Quando le clausole del contratto sono vessatorie?

Non è nulla né vessatoria la clausola che prevede il trasferimento dei rischi della perdita del veicolo in capo al conduttore e l'obbligo di questi di corrispondere i canoni dovuti e a scadere successivamente all'evento dannoso.

Rientra, infatti, nella logica del contratto di leasing traslativo il fatto che il conduttore venga a rispondere della perdita del veicolo, poiché la clausola che alloca il rischio della perdita al conduttore si inquadra in un rapporto contrattuale ove il conduttore assume la piena disponibilità del bene, destinato a passare in sua proprietà. Con la sentenza n. 11259 del 10 maggio il S.C. interviene sul delicato rapporto tra clausole vessatorie e contratto di leasing, fornendo alcune precisazioni, anche di ordine processuale, sulla problematica in questione. Il caso. Viene contestata, nei giudizi di merito ed in Cassazione, la validità di alcune clausole di un contratto di leasing tra le quali, in particolare, la clausola contenente il divieto di espatrio del bene e la clausola che pone il divieto di far utilizzare il mezzo senza previa autorizzazione della società concedente. Il mezzo in leasing, infatti, era stato oggetto di sequestro all’estero ma all’utilizzatore era stato richiesto il pagamento integrale dei canoni, avvalendosi peraltro della clausola risolutiva espressa in forza dell’utilizzo all’estero del mezzo da parte di persona non autorizzata. Il S.C., confermando i giudizi di merito, ha affermato che le clausole in questione sono vessatorie in assenza di un preciso riferimento normativo attestante la vessatorietà e la possibilità di comparazione. Leasing e codice del consumo. Preliminarmente, la Cassazione afferma che al contratto di leasing si applica comunque la tutela di cui agli artt. 33 e ss. d.lgs. n. 206/2005 Codice del Consumo tale applicazione prescinde, peraltro, dal tipo contrattuale posto in essere dalle parti e della natura delle prestazioni oggetto del contratto, essendo rilevante il mero fatto che risulti concluso un contratto tra un professionista ed un consumatore. Professionista che ha l’onere di provare che le clausole contestate sono state oggetto di una specifica trattativa caratterizzata dalla individualità, serietà ed effettività. Clausole vessatorie e mancata conoscenza delle stesse. Fermo quanto poc’anzi riferito, la Cassazione rileva che, in tema di impugnazioni, la mancata rilevazione officiosa di una nullità di protezione da parte del giudice di merito integra il vizio di omessa pronuncia qualora la relativa questione abbia formato oggetto di una specifica domanda od eccezione conseguentemente, in assenza di puntuale impugnazione, tale nullità non può essere rilevata nel giudizio di appello o di cassazione, ostandovi il giudicato interno, che il giudice dei gradi successivi deve rilevare. Nel caso di specie, infatti, la contestazione in ordine alla vessatorietà delle clausole era stata effettuata agli artt. 33, comma 2 lett. l e 36, comma 2, lett. c che però erano relativi a clausole di diverso tipo rispetto a quelle contestate. In particolare, le clausole contenenti il divieto di espatrio e di circolazione ed il divieto di far fare uso dalla macchina a terzi non prevedevano l’estrazione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere, ritenendo quindi inconferenti i richiami – testé riportati – al codice del consumo. Clausola vessatoria e trattativa individuale. Come noto, peraltro, la specifica approvazione per iscritto di una clausola vessatoria effettuata dal consumatore mediante sottoscrizione del modulo predisposto dal professionista non è sufficiente a provare che la medesima clausola sia stata oggetto di trattativa individuale e ad escluderne di conseguenza la presunta vessatorietà, occorrendo all'uopo che il professionista dimostri che le condizioni di contratto potevano essere negoziate e quindi modificate, anche se poi in concreto non è avvenuta nessuna modifica. Leasing e clausola di scioglimento del rapporto. Per restare in tema, secondo la giurisprudenza non è da considerarsi vessatoria una clausola contenuta nel contratto di leasing in forza