Il difetto di forma scritta ad substantiam del contratto è rilevabile ex officio dal giudice

Il difetto di forma scritta, richiesta ad substantiam dalla legge al fine del perfezionamento del contratto concluso tra una Pubblica Amministrazione ed un professionista, può essere rilevato d’ufficio dal Giudice chiamato a decidere sulla domanda di adempimento, avendo questi l’obbligo di verificare le condizioni dell’azione, senza ampliamento dell’oggetto della controversia.

La seconda sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 15497/19, depositata in cancelleria il 7 giugno, si è occupata del contratto di prestazione d’opera professionale nella particolare ipotesi in cui uno dei due contraenti sia una Pubblica Amministrazione e della conseguente forma scritta richiesta ad substantiam per la validità del contratto, con specifico riferimento alla rilevabilità ex officio della sua nullità da parte del giudice. Il fatto. Un ingegnere ingiungeva ad un civico Ente il pagamento di una importo a titolo di corrispettivo per il contratto di prestazione d’opera professionale intervenuto con il Comune. A fronte dell’opposizione sia il Tribunale, che la Corte di Appello, avevano ritenuto il contratto d’opera nullo, in quanto mancante della forma scritta richiesta dalla legge ad substantiam in presenza di un soggetto pubblico contraente. Con la medesima pronuncia la domanda di indebito arricchimento presentata dal professionista era invece stata considerata tardiva e, quindi, inammissibile. La decisione approdava così dinanzi alla Corte di Cassazione con un articolato sistema di censure che i ricorrenti, quali eredi del professionista, avevano formulato. La doglianza principale colpiva l’eccezione di nullità del contratto d’opera professionale formulata ex officio dal Giudice dopo lo spirare dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., cui non era seguita la rimessione in termini degli appellanti, ancorché formulata al fine di dedurre nuove prove in ordine all’esistenza del contratto tra professionista e Comune. La mancanza di prova scritta ad substantiam e le sue conseguenze. Questo punto di censura era respinto dalla Suprema Corte. Preliminarmente i Giudici di nomofilachia specificavano che il contratto d’opera professionale tra la Pubblica Amministrazione ed il privato deve avere i requisiti della forma scritta richiesta ad substantiam, ai sensi di quanto disposto dal r.d. n. 2440/1923, inteso quale strumento atto a garantire il regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse del cittadino. In questo contesto normativo la Cassazione evidenziava l’irrilevanza di un eventuale deliberazione dell’Ente tesa al conferimento dell’incarico al professionista, nella misura in cui questa era in grado di esplicitare una valenza meramente interna all’Ente di natura autorizzatoria e diretta all’organo legittimato ad esprimere la volontà verso l’esterno. L’eccezione di nullità per difetto di forma e la sua rilevabilità ex officio. In merito poi alla rilevabilità di ufficio del difetto di forma, la Cassazione specificava che, trattandosi di forma scritta richiesta ad substantiam , la stessa potesse essere rilevata di ufficio dal Giudice in ogni stato e grado del processo, nelle ipotesi in cui, come quella di specie, fosse avanzata domanda di adempimento da parte dell’attore, essendo il Giudice chiamato a verificare l’esistenza delle condizioni dell’azione e, quindi, a rilevare d’ufficio le eccezioni che tendano al rigetto della domanda. Tanto il Giudice non poteva fare allorché la domanda sia finalizzata a far valere l’invalidità del contratto o a pronunciare la risoluzione per inadempimento, nella cui ipotesi doveva invece attenersi al rispetto del principio dispositivo, senza ampliamento dei suoi poteri d’iniziativa. Da qui la legittimità dell’eccezione di nullità del contratto formulata dai giudici di appello, in quanto mancante della forma scritta richiesta ad substantiam , avendo i ricorrenti, come anticipato, agito al fine di ottenere l’adempimento. L’inammissibilità della prova testimoniale. Sotto il profilo della presunta violazione del principio del contraddittorio per la mancata concessione del termine a difesa, anche al fine di articolare nuove prove, la decisione della Corte di Appello, era ritenuta dai Giudici di legittimità incensurabile. Sotto questo aspetto la Corte specificava che la richiesta di prova testimoniale richiesta dai ricorrenti, sarebbe stata ammissibile nelle ipotesi in cui il contraente abbia perduto, senza sua colpa, il documento scritto, posto a sostegno delle sue ragioni. Nell’odierna vicenda invece il ricorrente, senza prospettare l’esistenza di contratti stipulati per iscritto e la conseguente perdita incolpevole del documento, mirava invece a dimostrare l’esistenza di disciplinari