina aveva riformato la pronuncia. Invero, sul rilievo del documentato dissenso dei comunisti titolari delle quote pignorate, il Collegio aveva ritenuto carente di legittimazione attiva il terzo locatore, in assenza dell’autorizzazione del giudice, prevista dall’art. 1105 c.c., per il caso di dissenso tra i comunisti, in ordine alla gestione della cosa comune. La decisione della corte di cassazione. Il locatore rimasto soccombente ha formulato ricorso innanzi alla Suprema Corte, affidato a tre motivi di diritto omesso esame e vizio di motivazione in ordine all’inammissibilità dell’appello, per difetto dei requisiti di forma e contenuto omesso esame di un fatto decisivo controverso, costituito dall’applicazione ed interpretazione degli artt. 560 e 632 c.p.c., nonché per omesso esame del tema della mancata autorizzazione del giudice dell’esecuzione alla rinnovazione della locazione la violazione dell’art. 1105 c.c., per mancata correlazione con l’art. 560 c.p.c. ed omessa applicazione dell’art. 1105 c.c. Mentre il primo motivo è stato ritenuto inammissibile, poiché l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra una violazione dell’art 112 c.p.c. da far valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., le restanti doglianze, esaminate congiuntamente, sono state accolte. In primis , la Corte ha chiarito che la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza costituisce un effetto automatico derivante direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che, in caso di pignoramento dell’immobile, tale rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione. Diversamente, la rinnovazione tacita del contratto alla seconda scadenza, a seguito del mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di disdetta, non motivata, del rapporto, costituisce una libera manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che , in caso di pignoramento dell’immobile locato eseguito in data antecedente la scadenza del termine per l’esercizio della menzionata facoltà da parte del locatore, la rinnovazione della locazione necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dall’art. 560, II comma, c.p.c Dunque, ha aggiunto la Corte, in corrispondenza del terzo rinnovo della locazione, ovvero, in situazione di libera disponibilità del termine di scadenza contrattuale, sopravvenuto il pignoramento di alcune quote di comproprietà, il mancato intervento di alcuna autorizzazione del giudice dell’esecuzione, deve ritenersi tale da aver determinato l’automatica cessazione di efficacia del contratto, poiché la comune volontà dei comproprietari locatori si sarebbe dovuta necessariamente formare previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione. Nessun rilievo, infatti, poteva avere il mero dissenso manifestato stragiudizialmente dai comunisti pignorati poiché unica modalità per impedire la scadenza poteva essere quella di adire – previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione – il giudice della comunione, ai sensi dell’art. 1105 c.c., allo scopo di provocare un’eventuale decisione diversa da quella in concreto adottata. Tutto ciò premesso, il ricorso è stato accolto nei limiti anzi descritti, con rinvio della causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, per un nuovo esame dei fatti, alla luce dei principi di diritto espressi in motivazione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 maggio – 19 luglio 2019, n. 19522 Presidente Amendola – Relatore Dell’Utri Fatti di causa 1. Con sentenza resa in data 10/10/2016 la Corte d’appello di Milano, in accoglimento dell’impugnazione proposta da P.A. e in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda avanzata da D.A.N.F. per l’accertamento della cessazione del contratto di locazione stipulato tra i comproprietari il D.A. per la quota del 50%, e M.M. e Mo.Ma. per le quote del 25% ciascuno , quali locatori, e P.A. , quale conduttore. 2. A fondamento della decisione assunta, la corte d’appello ha evidenziato come il contratto in esame fosse stato concluso tra le parti in data 1/6/2003, con previsione di rinnovo quadriennale automatico in assenza di tempestiva disdetta. 3. Nel corso del rapporto, più volte rinnovatosi, le quote di comproprietà spettanti a M.M. e Mo.Ma. erano state sottoposte a pignoramento e, conseguentemente, il D.A. aveva agito in giudizio al fine di far rilevare l’intervenuta automatica cessazione del rapporto per la successiva scadenza del 31/5/2015, non essendo intervenuta l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione per la rinnovazione della locazione, ai sensi dell’art. 560 c.p.c 4. Peraltro, il D.A. aveva altresì provveduto a manifestare tempestivamente la propria volontà di negare l’automatico rinnovo del contratto alla scadenza del 31/5/2015. 