La riduzione ad equità della clausola penale nel contratto di locazione

In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, riconosciuto al giudice ex art. 1384 c.c., può essere esercitato d’ufficio, a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, con il fine di ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 15753/18 depositata il 15 giugno. Il caso. La società locatrice propone ricorso in Cassazione avverso la sentenza di secondo grado con cui era stata respinta l’opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di una somma di denaro da parte della società conduttrice in applicazione della clausola penale contenuta nel contratto di locazione stipulato fra le parti e riferita agli eventuali ritardi nel pagamento del canone dovuto come controprestazione del godimento dell’immobile ad uso foresteria. Il ruolo della clausola penale nel contratto di locazione. Con orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e manifestato Sezioni Unite con sentenza n. 18128/2005, appare opportuno ricordare che, nell’ambito del contratto di locazione stipulato tra le parti in tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c. a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato d’ufficio per ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela, e ciò con riferimento sia alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l’obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacché in quest’ultimo caso la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazione si traduce comunque in una eccessività di essa se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta . Nel caso di specie, la somma oggetto di condanna appare calcolata in modo abnorme, poiché quantificata in un importo ben superiore sia al canone di locazione sia alla misura percentuale precedentemente pattuita dalle contraenti, riferita alle stesse cadenze mensili secondo le quali deve essere onorata la controprestazione. Dunque, la Suprema Corte accoglie il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 23 marzo – 15 giugno 2018, n. 15753 Presidente Travaglino – Relatore Di Florio Fatto e diritto Ritenuto che 1. La TQL Corporation Srl in liquidazione da ora TQL ricorre, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma con la quale, in riforma della pronuncia del Tribunale, era stata respinta l’opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di Euro 32.249,99 ottenuto dalla ITESA Spa in applicazione della clausola penale contenuta nel contratto di locazione stipulato fra le parti, e riferita agli eventuali ritardi nel pagamento del canone dovuto come controprestazione del godimento di un immobile ad uso foresteria, sito nel centro storico di . 2. L’intimata si è difesa con controricorso. La ricorrente ha depositato memorie. Il collegio ha deliberato che la motivazione si resa in forma semplificata. Considerato che 1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione, della L. 108/1996 e dell’art. 1815 c.c. censura la sentenza impugnata che, riformando l’opposta statuizione del primo giudice, aveva ritenuto che la clausola penale pattuita non fosse riconducibile alla disciplina dell’usura nonostante l’accertato superamento del tasso soglia né all’ipotesi di cui all’art. 1815 II c.c Lamenta la sperequatezza della pattuizione, deducendo che nel concetto di interessi usurai , debba farsi necessariamente rientrare non solo il maggior corrispettivo rispetto ad una prestazione da danaro, ma anche qualsiasi vantaggio pattuito in misura sproporzionata rispetto ad altre utilità. 2. Con il secondo motivo, la TQL deduce, ex art. 360 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 644 c.p., in combinato disposto con l’art. 1418 co. 1 cc., nonché la nullità della clausola penale contenuta nel contratto di locazione contraria alle norme imperative sopra richiamate. 3. Con il terzo motivo, infine, la società ricorrente lamenta, ex art. 360 n. 3 cpc la violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 c.c., assumendo che la Corte d’Appello aveva erroneamente interpretato la norma, non avendo riconosciuto la sussistenza dei presupposti per la riduzione della penale pattuita e valutando scorrettamente gli elementi dedotti, quali l’integrale adempimento dell’obbligazione principale e la modesta entità di quasi tutti i ritardi contestati lamenta altresì l’omessa valutazione della mancanza di interesse della locatrice alla puntualità nei pagamenti, in ragione del fatto che la penale pattuita si traduceva in un importo ben superiore al canone concordato. 4. I primi due motivi devono essere congiuntamente esaminati per lo stretto collegamento logico e sostanziale il primo è infondato ed il secondo è assorbito. La clausola penale in esame non riguarda gli interessi moratori, non essendo riconducibile ad una prestazione finanziaria, ma è stata rapportata al 20% del canone di locazione mensile per l’eventuale ritardato pagamento di esso. La fattispecie in esame, dunque, non è assimilabile né a quelle cui è riferita la giurisprudenza richiamata dal ricorrente Cass. 350/2013 e riguardante l’ipotesi di interessi in misura ultralegale collegati ad un contratto di mutuo né alle previsioni dell’art. 644 co. 1 c.p. non trattandosi di corrispettivo per prestazione di danaro o altra utilità, essendo prevista in correlazione al ritardo o dell’art. 644 co 3 c.p. che, oltretutto, per la configurabilità del reato postula lo stato di difficoltà economica o finanziaria di chi ha dato o promesso interessi inferiori anche al limite legale, ipotesi questa mai prospettata nel caso di specie la controprestazione alla quale la clausola è riferita, infatti, è l’oggetto del contratto e cioè il godimento del bene - consistente, nel caso di specie, in un immobile sottoposto a vincolo ex L. 1089/1939, ammobiliato - ed è condizionata alla mancata osservanza delle scadenze pattuite per il pagamento del canone. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, motivando adeguatamente la statuizione. 5. Il terzo motivo è, invece, fondato. È stato infatti affermato, con orientamento al quale questo Collegio intende dare seguito, che in tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 cod. civ. a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato d’ufficio per ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l’obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacché in quest’ultimo caso la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazione si traduce comunque in una eccessività di essa se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta . cfr. Cass. SSUU 18128/2005 nello stesso senso Cass. 8293/2006 Cass. 18195/2007 Cass. 22002/2007 Cass. 25334/2017 . 5.1 È stato altresì affermato che il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 cod. civ., essendo previsto a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, al fine di ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare effettivamente meritevole di tutela, e, dunque, connotandosi come potere esercitatile anche d’ufficio, può essere esercitato anche qualora le parti abbiano contrattualmente convenuto l’irriducibilità della penale Cass. 21006/2006 con ciò attribuendosi al giudice il potere di applicare, in nome del principio solidaristico, i criteri più idonei per realizzarlo, anche superando l’autonomia contrattuale. 6. Nel caso in esame, la somma oggetto di condanna portata nel decreto ingiunto opposto risulta computata in modo effettivamente abnorme perché a fronte del canone pattuito che risulta dal ricorso, per il periodo in contestazione intercorrente dal 5.12.2004 al 5.4.2007, pari ad un importo di Euro 1300,00/1400,00 mensili circa, con riferimento alla progressiva indicizzazione , emerge che per i ventitré mesi durante i quali venne registrato il ritardo nel pagamento, venne conteggiata una penale mensile quantificata in un importo ben superiore sia allo stesso canone di locazione sia alla misura percentuale pattuita del 20% che era stata riferita alle stesse cadenze mensili secondo le quali doveva essere onorata la controprestazione, e non ad una ripartizione giornaliera come quella su cui sembra essere fondato il provvedimento monitorio opposto, con un conteggio che ha consentito di giungere ad un importo complessivo non commisurabile con la percentuale indicata nella clausola penale stipulata e, rispetto ad essa, manifestamente eccessivo. 7. La sentenza deve pertanto essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione che dovrà riesaminare la controversia attenendosi al principio di diritto sopra evidenziato, riverificando altresì la coerenza con esso del conteggio formulato. La Corte territoriale dovrà altresì provvedere in ordine alle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso rigetta il primo e dichiara assorbito il secondo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione per un nuovo esame della controversia e per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.