d’incarico scritti. L’ammissibilità della domanda d’indennizzo per ingiustificato arricchimento. L’ultima delle censure mosse trovava invece accoglimento. Si trattava di quella relativa al rigetto della domanda d’indebito arricchimento che era stata ritenuta tardivamente proposta poiché formulata nel primo termine di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2018 avevano emesso la pronuncia n. 22404 con cui hanno avuto occasione per chiarire che nelle cause di adempimento contrattuale la domanda d’indennizzo per ingiustificato adempimento è ammissibile qualora formulata in via subordinata, con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. purché si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta con il giudizio. Nel caso di specie pur essendo la domanda d’indebito arricchimento proposta nel termine di cui alla prima memoria 183 c.p.c. comma 6 la Corte l’aveva considerata tardiva in violazione del principio di diritto enunciato dalla Cassazione a Sezioni Unite nel 2018. Per questa ragione il ricorso era accolto limitatamente a questo capo di domanda con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello per la sua decisione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 febbraio – 7 giugno 2019, n. 15497 Presidente Manna – Relatore Grasso Fatti di causa La Corte d’appello di Roma, con sentenza pubblicata il 6/12/2011, rigettò l’impugnazione proposta da M.A. e M.L. avverso la sentenza del 5/12/2003 del Tribunale di Rieti, Sezione Distaccata di Poggio Mirteto, con la quale, revocato il decreto, a suo tempo emesso in favore di Ma.Le. al quale i due appellanti erano succeduti mortis causa , con il quale era stato ingiunto al comune di omissis di pagare la complessiva somma di Euro 89.274,13, oltre accessori, era stata rigettata la domanda azionata con il provvedimento monitorio. Entrambe le sentenze avevano ritenuto che fosse affetto da nullità il contratto di prestazione d’opera professionale nella specie ingegneristica posto alla base della pretesa per difetto dei requisiti di forma imposti dalla presenza di pubblico contraente e da inammissibilità, la domanda nuova di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., tardivamente proposta. Avverso la statuizione d’appello ha proposto ricorso per cassazione, corredato da cinque motivi, M.A. , ulteriormente illustrato da memoria. Ha resistito con controricorso il comune di omissis . Questa Corte all’esito dell’adunanza camerale del 20/9/2017 rimetteva, con ordinanza depositata il 3/11/2017, alla pubblica udienza. In prossimità della pubblica udienza il ricorrente ha depositato nuova memoria. Con ordinanza interlocutoria depositata il 24/5/2018 il processo veniva rinviato a nuovo ruolo in attesa della decisione delle S.U. sulla remissione di cui all’ordinanza n. 7079/2017. Le ragioni della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 183 c.p.c., commi 3 e 4, art. 6, § 1, CEDU. Secondo l’articolato assunto censuratorio plurimi erano stati gli errori nei quali era incorsa la sentenza d’appello a il giudice aveva rilevato d’ufficio la questione della nullità quando, scaduti i termini di cui all’art. 183 c.p.c., il thema decidendum era stato oramai definito, con violazione, quindi dei principi costituzionali del contraddittorio e del giusto processo b il rilievo non aveva incontrovertibile fondamento probatorio, stante che nel passato il professionista aveva avuto diversi incarichi regolari ed aveva fornito numerosi documenti, senza che l’opponente avesse eccepito la inesistenza di tali incarichi e ciò avrebbe dovuto essere considerato almeno sul piano presuntivo c l’attore avrebbe dovuto essere rimesso in termini per dedurre nuove prove d il giudice aveva violato, in uno al contraddittorio, il dovere di collaborare con lealtà al fine di giustizia e non erano stati riaperti i termini ex art. 183 c.p.c., e non si era dato corso all’istruttoria f in appello era stata vanamente chiesta la rimessione in termini g il Comune aveva eccepito la mancanza di forma scritta solo a riguardo di cinque delle ventuno parcelle contestate e, comunque, l’opponente si è limitato, tutt’al più, a contestare la mancata indicazione nel ricorso per d.i. delle delibere autorizzato rie, cioè di atti diversi e precedenti l’atto d’incarico h aveva errato la sentenza impugnata nel ritenere che la mancanza di una fissazione di udienza apposita non aveva privato l’opposto di articolare prove, valendosi della stessa ordinanza emessa ex art. 184 c.p.c. i non era corretto affermare che gli appellanti non avevano indicato neppure in appello in che cosa sarebbe consistita l’attività difensiva sia con riferimento alla precisazione delle domande che alle richieste istruttorie , poiché la parte appellante aveva invocato la rimessione in termini. 