5. Ciò posto, la corte d’appello, avendo rilevato la documentata dimostrazione del dissenso dei comproprietari, M.M. e Mo.Ma. , rispetto alla volontà del D.A. di provocare la cessazione del rapporto, ha ritenuto che fosse stata superata la presunzione di consenso di tutti i comproprietari all’attività gestoria singolarmente assunta dall’originario attore, da ciò derivando l’accertamento del difetto di legittimazione attiva di quest’ultimo all’esercizio dell’azione proposta nei confronti del P. , in assenza dell’autorizzazione del giudice prevista dall’art. 1105 c.c., per il caso di dissenso tra i comunisti in ordine alla gestione della cosa comune. 6. Avverso la sentenza d’appello, D.A.N.F. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione. 7. P.A. resiste con controricorso. 8. Avviato il ricorso alla decisione della Sesta Sezione Civile di questa Corte, il Collegio, con ordinanza interlocutoria del 12/3/2018, n. 6005, ritenutane l’opportunità, ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo, affinché ne fosse promossa la discussione in pubblica udienza. 9. All’odierna udienza, a seguito della discussione delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame e vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 , per avere la corte territoriale omesso di rilevare e, conseguentemente, di assumere alcuna decisione in ordine all’eccezione relativa all’inammissibilità dell’appello proposto dal P. per difetto dei requisiti di forma e di contenuto imposti dagli artt. 342 e 348-bis c.p.c 2. Il motivo è inammissibile. 3. Al riguardo, osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, che consente alla parte di chiedere - e al giudice di legittimità di effettuare - l’esame degli atti del giudizio di merito, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 v. Sez. L, Sentenza n. 22759 del 27/10/2014, Rv. 633205-01 v. altresì Sez. L, Sentenza n. 2687 del 11/02/2015, Rv. 634284-01 . 4. Nel caso di specie, deve ritenersi che il ricorrente sia incorso nell’inammissibilità descritta, avendo lo stesso denunciato l’omessa pronuncia sull’eccezione relativa all’inammissibilità dell’appello proposto dal P. per difetto dei requisiti di forma e di contenuto imposti dagli artt. 342 e 348-bis c.p.c., nella prospettiva del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 e non già in quella riferita all’error in procedendo consistito nella violazione dell’art. 112 c.p.c 5. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame del fatto decisivo controverso costituito dall’applicazione e dall’interpretazione degli artt. 560 e 632 c.p.c., nonché per vizio di motivazione e violazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 , per avere la corte territoriale totalmente omesso di affrontare il tema concernente il rilievo, ai fini della rinnovazione del contratto di locazione, della mancata autorizzazione del giudice dell’esecuzione in ordine alla possibilità di detta rinnovazione, in tal modo trascurando di rilevare come i comproprietari M.M. e Mo.Ma. , siccome titolari di quote sottoposte a pignoramento, non possedessero alcuna legittimazione al libero esercizio dei diritti connessi al proprio titolo dominicale, sì che l’unico legittimato a disporre della facoltà di provvedere alla cessazione o alla rinnovazione del contratto di locazione era il solo D.A. , dovendo ritenersi del tutto ininfluente il dissenso manifestato dai M. alla volontà del D.A. di provocare la cessazione del contratto, in mancanza di alcuna autorizzazione sul punto del giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 560 c.p.c Peraltro, nessun rilievo avrebbe potuto attribuirsi all’intervenuta estinzione della procedura esecutiva, atteso che l’effetto risolutorio del contratto di locazione si era ormai già prodotto, senza che alcun evento successivo fatta eccezione per l’espressa volontà delle parti interessate, nella specie mancata avrebbe potuto modificarlo o revocarlo. 6. Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1105 c.c., per mancata correlazione con l’art. 560 c.p.c. e per omessa applicazione dell’art. 1109 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 , per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare come il disposto dell’art. 1105 c.c. nella parte in cui subordina l’amministrazione della cosa comune alla volontà dei comunisti, salvo l’intervento del giudice in caso di impossibilità di funzionamento dei criteri maggioritari non possa prescindere dall’applicazione dell’art. 560 c.p.c., ossia dall’intervenuta destituzione del comunista le cui quote siano state sottoposta a pignoramento dal potere di esercitare le facoltà di gestione della cosa comune allo stesso spettanti. Sotto altro profilo, il ricorrente evidenzia come erroneamente il giudice d’appello avesse omesso di rilevare il mancato intervento in giudizio dei M. e la relativa mancata impugnazione della decisione di primo grado, da ciò derivando la contestabilità della legittimazione del P. a promuovere validamente il giudizio d’appello o a rilevare il difetto di legittimazione passiva del D.A. , una volta che i partecipanti alla comunione, dissenzienti rispetto alla deliberazione di gestione della cosa comune, avevano omesso di impugnarla, ai sensi dell’art. 1109 c.c 7. Entrambi i motivi - congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione - sono fondati nei termini che seguono. 