Il rapporto fra la risoluzione giudiziale e di diritto del contratto

Al fine di ottenere la risoluzione del contratto la domanda di risoluzione di diritto può ritenersi proposta in alternativa a quella di risoluzione giudiziale, solo se i relativi fatti che la sostanziano siano stati allegati in funzione di un proprio effetto risolutivo , ritenendo inammissibile che la domanda di risoluzione giudiziale di cui all’art. 1453 c.c., poiché di contenuto minore, contenga implicitamente la domanda di risoluzione di diritto per inosservanza della diffida ad adempiere.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29654/18 depositata il 16 novembre. La vicenda. Un’impresa di costruzioni si rivolgeva al giudice di primo grado al fine di ottenere la risoluzione del contratto di sub appalto nei confronti della curatela del fallimento di una S.r.l L’attore aveva dichiarato pertanto di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, dando luogo così a una risoluzione di diritto del contratto. La domanda del committente tuttavia veniva rigettata sia in primo che secondo grado rilevando l’insussistenza della clausola ex art. 1456 c.c. Clausola risolutiva espressa , la domanda attorea non poteva trovare accoglimento data nel contempo l’inesistenza di fattispecie alternative idonee a determinare ugualmente la risoluzione di diritto giacché non vi era stata la notificazione della diffida ad adempiere. Il committente ricorre dunque in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 Risolubilità del contratto per inadempimento e ss. c.c. in particolare per non aver la Corte d’Appello tenuto conto del principio - ormai consolidato in giurisprudenza - secondo il quale nella proposizione di una domanda di risoluzione di diritto deve ritenersi implicita la proposizione della domanda di risoluzione giudiziale ai sensi dell’art. 1453 c.c. . La risoluzione di diritto e giudiziale. Gli Ermellini hanno sottolineato che il principio dedotto dal ricorrente non può trovare applicazione nel caso di specie poiché nella domanda di risoluzione di diritto per l’inosservanza di una diffida ad adempiere, può ritenersi implicita, in quanto di contenuto minore, anche la domanda di risoluzione giudiziale di cui all’art. 1453 c.c., non altrettanto può dirsi nell’ipotesi inversa dato il differente contenuto delle due causae petendi . La domanda ordinaria di risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 c.c. è ontologicamente differente rispetto alla domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione ope legis ex art. 1456 c.c. sia per differente petitum – poiché con domanda di risoluzione ai sensi dell’art. 1453 si chiede una sentenza costituiva, mentre quella di cui all’art. 1456 c.c. postula una sentenza dichiarativa - che per quanto concerne la causa petendi – giacché il fatto costitutivo, nella domanda ordinaria di risoluzione è rappresentato dall’inadempimento grave e colpevole, nell’altra, viceversa, dalla violazione della clausola risolutiva espressa. I Giudici di legittimità rilevando che il ricorrente sia in primo che secondo grado aveva proposto domanda di risoluzione ai sensi dell’art. 1456 c.c. che si era rilevata priva di fondamento, e non potendo ritenere implicitamente proposta la domanda di risoluzione giudiziale del contratto sulla base delle ragioni esposte, rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 8 maggio – 16 novembre 2018, n. 29654 Presidente Orilia – Relatore Tedesco Fatto e diritto Rilevato in fatto Il giudice di primo grado ha rigettato la domanda di risoluzione di contratto di sub appalto proposta dalla committente Costruzioni B.V. & amp Figli s.r.l. nei confronti della curatela del Fallimento S.r.l Il giudice di primo grado ha ritenuto che fosse stata richiesta una pronuncia dichiarativa della risoluzione di diritto fondata su clausola risolutiva espressa, di cui la committente aveva dichiarato di volersi avvalere. Ha negato, però, l’esistenza nel contratto di una idonea clausola ex art. 1456 c.c., rilevando nel contempo l’inesistenza di fattispecie alternative idonee a determinare ugualmente la risoluzione di diritto non vi era stata infatti la notificazione di una diffida ad adempiere. La corte d’appello ha confermato la sentenza. Ha affermato che la domanda proposta in primo grado doveva essere interpretata quale domanda di risoluzione di diritto su clausola ai sensi dell’art. 1456 c.c Ha aggiunto ancora che non c’erano elementi idonei a giustificare la diversa interpretazione della domanda suggerita dall’appellante, il quale aveva sostenuto che la domanda proposta in primo grado doveva essere qualificata quale domanda di risoluzione giudiziale ai sensi dell’art. 1453 c.c Ha aggiunto ancora che l’unica domanda inizialmente proposta non era stata riproposta in appello, essendosi pertanto verificata la fattispecie di cui all’art. 346 c.p.c La corte d’appello ha rilevato inoltre che la domanda era stata proposta contro impresa fallita, nei confronti della quale avrebbe potuto richiedersi, in un giudizio ordinario, esclusivamente l’accertamento della risoluzione di diritto e non una pronuncia costitutiva di risoluzione giudiziale ai sensi dell’art. 1453 c.c Per la cassazione della sentenza la Costruzioni B. ha proposto ricorso sulla base di un solo motivo, illustrato con memoria. Considerato in diritto L’unico motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 1453, 1454, 1456 c.c., dell’art. 345 c.p.c. e dell’art. 24 dell’art. 24 del R.d. n. 267 del 1942, nonché la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c Il motivo contiene due censure a In primo luogo la sentenza è censurata per non avere tenuto conto del principio, pacifico in giurisprudenza, secondo cui nella proposizione di una domanda di risoluzione di diritto deve ritenersi implicita la proposizione