1.1. La censura è infondata per una pluralità di convergenti ragioni. Non solo il ricorrente non spiega, neppure in questa sede, in cosa specificamente sia consistito il vulnus, ma prioritariamente va rilevato che costituisce approdo pacifico il principio secondo il quale quando d’un contratto d’opera ne sia parte la P.A. e pur ove questa agisca iure privatorum , è richiesta, in ottemperanza al disposto del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17, come per ogni altro contratto stipulato dalla P.A. stessa, la forma scritta ad substantiam , che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, ed è, quindi, espressione dei principi d’imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97 Cost. pertanto il contratto deve tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’Ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere ed al compenso da corrispondere. Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d’una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’Ente abbia conferito un incarico ad un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all’Ente di natura autorizzatoria e diretta al diverso organo legittimato ad esprimere la volontà all’esterno. Deve inoltre escludersi che il contratto possa essere concluso a distanza, a mezzo di corrispondenza, occorrendo che la pattuizione sia versata in un atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente. Tale difetto di forma scritta richiesta ad substantiam può essere rilevato d’ufficio dal giudice chiamato a decidere sulla domanda del professionista volta al pagamento del compenso, anche in grado di appello, salvo che sulla validità del contratto vi sia stata pronuncia del giudice di primo grado, non investita da specifico motivo di gravame Sez. 3, n. 1702, 26/1/2006, Rv. 588321 ex multis, conf. nn. 11930/06, 1752/07, 13508/07, 15296/07, 17650/07, 1167/013, 24679/013 . 1.2. La forma qui è costitutiva e pertanto il giudice ha il dovere di verificarne la sussistenza e in caso di constatata assenza non si è in presenza di una terza via che spiazza la difesa, senza che rilevi il grado di compiutezza dell’eccezione dell’ente pubblico. Questa Corte, come noto, ha da tempo precisato che la rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto in ogni stato e grado del processo opera solo se da parte dell’attore se ne richieda l’adempimento, essendo il giudice tenuto a verificare l’esistenza delle condizioni dell’azione e a rilevare d’ufficio le eccezioni che, senza ampliare l’oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda e possano configurarsi come mere difese del convenuto. Ne consegue che quando la domanda sia, invece, diretta a far valere l’invalidità del contratto o a pronunciarne la risoluzione per inadempimento, non può essere dedotta tardivamente un’eccezione di nullità diversa da quelle poste a fondamento della domanda, essendo il giudice, sulla base dell’interpretazione coordinata dell’art. 1421 c.c., e art. 112 c.p.c., tenuto al rispetto del principio dispositivo, anche alla luce dell’art. 111 Cost., che richiede di evitare, al di là di precise indicazioni normative, ampliamenti dei poteri d’iniziativa officiosa ex multis, Sez. 1, n. 9395, 27/4/2011, Rv. 617956 . Successivamente le S.U. hanno avuto modo di precisare, come spiega recente sentenza di questa Sezione n. 21418 del 30/08/2018 , che il rilievo ex officio di una nullità negoziale deve ritenersi consentito, sempreché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata ragione più liquida, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione , senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poiché tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014 Rv. 633504 sostanzialmente conforme, Sez. U, Sentenza n. 14828 del 04/09/2012 Rv. 623290 . Nel caso al vaglio, avendo l’odierno ricorrente agito per l’adempimento e, peraltro, avendo il Comune eccepito la mancanza della forma prescritta per cinque delle ventuno parcelle azionate, non può sorgere dubbio sulla correttezza del rilievo della nullità operato dal giudice. In ragione di quanto esposto è appena il caso di soggiungere la mancanza di rilevanza di indizi e prove, che a dire del M. dimostravano il conferimento degli incarichi. 1.3. In ogni caso, non è dato riscontrare alcuna violazione del principio del contraddittorio la questione, come dice la Corte locale, era stata prospettata dal Giudice di primo grado, con ordinanza del 27/6/2006, senza che fosse stata avanzata alcuna richiesta di prove nuove. Prove che, peraltro, il M. , trascura di specificare anche in ricorso. Va soggiunto che la richiesta di remissione in termini, che il ricorrente assume aver formulato con la comparsa conclusionale e di replica in primo grado, non merita spendita di argomenti, tenuto conto della tardività della dedotta sede. La remissione in appello correttamente è stata disattesa, poiché l’accoglimento era stato condizionato alla dimostrazione che in primo grado v’era stata impossibilità della proposizione di domande nuove conseguenti all’eccezione officiosa di cui all’ordinanza 27.1016 . 