8. Varrà preliminarmente considerare, al riguardo, come, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego di rinnovazione, ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 28 e 29, costituisce un effetto automatico derivante direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che, in caso di pignoramento dell’immobile, tale rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dell’art. 560 c.p.c., comma 2 Sez. U, Sentenza n. 11830 del 16/05/2013, Rv. 626185-01 . In coerenza a tale premessa, si è quindi ritenuto sempre in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo che la rinnovazione tacita del contratto alla seconda scadenza contrattuale, a seguito del mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di disdetta non motivata del rapporto ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 28, comma 1, costituisce una libera manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che, in caso di pignoramento dell’immobile locato eseguito in data antecedente la scadenza del termine per l’esercizio della menzionata facoltà da parte del locatore, la rinnovazione della locazione necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione prevista dall’art. 560 c.p.c., comma 2 Sez. 3, Sentenza n. 11168 del 29/05/2015, Rv. 635497-01 . 9. In forza di tali premesse, è agevole concludere che, nel caso di specie, in corrispondenza del terzo rinnovo della locazione - e quindi in situazione di libera disponibilità del termine di scadenza contrattuale -, sopravvenuto il pignoramento delle quote di proprietà dei M. , il mancato intervento di alcuna autorizzazione del giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 560 c.p.c., deve ritenersi tale da aver determinato l’automatica cessazione di efficacia del contratto, poiché la comune volontà dei comproprietari locatori, in ipotesi diretta a consentirne l’eventuale rinnovazione, si sarebbe dovuta necessariamente formare vieppiù a fronte del dissenso alla rinnovazione dell’unico comunista in bonis previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione. 10. In tal senso, nessun rilievo può essere ascritto al mero dissenso manifestato stragiudizialmente dai M. in ordine alla gestione della cosa comune operata dal D.A. , atteso che l’unica modalità possibile per l’ eventuale impedimento della definitiva scadenza della locazione voluta dal D.A. sarebbe stata quella di adire, previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione ex art. 560 c.p.c., il giudice della comunione ex art. 1105 c.c. allo scopo di provocare un’eventuale ma solo possibile decisione diversa da quella in concreto fatta propria dal D.A. . 11. Allo stesso modo, nessun rilievo può essere attribuito al prospettato fine di far rivivere, a seguito dell’intercorsa estinzione della procedura esecutiva, il contratto di locazione nelle more definitivamente cessato alla previsione dell’art. 632 c.p.c. che sancisce l’inefficacia degli atti compiuti, là dove l’estinzione del processo esecutivo si verifichi prima dell’aggiudicazione o dell’assegnazione dei beni staggiti , non essendo stato nella specie propriamente compiuto alcun atto della procedura in ipotesi destinato a determinare la cessazione dell’efficacia del contratto di locazione e di cui predicare l’eventuale inefficacia ai sensi dell’art. 632 c.p.c. e dovendo in ogni caso ritenersi in forza di un elementare principio di certezza delle situazioni giuridiche sostanziali che l’estinzione del procedimento esecutivo non valga a comportare l’inefficacia degli atti ritualmente posti in essere nel corso del processo esecutivo, là dove dal relativo compimento sia eventualmente derivata la legittima attribuzione di diritti in favore di terzi. 12. Sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del secondo e del terzo motivo del ricorso, e dichiarata l’inammissibilità del primo, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il secondo e il terzo motivo dichiara inammissibile il primo cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.