La buona conoscenza del mercato finanziario da parte dell’intermediario non esclude gli obblighi informativi a suo carico

Gli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario finanziario sussistono a prescindere dai profili di rischio e dalla sua esperienza in materia, poiché è proprio in relazione a tali informazioni che il cliente può scegliere gli investimenti che, secondo lui, hanno maggiori probabilità di successo.

Così si pronuncia la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15709/19, depositata l’11 giugno. Il caso. La Corte d’Appello di Torino respingeva il gravame proposto dall’attore avverso un istituto bancario, il quale aveva ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni per responsabilità di natura contrattuale, precontrattuale ed extracontrattuale, per avere lo stesso sottoscritto alcuni ordini di acquisto di obbligazioni argentine senza aver ricevuto informazioni circa la loro natura inoltre, la banca aveva realizzato sugli stessi titoli una sollecitazione al pubblico risparmio violando le norme sul collocamento, senza fornire alcuna documentazione all’acquirente sull’adeguatezza dell’investimento e sui profili di rischio. Contro la suddetta pronuncia, il cliente propone ricorso per cassazione, deducendo la sussistenza della responsabilità della banca in ordine alla violazione degli obblighi di diligenza, all’omesso esame della sollecitazione dell’investimento da essa posto in essere, nonché alla mancata produzione in giudizio della traduzione in lingua italiana di un documento rientrante tra gli obblighi informativi dell’intermediario. La responsabilità della banca in qualità di intermediatore finanziario. La Suprema Corte accoglie i primi due motivi di ricorso. Per quanto riguarda la violazione degli obblighi di diligenza della banca nell’ambito dei servizi di intermediazione finanziaria, con riferimento all’onere della banca di dimostrare di aver agito in base ai canoni di diligenza richiesti, la Corte richiama il principio in base al quale in tema di intermediazione mobiliare, le valutazioni dell’adeguatezza delle operazioni al profilo di rischio del cliente ed alla sua buona conoscenza del mercato finanziario non escludono la gravità dell’inadempimento degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario finanziario sicché il fatto che l’investitore propenda per investimenti rischiosi non toglie che egli selezioni tra questi ultimi quelli, a suo giudizio, aventi maggiori probabilità di successo, grazie alle informazioni che l’intermediario è tenuto a fornirgli . Nel caso di specie, gli Ermellini rilevano che è irrilevante l’esperienza ed i rischi assunti dall’investitrice in materia, dovendosi in ogni caso trasmettere informazioni concrete e specifiche al cliente riferite ai singoli prodotti di investimento. Quanto, invece, alla mancata produzione in giudizio della traduzione in italiano della circular offering , gli Ermellini rilevano che l’art. 122 c.p.c. si applica solamente agli atti processuali in senso proprio, non anche ai documenti esibiti dalle parti, per i quali si applica l’art. 123 c.p.c., che attribuisce al giudice la mera facoltà di nominare un traduttore a tal fine, concludendo per l’infondatezza della censura. Per questi motivi, la Suprema Corte accoglie il ricorso solo in relazione ai primi due motivi.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 17 gennaio – 11 giugno 2019, n. 15709 Presidente De Chiara – Relatore Solaini Rilevato che L.G. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Ivrea, la banca Monte dei Paschi di Siena SpA svolgendo diverse domande di declaratoria di nullità, annullamento o comunque inefficacia degli acquisti di titoli intervenuti con la banca convenuta e la conseguente condanna alla restituzione del versato nonché al risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale contrattuale ed extracontrattuale. A fondamento delle pretese azionate, l’attrice aveva evidenziato di aver sottoscritto due ordini di acquisto di obbligazioni argentine, in data 24.4.1997 per Euro 35.000,00 e in data 25.8.1999 per Euro 31.000,00 e su questi titoli la banca avrebbe realizzato una sollecitazione al pubblico risparmio in violazione delle norme sul collocamento, perché tali titoli avrebbero dovuto essere destinati esclusivamente al mercato primario degli investitori istituzionali inoltre, la medesima attrice non aveva ricevuto informazioni sulla natura del titolo, nè documentazione inerente all’adeguatezza dell’investimento e all’analisi del profilo di rischio dell’investitrice. Nella resistenza della banca, il Tribunale rigettava la domanda. L’investitrice proponeva gravame che la Corte d’Appello di Venezia respingeva con sentenza pubblicata il giorno 18.8.2014. Il giudice distrettuale, delimitato l’oggetto del contendere alle questioni ancora aperte, nell’ambito delle quali non era più compresa la richiesta di declaratoria di nullità dell’investimento per illegittima sollecitazione all’investimento da parte della banca, ha ritenuto, nella sua decisione, che se anche fosse stato ravvisabile il prospettato inadempimento della banca all’obbligo informativo, l’adeguatezza dell’operazione, rispetto al profilo di rischio della L. , avrebbe escluso in ogni caso l’esistenza del nesso causale tra l’inadempimento agli obblighi informativi e l’acquisto causativo del danno che verosimilmente sarebbe stato comunque effettuato , proprio perché congruente con il profilo di rischio