della quale si prevede il potere di scioglimento del rapporto contrattuale in capo al concedente in ipotesi di mancato pagamento, alla scadenza, anche di un solo canone, quota, o altro importo o corrispettivo dovuto. Leasing e responsabilità solidalte dell’utilizzatore cedente. Analogamente, non costituisce clausola vessatoria, per imitazione della libertà contrattuale, la prescrizione del contratto di leasing che prevede la responsabilità solidale dell'utilizzatore cedente con il cessionario in caso di inadempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto, in ipotesi di cessione, affitto o usufrutto dell'azienda. Trattasi, invero, di una norma che pone un divieto generale di cessione del contratto di leasing assolutamente compatibile con la disciplina codicistica, posto che l'art. 1406 c.c. richiede, per la cessione del contratto, il consenso del contraente ceduto. Questi, pertanto, può impedire la vicenda traslativa del contratto non prestando il suo consenso all'avvenuta cessione, ma può senza dubbio, con manifestazione di volontà negoziale espressa alla conclusione del contratto, impedire sin dall'inizio la sostituzione di un terzo all'originario contraente, espressamente e preventivamente enunciando il suo dissenso a possibili cessioni. Leasing e obbligo di pagamento in caso di furto. Del pari, nel contratto di leasing la clausola che, in caso di furto, pone a carico dell’utilizzatore l’obbligo di pagare il valore attuale del restante corrispettivo non ha natura vessatoria. Le medesime considerazioni valgono anche per il caso in cui le parti abbiano posto a carico dell’utilizzatore anche la responsabilità in caso di perimento o sottrazione del bene oggetto del contratto.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 gennaio – 10 maggio 2018, n. 11259 Presidente Chiarini – Relatore Cigna Fatti di causa Con citazione 15-12-2011 B.D. convenne dinanzi al Tribunale di Bologna Neos Finance SpA ora Mediocredito Italiano SpA al fine di far dichiarare la nullità di alcune clausole, ritenute vessatorie, relative a contratto di leasing stipulato tra le parti in data 29-9-2009 ed avente ad oggetto un’autovettura BMW ovvero far dichiarare la risoluzione del detto contratto per inadempimento della società concedente Neos, e condannare quest’ultima al risarcimento dei conseguenti danni, ivi compresi quelli subiti a causa dell’avvenuta segnalazione ai sistemi informativi creditizi. La detta autovettura, in uso a terza persona, era stata fermata in un porto spagnolo in procinto di imbarco per un Paese extra CEE senza autorizzazione all’espatrio, ed era stata dapprima sequestrata in data 7-11-2009 e poi, in seguito al dissequestro richiesto dalla concedente, ricondotta in Italia l’8-32010 e restituita a quest’ultima in seguito a tanto, il B. aveva sospeso il pagamento dei canoni, e la concedente, avvalendosi della clausola risolutiva espressa, aveva ritenuto risolto di diritto il contratto, alienato l’autovettura a terzi e preteso il pagamento di quanto dovuto, operando anche la segnalazione negativa ai sistemi informativi creditizi. Le clausole in questione di cui il B. ha chiesto dichiararsi la nullità per vessatorietà erano la clausola contenente il divieto di espatrio e di circolazione nei Paesi extraeuropei clausola n. 3 delle condizioni generali di contratto riportate all’interno del detto contratto di leasing la clausola contenente il divieto di far fare uso della macchina a terzi senza previa autorizzazione della società clausola 4 la clausola di risoluzione di diritto art. 8 . Il Tribunale rigettò la domanda. Con sentenza ex art. 281 sexies cpc del 17-11-2015 la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la statuizione di primo grado in particolare la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha affermato 1 che la dedotta nullità delle su riportate clausole, invocata ai sensi degli artt. 33, comma 2, lett. l e 36, comma 2, lett. c del codice del consumo, era inconferente, in quanto siffatta nullità riguardava solo clausole che ne richiamavano altre, a loro volta non conosciute perché non presenti nel testo contrattuale sottoscritto, e non poteva quindi riferirsi alle clausole in questione, di contenuto diverso 2 che la censura, concernente la invocata nullità della clausola risolutiva espressa ex art. 32, comma 2, lett. f codice consumo in quanto la stessa imponeva una penale manifestamente eccessiva ed aveva un oggetto indeterminabile, era tardiva, e comunque infondata, sia in quanto l’appellante non aveva spiegato perché e in che misura la penale fosse eccessiva sia perché l’oggetto era determinabile. Avverso detta sentenza propone ricorso per Cassazione B.D. , affidato a tre motivi. Resiste Mediocredito Italiano SpA con controricorso. Nella pubblica udienza del 24 gennaio 2018 il Collegio, al fine di sollecitare le parti al contradditorio in ordine alla procedibilità o meno del ricorso, ha posto la questione della eventuale mancanza agli atti della attestazione di conformità della relata di notifica della sentenza impugnata eseguita con modalità telematiche. Ragioni della decisione Il ricorso è, in primo luogo, procedibile, essendo stata rinvenuta agli atti la documentazione comprovante sia l’effettuazione della ordinaria notifica cartacea sia la su menzionata attestazione di conformità. Con il primo motivo il ricorrente, denunziando - ex art. 360 n. 4 cpc - nullità della sentenza per carente motivazione, nonché - ex art. 360 n. 3 cpc - violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cpc, si duole che la Corte non abbia proceduto alla ricostruzione del fatto nella sua interezza, basandosi sulla ricostruzione operata dal primo Giudice, e non abbia indicato le ragioni di condivisione del ragionamento seguito dal Tribunale. Il motivo è infondato. La Corte, nella sentenza impugnata, emessa ex art. 281 sexies cpc, come appare evidente anche dalla su riportata sintesi della detta decisione, ha concisamente ma compiutamente esposto le ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione, che appare comprensibile ed intellegibile, con conseguente infondatezza delle denunziate violazioni. Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando - ex art. 360 n. 3 cpc - violazione e falsa applicazione degli artt. 33 e 36 codice consumo con riferimento alle clausole 3 e 4 delle condizioni generali di contratto, nonché - ex art. 360 n. 4 cpc - nullità della sentenza per avere omesso di rilevare d’ufficio la nullità delle clausole per vessatorietà, si duole che la Corte si sia limitata ad accertare che le dette clausole 3 e 4 non erano nulle ex art. 33 e 36 d.lgs 206/2005 codice consumo , senza verificare d’ufficio se le stesse potevano essere qualificate come vessatorie sotto altri aspetti al riguardo precisa che le dette clausole, prevedendo il divieto di circolazione nei Paesi extraeuropei clausola 3 ed il divieto dell’uso del bene da parte di terzi clausola 4 erano da ritenersi vessatorie in quanto determinavano una chiara esclusione di responsabilità della società concedente Neos a tutto svantaggio dell’utilizzatore B. ed una restrizione della libertà contrattuale del consumatore in danno di terzi. Il motivo è infondato. Non vi è dubbio che al contratto di leasing in questione si applichi la invocata disciplina di tutela del consumatore di cui agli artt. 33 e ssg del d.lgs 206/2005 c.d. codice del consumo siffatta applicazione prescinde, come è noto, dal tipo contrattuale dalle parti posto in essere e dalla natura delle prestazione oggetto del contratto, essendo rilevante il mero fatto che risulti concluso tra un professionista ed un consumatore da intendersi secondo le definizioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. a e c del d.lgs 206/2005 a fronte di siffatta invocazione, e in particolare a fronte della deduzione della vessatorietà di alcune clausole contenute nel contratto, il professionista, che intenda escludere l’applicazione della menzionata disciplina di tutela, ha l’onere di provare che le dette clausole siano state oggetto di specifica trattativa caratterizzata dagli indefettibili requisiti della individualità, serietà ed effettività Cass. 6802/2010 onere della prova non soddisfatto nel caso di specie, non essendo a tal fine sufficiente la mera sottoscrizione delle clausole in questione