della domanda di risoluzione giudiziale ai sensi dell’art. 1453 c.c La mancata applicazione di tale principio aveva nello stesso tempo determinato la violazione, da parte della corte d’appello, dell’art. 112 c.p.c. e la nullità della sentenza per omissione di pronuncia sulla domanda di risoluzione giudiziale implicitamente proposta. b In secondo luogo la sentenza è censurata nella parte in cui ha affermato che nei confronti del contraente inadempiente fallito non è proponibile la domanda di risoluzione costitutiva ai sensi dell’art. 1453 c.c., potendosi richiedere solo una sentenza dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto. La censura sub a è infondata. La ricorrente richiama il principio secondo cui In tema di inadempimento contrattuale, mentre nella proposizione di una domanda di risoluzione di diritto per l’inosservanza di una diffida ad adempiere, può ritenersi implicita, in quanto di contenuto minore, anche la domanda di risoluzione giudiziale di cui all’art. 1453 c.c., non altrettanto può dirsi nell’ipotesi inversa, stante l’impedimento derivante dalla diversità delle due causae petendi, tra di loro non in rapporto di contenente a contenuto ne consegue che la domanda di risoluzione di diritto può ritenersi proposta, in alternativa a quella di risoluzione giudiziale, solo se i relativi fatti che la sostanziano siano stati allegati in funzione di un proprio effetto risolutivo Cass. n. 17703/2011 conf. n. 11493/2014 . Tuttavia il richiamo di tale principio, certamente esatto, non giova alla ricorrente, perché esso è riferito al rapporto fra risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c. e risoluzione di diritto a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., mentre la corte d’appello, con apprezzamento che non ha costituito oggetto di censura, ha interpretato la domanda iniziale quale domanda di risoluzione di diritto fondata su clausola risolutiva espressa, ai sensi dell’art. 1456 c.c Con riferimento a tale domanda, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, non è vero che indipendentemente dalla qualificazione data dalla parte all’azione esperita con l’atto di citazione introduttivo al giudizio di prime cure , la corte d’appello avrebbe dovuto ritenere in ogni caso proposta la domanda di risoluzione giudiziale. Infatti la ordinaria domanda ai sensi dell’articolo 1453 c.c. è ontologicamente diversa dalla domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione ope legis di cui all’articolo 1456 c.c. sia per quanto concerne il petitum, - perché con la domanda di risoluzione ai sensi dell’articolo 1453 si chiede una sentenza costitutiva mentre quella di cui all’articolo 1456 postula una sentenza dichiarativa - sia per quanto concerne la causa petendi - perché nella ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell’articolo 1453, il fatto costitutivo è l’inadempimento grave e colpevole, nell’altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa Cass. n. 2006/24207 conseguentemente, ove la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. sia stata proposta per la prima volta in appello, deve considerarsi domanda nuova, e pertanto preclusa a norma dell’art. 345 c.p.c. Cass. n. 423/2007 . Si ricorda che l’operatività della clausola risolutiva espressa non richiede che l’inadempimento sia grave ove le parti abbiano preventivamente valutato l’importanza di un determinato inadempimento, facendone discendere la risoluzione del contratto senza preavviso, il giudice non può compiere alcuna indagine sull’entità dell’inadempimento stesso rispetto all’interesse della controparte, ma deve solo accertare se esso sia imputabile al soggetto obbligato quanto meno a titolo di colpa Cass. n. 7063/1987 . Diversamente l’intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere, di cui all’art. 1454 c.c., e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento non eliminano la necessità, ai sensi dell’art. 1455 c.c., dell’accertamento giudiziale della gravità dell’inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine ed al permanere dell’interesse della parte all’esatto e tempestivo adempimento Cass. n. 18696/2014 n. 9314/2007 n. 2979/1991 . La valutazione della corte d’appello è in linea con tali principi, che sarebbero stati al contrario violati se essa, pur qualificando la domanda iniziale ai sensi dell’art. 1456 c.c. e non ai sensi dell’art. 1454 c.c. secondo quanto riferisce la ricorrente la fattispecie della diffida ad adempiere era stata esclusa dal giudice di primo grado , avesse poi ritenuto implicitamente proposta la domanda di risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c La censura sub b è inammissibile. Invero gli ulteriori rilievi della sentenza sulla improponibilità, nei confronti dell’impresa fallita, di una domanda di risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c., costituiscono argomenti aggiuntivi rispetto a una decisione che trova altrove la propria giustificazione. Si ribadisce che la corte ha riconosciuto che in primo grado non era stata proposta altra domanda se non quella di risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1456 c.c. e che tale unica domanda non era stata riproposta in appello. Nient’altro occorreva aggiungere per giustificare la decisione di non dovere statuire sulla diversa domanda di risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c Le argomentazioni ultronee, che non hanno lo scopo di sorreggere la decisione già basata su altre decisive ragioni, sono improduttive di effetti giuridici e, come tali, non sono suscettibili di censura in sede di legittimità Cass. 10420/2005 . In conclusione il ricorso è rigettato. Nulla sulle spese. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. rigetta il ricorso dichiara ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.