1.4. Infine, val la pena soggiungere che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata di recente, Sez. 5, n. 15879, 15/6/2018, Rv. 649017 conf. n. 3709/2014 . 2. Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 115, 184 e 210 c.p.c., art. 2724, n. 3, e art. 2725, comma 2, nonché artt. 2727 - 2729 c.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, secondo la formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anteriore alla riforma operata dal D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012. Due, in sintesi, i profili essenziali della doglianza a non era condivisibile l’affermazione secondo la quale la prova documentale offerta era generica, poiché, afferma il ricorrente, un conto è la necessità della forma scritta ad substantiam altra cosa è il modo con cui la parte che non ne ha in mano una copia conforme può comunque dare la prova della loro dei documenti esistenza in origine b avrebbero dovuto essere ammessi di mezzi di prova ed in particolare, l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., che non aveva carattere esplorativo e la prova per testi, ai sensi dell’art. 2725 c.c., comma 2, e art. 2724 c.c., n. 3, praticabile quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento infine si sarebbero dovute apprezzare le inferenze di causa ai sensi degli artt. 2727 - 2729 c.c 2.1. La doglianza è nel suo complesso, e sotto tutti i profili evidenziati, manifestamente destituita di giuridico fondamento. La forma scritta richiesta ad substantiam non tollera surrogati, salva la sola ipotesi eccezionale contemplata dal combinato disposto dell’art. 2725 c.c., u.c., e art. 2724 c.c., n. 3, quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento e non è, pertanto, consentito provare per testi e presunzioni la stipula di un contratto per il quale la legge impone la scrittura a pena di nullità. Evenienza che qui non ricorre affatto, in quanto il ricorrente, lungi dal prospettare, con l’ovvia necessaria puntualità, l’intervenuta stipula per iscritto e la perdita incolpevole del documento, si duole del mancato esperimento di un’indagine esplorativa, tanto generica quanto sommaria, diretta a riscontrare l’ipotetica esistenza dall’inizio dei disciplinari d’incarico scritti . 3. Con il quarto motivo il M. lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., art. 183 c.p.c., commi 3 e 4, art. 2041 c.c., 6, CEDU. La domanda d’arricchimento senza causa era stata dichiarata inammissibile per tardività. Invece, proprio la circostanza del tardivo rilievo d’ufficio ben avrebbe giustificato l’introduzione della domanda di cui all’art. 2041. 3.1. La doglianza è fondata nei termini seguenti. Le S.U. nel 2015 sent. n. 12310/015, Rv. 635536 avevano enunciato il principio seguente la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa petitum e causa petendi , sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue l’ammissibilità della modifica, nella memoria ex art. 183 c.p.c., dell’originaria domanda formulata ex art. 2932 c.c., con quella di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo. Sulla scia e a completamento dell’arresto di cui alla massima sopra riportata, le S.U., con la sent. n. 22404, 13/9/2018, hanno ulteriormente specificato che nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta. Poiché nel caso in esame il M. formulò domanda d’indebito arricchimento nel rispetto dell’art. 183 c.p.c., la decisione sul punto della Corte locale si rivela non conforme all’enunciazione di cui sopra, senza che possa assumere rilievo l’aver qualificato la pretesa quale vera e propria domanda nuova e non mera reconventio reconventionis. 4. Con il quinto ed ultimo motivo il ricorso prospetta l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, costituito dall’omesso esame del quarto motivo d’appello, con il quale era stata contestata l’eccezione di prescrizione presuntiva e la deduzione di carenza nella produzione delle delibere, proposte dal Comune. La questione era rimasta evidentemente assorbita assorbimento improprio dal rigetto della domanda e oggi resta assorbita dall’accoglimento del quarto motivo. 5. In ragione dell’esposto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, demandandosi al Giudice del rinvio anche il compito di regolare le spese del presente giudizio. P.Q.M. accoglie il quarto motivo del ricorso e rigetta il primo, il secondo e il terzo e dichiara assorbito il quinto, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Roma, altra Sezione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.