in tal senso va, quindi, corretta ex art. 384, ult. comma, cpc, la motivazione della sentenza impugnata . Ciò posto, va evidenziato che il ricorrente, sin dal primo grado del giudizio v. pagg 22 e 23 ricorso per Cassazione , ha posto a base della sua domanda di nullità delle dette clausole la vessatorietà delle stesse con riferimento al disposto degli artt. 33, comma 2, lett. I e 36, comma 2, lett. c del cit. d.lgs, in base ai quali si presumono vessatorie le clausole che prevedano l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto art. 33 comma 2, lett. l , e quelle che, quantunque oggetto di trattativa, prevedano l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto art. 36, comma 2, lett. c secondo il ricorrente, pertanto, come esposto nel relativo motivo di appello v. pag. 3 sentenza impugnata , le dette clausole erano da ritenersi nulle - ex artt. 33, comma 2, lett. I e 36, comma 2, lett. c codice del consumo - per non avere avuto la possibilità di conoscerle prima della conclusione . La Corte d’Appello, decidendo sul detto motivo, ha osservato che le clausole in questione contenenti il divieto di espatrio e di circolazione nei Paesi extraeuropei ed il divieto di far fare uso della macchina a terzi senza previa autorizzazione della società non prevedevano l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto o l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto , ed ha quindi ritenuto inconferenti i richiami al codice del consumo sui quali il ricorrente aveva fondato la sua pretesa. Detta ratio non è stata oggetto di ricorso per Cassazione, con il quale, invero il ricorrente si lamenta solo che la Corte si sia limitata a verificare la ricorrenza tali ipotesi di nullità ex art. 33 comma 2, lett. l e 36, comma 2, lett. c codice del consumo , senza verificare d’ufficio se le clausole in questione potevano essere qualificate come vessatorie sotto altri aspetti, e, in particolare, se potevano presumersi vessatorie ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. t codice consumo, in quanto determinanti una restrizione della libertà contrattuale del consumatore utilizzatore nei confronti dei terzi. Siffatta nullità per ragioni diverse da quelle esposte sin dal primo grado del giudizio non è stata, tuttavia, neanche dedotta in appello, con il quale come detto il ricorrente ha ribadito la vessatorietà delle clausole esclusivamente con riferimento agli artt. 33, comma 2, lett. l e 36, comma 2, lett. c codice del consumo, sicché correttamente il giudice del gravame non ha proceduto al rilievo d’ufficio di nullità per motivi diversi da quelli denunciati ed invero in tema di impugnazioni, la mancata rilevazione officiosa di una nullità di protezione da parte del giudice di merito integra il vizio di omessa pronuncia qualora la relativa questione abbia formato oggetto di una specifica domanda od eccezione conseguentemente, in assenza di puntuale impugnazione, tale nullità non può essere rilevata nel giudizio di appello o di cassazione, ostandovi il giudicato interno, che il giudice dei gradi successivi deve rilevare Cass. 923/2017 . Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando - ex art. 360 n. 3 cpc - violazione e falsa applicazione degli artt. 33 e 36 codice consumo con riferimento alla clausola 8 delle condizioni generali di contratto, si duole che la Corte non abbia accertato, anche d’ufficio, la natura vessatoria di detta clausola, che lasciava alla discrezionalità del concedente la possibilità di chiedere, nell’ipotesi di risoluzione, una penale manifestamente eccessiva, in quanto corrispondente, nei fatti, al versamento dell’intero importo dei canoni del contratto di leasing pur in assenza della prosecuzione dello stesso. Il motivo è inammissibile per mancanza di interesse del ricorrente. La domanda riconvenzionale, avente ad oggetto il pagamento della penale, è stata dichiarata, invero, inammissibile dal primo Giudice, e non v’è stata censura sul punto. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, dpr 115/2002, poiché il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del cit. art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.