sia per la quantità e qualità degli investimenti effettuati nell’arco di tempo considerato sia per la loro entità economica. L.G. ricorre per cassazione contro la predetta sentenza della Corte torinese affidando l’impugnazione a due motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la banca convenuta. Considerato che Il primo motivo denuncia il vizio di violazione delle due diverse normative succedutesi temporalmente in tema di regole di condotta ed in particolare, di obblighi di diligenza della banca e del conseguente riparto dell’onere della prova nei giudizi di risarcimento del danno cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi d’intermediazione finanziaria, con riferimento all’onere in capo alla banca di dimostrare di aver agito secondo la diligenza richiesta. Il motivo è fondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte In tema di intermediazione mobiliare, le valutazioni dell’adeguatezza delle operazioni al profilo di rischio del cliente ed alla sua buona conoscenza del mercato finanziario non escludono la gravità dell’inadempimento degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario finanziario sicché il fatto che l’investitore propenda per investimenti rischiosi non toglie che egli selezioni tra questi ultimi quelli, a suo giudizio, aventi maggiori probabilità di successo, grazie alle informazioni che l’intermediario è tenuto a fornirgli. Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza nella quale la Corte di Appello aveva escluso la gravità dell’inadempimento della banca ai propri obblighi informativi ritenendo che l’investitore, possedendo una buona conoscenza del mercato finanziario, si sarebbe comunque determinato a compiere l’operazione, adeguata al suo profilo di rischio, anche se la banca avesse adempiuto agli obblighi informativi Cass. n. 8333/18 . Nel caso di specie, non ha alcuna rilevanza il profilo di rischio dell’investitrice e la sua esperienza in materia, perché le informazioni da trasmettere al cliente debbono essere concrete e specifiche in riferimento a ogni singolo prodotto d’investimento e le stesse, nella specie, andavano, comunque, fornite, indipendentemente dalle inclinazioni al rischio dell’investitrice e dal peso dell’investimento rispetto al patrimonio complessivamente investito, perché proprio sulla base delle informazioni fornite dall’intermediario l’investitore avrebbe selezionato quelle, secondo lui, con maggiori probabilità di successo. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 , nonché violazione dell’art. 112 c.p.c. in particolare, il giudice territoriale avrebbe omesso l’esame della circostanza della sollecitazione, da parte di MPS, dell’investimento per cui è causa e l’ulteriore circostanza della mancata produzione in giudizio, sempre da parte di MPS, della traduzione in lingua italiana della circular offering predisposta dall’Ente emittente i titoli in questione e prodotta soltanto in lingua inglese . In riferimento alla prima circostanza, l’odierna ricorrente, dalla violazione di norme imperative, fa discendere la responsabilità della banca sia di tipo precontrattuale che contrattuale artt. 1175, 1176, 1337 e 1375 c.c. con la richiesta del conseguente risarcimento del danno, mentre, dalla mancata attenzione alla circostanza che il documento consistente nel circular offering - per il quale, in quanto documento tecnico, non era sufficiente una media conoscenza della lingua inglese - non era stato prodotto in una lingua comprensibile a tutte le parti in causa, fa discendere la violazione di tutti quegli obblighi informativi sulla natura e rischiosità dell’investimento. Sulle medesime questioni, la ricorrente denuncia, altresì, il vizio di omessa pronuncia. In riferimento, al profilo dell’omissione di pronuncia sull’accertamento della sollecitazione all’investimento quale causa petendi di una specifica domanda risarcitoria, la censura è fondata, perché si riconnetteva alla domanda, ribadita nell’atto di appello, di risarcimento del danno per violazione del divieto - risultante dalla offering circular - di collocare le obbligazioni argentine presso i piccoli risparmiatori pp. 20, 21 e 22 dell’atto di appello dell’odierna ricorrente , e questa domanda è stata pretermessa dalla Corte d’Appello, sul rilievo che non erano stare riproposte le diverse domande di nullità e annullamento. In riferimento, invece, alla censura sulla statuizione di irrilevanza della mancata produzione della traduzione italiana della offering circular e ciò, perché doveva rientrare, invece, tra gli obblighi informativi dell’intermediario la consegna della stessa all’investitore, tale censura è infondata infatti, la mancata produzione dell’atto tradotto in italiano è tutt’altro che decisiva, perché il principio della obbligatorietà della lingua italiana, previsto dall’art. 122 c.p.c., si riferisce agli atti processuali in senso proprio e non anche ai documenti esibiti dalle parti, ai quali trova applicazione l’art. 123 c.p.c., che attribuisce al giudice la facoltà di nominare un traduttore, sempre che non si tratti di un testo di facile comprensibilità cfr. Cass. 6093/2013, 13249/2011, 12162/2004 . In accoglimento del primo motivo e del secondo, nei termini di cui in motivazione, la sentenza va,i cassata e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Torino, affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, e accoglie il secondo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione.