Contratto preliminare di vendita di un immobile cointestato e necessità del consenso di entrambi i coniugi

Annullabilità o nullità del contratto preliminare? La Corte di Cassazione ha fatto un’importante precisazione in tema di alienazione di beni in comunione tra i coniugi.

La pronuncia in esame è la n. 8525/2018 della Corte di Cassazione, depositata il 6 aprile scorso. Il giudizio nella fase del merito primo e secondo grado. La vicenda in analisi principia con la citazione in giudizio da parte di un soggetto di due coniugi. Secondo l’attore, i coniugi si erano impegnati ad alienargli un loro immobile mediante la conclusione di un contratto preliminare di vendita e si erano resi inadempienti rispetto all’obbligazione di sottoscrizione del contratto definitivo. Il promissario acquirente agiva, quindi, ai sensi dell’art. 2932 c.c. ossia domandando al giudice una pronuncia sostitutiva del contratto che avrebbe dovuto essere stipulato tra le parti. Afferma il primo comma della norma citata infatti che Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l'obbligazione, l'altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso . Il contratto preliminare, in particolare, recava i nominativi di entrambi i coniugi come parti promissarie venditrici, ma la firma del solo marito e non della moglie che era stata peraltro interdetta. A parere dell’attore, quindi, la firma del marito sarebbe stata sufficiente per impegnare sia lo stesso, che la moglie, stante la rappresentanza legale del coniuge. Si costituivano in giudizio il marito e il protutore della moglie interdetta negando le allegazioni avversarie ed eccependo l’annullabilità del contratto preliminare citato. All’esito del processo – sospeso a causa del decesso di entrambi i convenuti e riassunto nei confronti dei rispettivi eredi – il Giudice accoglieva la domanda dell’attore affermando la tardività dell’eccezione di annullabilità del contratto sollevata dai coniugi ex art. 184 c.c. in quanto proposta oltre l’anno da quando il protutore aveva avuto notizia del negozio giuridico annullabile. La sentenza veniva impugnata dagli eredi dei convenuti. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di prime cure, rigettava la domanda del promissario acquirente. Il promissario acquirente ricorre in Cassazione per la riforma della sentenza d’Appello. Alla luce della soccombenza nel secondo grado di giudizio l’attore proponeva ricorso in Cassazione sulla base di tre motivi di doglianza. Con il primo motivo il ricorrente denunciava la decisione della Corte d’Appello di non ritenere applicabile alla fattispecie l’art. 184 c.c Tale norma prevede al primo comma che Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell'altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell'art. 2683 . Secondo il ricorrente il marito, firmando da solo il contratto, aveva compiuto un atto senza il consenso dell’altro coniuge la cui annullabilità avrebbe dovuto essere fatta valere entro l’anno dalla scoperta. Il secondo motivo di doglianza, invece, affermava che a causa dell’interdizione la moglie non avrebbe comunque potuto sottoscrivere il contratto in oggetto e quindi la sola firma del marito sarebbe stata sufficiente per la validità dell’atto. Il terzo motivo era unicamente volto alla contestazione della quantificazione delle spese legali addebitate al soccombente con la sentenza d’Appello. La Corte di Cassazione rigetta integralmente il ricorso e compie un importante precisazione in tema di alienazione di beni in comunione tra i coniugi. Con la sentenza n. 8525 del 6 aprile 2018 la Seconda Sezione della Corte di Cassazione rigettava il ricorso sopra riportato. In merito al primo motivo di diritto la Corte specificava come la disciplina di cui all’art. 184 c.c. serva a tutelare un coniuge dagli atti dispositivi del bene in comunione da parte dell’altro in caso questi ne sia inconsapevole. Qualora, quindi, il marito avesse provato a vendere la casa in comproprietà all’insaputa della moglie questa avrebbe avuto un anno di tempo per annullare l’atto. Secondo la Cassazione La Corte d’Appello ha correttamente escluso l’applicabilità dell’art. 184 c.c., il quale nel predisporre la specifica tutela del coniuge dissenziente presuppone l’avvenuta effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi situazione, questa, non certamente equiparabile a quella di specie, in cui la mancata prestazione del consenso da parte di uno dei coniugi, espressamente indicato nell’atto quale contraente, non ha mai consentito il sorgere di una valida obbligazione neppure a carico dell’altro, attesa la nullità del contratto per mancanza di tale requisito essenziale . In questo caso, infatti, non si era in presenza di un coniuge pretermesso dal contratto, ma incluso come parte. Il contratto preliminare non era quindi annullabile ex art. 184 c.c., ma nullo. In merito al secondo motivo del ricorso, la Cassazione aveva affermato come la Corte d’Appello avesse valutato nel merito che il contratto era stato redatto includendo entrambi i coniugi nell’intestazione. La nullità conseguente alla mancanza della firma della moglie era stata considerata assorbente rispetto al vizio del consenso causato dall’impossibilità di sottoscrivere il contratto da parte del coniuge interdetto. Il terzo motivo, poi, era rigettato sulla base della corretta applicazione da parte della Corte d’Appello del d.m. n. 140/2012, vigente pro tempore, per la determinazione delle spese conseguenti alla soccombenza in grado di appello. In considerazione di tali valutazioni la Cassazione rigettava il ricorso proposto e condannava il ricorrente alla refusione delle spese del giudizio di legittimità ai due controricorrenti.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 dicembre 2017 – 6 aprile 2018, numero 8525 Presidente Mazzacane – Relatore Bellini Fatti di causa Con atto notificato il 4 settembre 2002, G.G. conveniva dinanzi al Tribunale di Verona, sezione distaccata di Legnago, F.M. , in proprio e quale tutore della moglie interdetta M.Z. , chiedendo l’adempimento ex art. 2932 cod. civ. dichiarandosi disposto al pagamento del saldo del prezzo e chiedendo il rilascio del bene del preliminare stipulato il 19 giugno 2001, con cui il F. aveva promesso in vendita all’attore un terreno in comproprietà tra il F. medesimo e la moglie. Si costituiva F.E. , quale protutore della M. , che eccepiva la nullità del preliminare per il mancato consenso della stessa, chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale subordinata, l’annullamento del contratto ex art. 184 e/o 377 cod. civ., stante anche la mancata autorizzazione del Tribunale alla stipulazione dell’atto. Si costituiva anche F.M. , il quale concludeva in modo analogo, chiedendo il rigetto della domanda, previo accertamento della nullità del contrato preliminare, o in via riconvenzionale l’annullamento. Interrotta la causa per morte di entrambi i convenuti F.M. e M.Z. la stessa veniva riassunta dal G. nei confronti degli eredi F.E. , quale erede di F.M. , e V.N. e C. , quali eredi di M.Z. che si costituivano ribadendo le precedenti difese svolte dai rispettivi danti causa. Il Tribunale adito, con sentenza numero 44/08 depositata il 26 febbraio 2008, accoglieva la domanda attorea, rigettando le difese dei convenuti, in quanto l’annullabilità ex artt. 375 e 377 cod. civ. non ricorreva, non avendo F.M. agito come tutore, ed essendo tardiva la domanda di annullamento ex art. 184 cod. civ. la cui disciplina presentava carattere di specialità rispetto a quella della comunione ordinaria perché proposta oltre l’anno da quando il protutore aveva avuto notizia del contratto per l’effetto disponeva il richiesto trasferimento del bene, condannava l’attore al pagamento del prezzo residuo ed i convenuti al rilascio, e compensava le spese. Con atto notificato l’8 aprile 2009, la sentenza veniva impugnata davanti alla Corte d’appello di Venezia da F.E. , chiedendone la riforma, previa inibitoria ex art. 283 cod. proc. civ., nonché il rigetto delle domande avversarie e l’accoglimento delle proprie istanze e difese non accolte il primo grado. Si costituivano il G. , chiedendo il rigetto dell’appello e dell’istanza di inibitoria e V.N. rimanendo contumace V.C. , che si associava alle conclusioni dell’appellante. Sospesa l’efficacia esecutiva della impugnata sentenza del Tribunale di Verona sezione distaccata di Legnago , la Corte d’appello di Venezia, con sentenza numero 1975/2012, depositata il 19/09/2012, in riforma della decisione di primo grado rigettava le domande proposte da G.G. nei confronti di F.M. e M.Z. . Per la cassazione di tale sentenza G.G. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi. F.E. e V.N. hanno resistito con rispettivi controricorsi. Tutte le parti in giudizio hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. - Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norma di diritto in tema di comunione legale tra coniugi. In particolare violazione dell’art. 184 c.c., in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c. , poiché la Corte d’appello ha ritenuto fondato e assorbente l’argomento con cui l’appellante aveva riproposto l’eccezione di nullità-inefficacia del contratto preliminare di vendita di un immobile, appartenente a due coniugi, in regime di comunione legale, per mancata adesione al medesimo di uno dei due coniugi comproprietari, entrambi indicati in intestazione come parti dello stesso, con conseguente inapplicabilità dell’art. 184 cod. civ. sentenza pag. 12 . Il ricorrente deduce l’erroneità della decisione di appello che avrebbe ritenuto l’inapplicabilità dell’art. 184 c.c., che a giudizio della Corte di merito deriverebbe dal fatto che tale norma disciplina l’ipotesi in cui il coniuge disponga autonomamente del bene comune, e quindi troverebbe applicazione nei differenti casi in cui il coniuge non riveli la situazione di comunione, presentandosi come unico proprietario, ovvero dichiari di agire anche per conto dell’altro senza averne i poteri. 1.2. - Il motivo non è fondato. 1.3. - La Corte d’appello di Venezia ha richiamato il principio di diritto pronunciato rispetto ad identica fattispecie negoziale, e mai specificamente negato dalla successiva giurisprudenza di legittimità in virtù del quale, in regime patrimoniale di comunione legale, il disposto di cui all’art. 184 cod. civ. secondo cui gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell’art. 2683 presuppone l’effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi, pertanto non si applica nel caso in cui, come nella specie, tutti i contraenti siano a conoscenza della comunione dei beni tra i coniugi e questi ultimi figurino entrambi nel contratto come venditori, atteso che in tal caso il mancato consenso di uno dei due impedisce il sorgere di una valida obbligazione neanche a carico dell’altro Cass. numero 3647 del 2004 . La Suprema Corte - nel ritenere appunto non fondata la pretesa dei ricorrenti di veder affermata la validità del contratto di compravendita per essere decorso il termine annuale concesso al coniuge dall’art 184 c.c. per far annullare l’atto stipulato senza il suo consenso - ha precisato che, in quella occasione come nell’odierna , le parti avevano predisposto un contratto in cui figuravano in qualità di venditori sia il marito che la moglie, senza tuttavia mai ottenere la sottoscrizione di questa, sicché non poteva dirsi che il primo avesse disposto autonomamente di un bene della comunione, essendo pacifico che tutte le parti erano consapevoli della comunione vigente sui beni e la comune volontà di tutti era orientata alla stipula di un contratto in cui entrambi i titolari del bene avrebbero dovuto prestare il consenso alla vendita. 1.4. - Orbene, è incontestato in atti che la promessa di vendita in questione prevedesse, testualmente, che tra F.M. , nato a e M.Z.M. da una parte, e il signor G.G. nato a dall’altra, si conviene e stipula quanto segue art. 1 il signor F.M. e M.Z.M. promette di vendere al signor G.G. che promette di acquistare ed altrettanto non controverso è che, nella medesima scrittura, manchi la sottoscrizione della signora M. . Anche nel presente giudizio, dunque, la Corte d’appello ha correttamente esclusa in coerenza col precedente principio espresso dalla Cassazione l’applicabilità del disposto dell’art. 184 c.c., il quale nel predisporre la specifica tutela del coniuge dissenziente presuppone l’avvenuta effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi situazione, questa, non certamente equiparabile a quella di specie, in cui la mancata prestazione del consenso da parte di uno dei coniugi, espressamente indicato nell’atto quale contraente, non ha mai consentito il sorgere di una valida obbligazione neppure a carico dell’altro, attesa la nullità del contratto per mancanza di tale requisito essenziale artt. 1325 e ss. c.c. . 1.5. - Non si tratta dunque di rifarsi alla peculiare natura della comunione legale tra coniugi ed agli effetti del consenso del coniuge, rimasto estraneo all’atto di disposizione posto in essere dal solo altro coniuge né alla qualificazione del consenso quale negozio unilaterale autorizzativo, atto a rimuovere il limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene come affermato dalla giurisprudenza richiamata dal ricorrente Cass. sez. unumero numero 17952 del 2007 Cass. numero 12849 del 2008 Cass. numero 14093 del 2010 Cass. numero 12923 del 2012 e neppure agli effetti nei confronti dei terzi del contratto stipulato in assenza del consenso del coniuge pretermesso Cass. numero 2202 del 2013 . Né soccorre il richiamato orientamento secondo cui, per l’esecuzione in forma specifica, a norma dell’art. 2932 cod. civ., di un preliminare di vendita di un bene immobile rientrante nella comunione legale dei coniugi, non è necessaria la sottoscrizione di entrambi i promittenti venditori, ma è sufficiente il consenso del coniuge non stipulante, traducendosi la mancanza di detto consenso in un vizio di annullabilità, da far valere, ai sensi dell’art. 184 cod. civ., nel rispetto del principio generale della buona fede e dell’affidamento, entro il termine di un anno, decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla trascrizione Cass. numero 12923 del 2012, già cit. conf. a Cass. numero 2202 del 2013, cit. Cass. numero 1385 del 2012, Cass. numero 14093 del 2010, cit. Cass. numero 88 del 2007 e Cass. 16177 del 2001 laddove il riferimento alla fattispecie decisa dalla già evocata Cass. numero 12923 del 2012 attiene al diverso caso in cui il coniuge pretermesso era semplicemente presente alla stipulazione dell’atto da parte dell’altro coniuge, senza parteciparvi, e non lo aveva sottoscritto . Del tutto correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha evidenziato la peculiarità della fattispecie in esame che - peraltro in assenza di alcun riferimento nell’atto sia al regime patrimoniale dei coniugi promittenti venditori, sia a poteri rappresentanza volontaria e/o legale anche in ragione dello stato di interdizione della contraente signora M. in capo al coniuge firmatario diversamente dai richiamati precedenti riguarda specificamente il caso in cui il coniuge sia parte contraente a tutti gli effetti, il cui nome appaia nell’intestazione come nel contento dell’atto, senza che poi ne segua la sottoscrizione, così configurandosi una figura contrattuale rispetto alla quale è del tutto estranea la disciplina dei rimedi approntata dall’art. 184 c.c. e ciò come correttamente evidenziato dalla Corte d’appello in mancanza di alcuna ragione di privilegiare l’affidamento del terzo contraente e sottoscrittore dell’atto, ben consapevole della incompletezza dell’accordo raggiunto e, quindi, dell’inefficacia dell’atto. 2. - Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 1387 c.c. in relazione all’art. 357 c.c., richiamato dall’art. 424 c.c., nonché violazione dell’art. 183, terzo comma, c.c., che esclude il coniuge interdetto dall’amministrazione dei beni comuni l’interdizione di M.Z. impediva la di lei sottoscrizione del preliminare di vendita immobiliare - Violazione delle cennate norme di diritto in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c. . L’errore di diritto sarebbe consistito nel non aver considerato che il potere di rappresentanza di M.Z. in capo al coniuge tutore F.M. era a questi conferito dalla legge e nel non avere tenuto conto che l’art. 183, terzo comma, c.c. esclude il coniuge interdetto dall’amministrazione dei beni comuni. 2.1. - Il motivo non è fondato. 2.2. - Proprio la scelta di utilizzare una figura contrattuale in cui entrambi i coniugi figurano come contraenti, promittenti venditori, nonché di escludere dal contenuto dell’atto qualunque riferimento allo stato di interdizione legale della signora M. , e quindi alla sua esclusione di diritto dalla amministrazione dei beni comuni ai sensi del terzo comma dell’art. 183 c.c. , ovvero al potere di rappresentanza conferito dalla legge al tutore, dimostrano la chiara volontà delle parti di predisporre il contratto preliminare de quo per la partecipazione al negozio di entrambi i comproprietari e non già per la partecipazione di uno solo di essi quale tutore e rappresentante legale della interdetta. Correttamente dunque la Corte d’appello di Venezia - sulla base dell’interpretazione del contratto, riservata al giudice di merito Cass. numero 16181 del 2017 , operata in riferimento alla comune intenzione dei contraenti, appalesata dall’inequivoco senso letterale delle parole verificate alla luce dell’intero contesto negoziale ai sensi dell’art. 1363 c.c., nonché ai criteri d’interpretazione soggettiva di cui agli artt. 1369 e 1366 c.c. , e volta a consentire l’accertamento del significato dell’accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta e ad escludere interpretazioni cavillose deponenti per un significato in contrasto con gli interessi che le parti hanno voluto tutelare mediante la stipulazione negoziale Cass. numero 7927 del 2917 - ha valorizzato e posto a fondamento della propria decisione, il fatto che la scrittura privata in questione, così come testualmente redatta dalle parti, aveva il fine di permettere la partecipazione all’atto di entrambi i comproprietari. 2.3. - E per tale ragione la Corte d’appello ha, altrettanto correttamente, attribuito carattere e valenza assorbente alla eccezione di nullità/inefficacia, per vizio del consenso, del contratto preliminare di vendita di immobile, appartenente ai due coniugi in regime di comunione legale, per mancata sottoscrizione del medesimo di una dei due coniugi comproprietari, indicata insieme all’altro coniuge, nella intestazione e nel contenuto dell’atto, come parte dello stesso. 3. - Con il terzo motivo, il ricorrente deduce in via subordinata al mancato accoglimento dei due precedenti la violazione della tariffa professionale vigente pro tempore D.M. 8.4.2004 numero 127 in G.U. 18.5.2004 , in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c. Applicazione dell’art. 41 D.M. 20.7.2012 numero 140 alla presente controversia . Il ricorrente contesta il superamento dei limiti tariffari massimi nella determinazione delle spese processuali liquidate in favore delle controparti vittoriose in appello. 3.1. - Il terzo motivo è inammissibile. 3.2. - Va preliminarmente osservato che la fattispecie dedotta in giudizio nella quale viene contestato l’ammontare delle spese di lite determinate nella sentenza della Corte di appello di Venezia depositata il 19.9.2012 è regolata, ratione temporis, dal D.M. 20.7.2012 il cui articolo 41 recita Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore , posto che alla data di entrata in vigore di tale decreto 23.8.2012 la prestazione professionale del cui compenso si discute non si era ancora conclusa e che, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza numero 17405/12, la nozione di compenso rimanda ad un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata, ancorché iniziata e parzialmente svolta sotto il vigore di discipline tariffarie previgenti conf. Cass. 4949/17 . Inoltre, nella specie trova applicazione la disposizione di cui all’articolo 1, comma 7, del suddetto decreto 140/2012, alla cui stregua In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa disposizione questa rispetto alla quale è stato peraltro precisato che il giudice è tenuto ad indicare le concrete circostanze che giustificano le deroga ai minimi e massimi stabiliti dal medesimo d.m. cfr. Cass. numero 18167 del 16/09/2015 Cass. 11 gennaio 2016 numero 253 Cass. 3 agosto 2016, numero 16225 . 3.3. - Ciò premesso, va rilevato che, nei termini in cui risulta formulato il motivo di appello, la denuncia di violazione della tariffa professionale vigente pro tempore sembrerebbe riferita alle tariffe di cui al D.M. 8.4.2004 numero 127 laddove solo in un secondo momento si rappresenta l’applicabilità nella definizione delle spese del giudizio a quo dell’art. 41 D.M. 140/12. Peraltro, a supporto dell’assunto del superamento del massimo tariffario, il ricorrente confusamente ne deduce, prima, la non coerenza in riferimento a non meglio precisati parametri tariffari che, per dare senso al richiamo contenuto nella sintesi del motivo, sembrerebbero presumibilmente quelli dettati dal richiamato D.M. 127/04 e, solo dopo aver rappresentato l’applicabilità ratione temporis delle tariffe di cui al D.M. 140/12, osserva che è su detta nuova normativa che va parametrato il compenso per l’intero presente giudizio, in tutti i gradi nei quali ha trovato svolgimento . Tale rappresentazione delle doglianze espresse dal motivo, e l’assenza di sicuri parametri di riferimento delle singole voci di tariffa rispetto alle specifiche attività effettivamente svolte nei diversi gradi di giudizio, comporta in mancanza di autosufficienza del motivo l’impossibilità di operare una sicura valutazione della legittimità o meno della contestata quantificazione operata dal giudice di appello. Secondo il principio affermato da questa Corte, la parte, la quale intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l’onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso che contenga il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa massima Cass. numero 18086 del 2009 conf. Cass. numero 3651 del 2007 numero 2626 del 2004 . 4. - Il ricorso pertanto va rigettato. 4.1. - Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui all’art. 13 d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida per ciascuno dei controricorrenti in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, Dpr. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.