Aumento del canone tra rinuncia e novazione del contratto di locazione ad uso non abitativo

Nei contratti di locazione ad uso non abitativo, secondo l'art. 79, l. n. 392/1978, come intrepretato dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza n. 10286/01, il conduttore ha il diritto a non pagare somme in misura eccedente il dovuto, essendo nulla ogni pattuizione che non predetermini l'aumento in misura differenziata e crescente per frazioni successive e non sia elusiva del limite di cui all'art. 32, l. n. 392/1978.

Il conduttore può, fino a 6 mesi dopo la riconsegna dell'immobile, ripetere quanto eventualmente pagato in eccedenza. Né è valida la rinuncia a tale facoltà. È però valido il canone maggiore concordato in un successivo contratto, novativo del precedente, perché stipulato in seguito a formale disdetta. Tale in sintesi il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 2115, depositata il 14 marzo 2018, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. I fatti di causa. L'ex conduttore di un contratto di locazione ad uso non abitativo impugna la sentenza con cui la Corte d'appello aveva dichiarato la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione stipulato nel 1991 per il mancato pagamento del canone, come aumentato nel 2008. I Giudici avevano ritenuto che la scrittura del 2008 aveva disposto un aumento del contratto preesistente, senza sostituirlo, non violando l'art. 79, L. n. 392/1978 che sanziona la nullità dei patti contrari alla legge – e che pertanto il patto del 2008 doveva considerarsi valido. Motivazioni diverse da quelle del giudice di primo grado - di cui era confermata comunque la sentenza - , che aveva ritenuto invece che le parti con la scrittura del 2008 avevano dato vita ad un nuovo contratto. Secondo i Giudici del secondo grado il nuovo patto, pur raggiunto nel corso del rapporto e non quindi alla stipula del contratto, non è invalido non viola cioè l'art. 79, che, rinviando quanto al canone al rispetto degli articoli precedenti, impedisce solo la violazione di quanto disposto dall'art. 32, in materia di aggiornamento di equo canone elusione esclusa nel caso di specie, con la spiegazione che l'aumento non aveva lo scopo di neutralizzare gli effetti eccedenti i limiti della svalutazione monetaria in precedenza stabiliti, ma, del tutto indipendentemente dalle variazioni connesse al potere di acquisto della moneta, è stato pur sempre ancorato a predeterminati elementi incidenti sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale Cass. n. 6124/2018 . Con il primo contesta la sentenza perché l'interpretazione, restrittiva, ivi contenuta degli artt. 32 e 79, L. n. 392/1978 contrasta con quella seguita diffusamente in sede di legittimità, e perché contraddittoria in quanto un aumento concordato successivamente alla stipula del contratto non può ritenersi ancorato ad elementi predeterminati inoltre, l'aumento concordato dall'inizio del rapporto, al momento della stipula del contratto, non trova il conduttore in posizione contrattuale subalterna, diversamente dall'aumento determinato in corso di contratto dove il conduttore deve temere, in cado di mancato accordo, il rischio di un trasferimento dell'attività . Con il secondo motivo il ricorrente rileva l'assenza in sentenza, in violazione dell'art. 132, n. 4, c.p.c. secondo cui la sentenza deve contenere la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione dell'indicazione di quei predeterminati elementi incidenti sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale che giustificherebbero l'aumento del canone successivo alla stipula del contratto ma detto motivo non viene analizzato in quanto assorbito dal secondo, ritenuto fondato . Anche il locatore propone a sua volta ricorso, questo in via incidentale e condizionato, con un unico motivo la sentenza va riformata laddove esclude la novazione del precedente contratto ad opera del nuovo, in applicazione degli artt. 1230 e 1231 c.c., i quali regolano la novazione oggettiva e le modalità che non comportano la novazione evidenziando altresì la mancata considerazione nella sentenza dell'invio di formale disdetta e dall'avvio del procedimento per convalida di sfratto per di licenza per finita locazione . Ragionevole durata del processo e ordine di scrutinio delle questioni poste. In via preliminare, la Corte spiega con chiarezza il motivo per cui - pur portando la logica al preventivo studio del motivo posto nel ricorso incidentale cioè il carattere novativo e non modificativo dell'accordo del 2008 , il cui accoglimento porterebbe alla conferma della sentenza dell'appello per motivazione assorbente rispetto a quella contenuta in sentenza, contestata dal conduttore - priorità va invece data allo scrutinio del ricorso principale, il cui rigetto porterebbe alla conferma della sentenza di appello, dove la controricorrente è pienamente vincitrice e dunque renderebbe ultronea ogni ulteriore analisi. Richiama sul punto la giurisprudenza di legittimità, secondo cui alla luce del principio della ragionevole durata del processo, per cui fine primario del processo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa in sede di appello, che riguardi questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, è condizionato e va valutato con priorità solo ove attenga a questioni rilevabili di ufficio non valutate dal giudice del merito. Diversamente, il ricorso va valutato solo ove sia fondato il ricorso principale, sussistendo solo in quel caso l'interesse attuale ad una pronuncia sul punto. Il conduttore non può rinunciare al diritto di pagare meno e, entro sei mesi dalla riconsegna, può ripetere quanto eventualmente dato in più. La Corte in primis ribadisce che l'art. 79 vieta veri e propri aumenti dal canone in costanza di rapporto fatta eccezione per l'adeguamento ex art. 32 il conduttore non può dunque rinunciare non solo all'inizio, ma anche in costanza di rapporto, al proprio diritto di non pagare aumenti non dovuti. Come affermato in molteplici sentenze richiamate dalla Corte, il diritto di non pagare il non dovuto e di ripetere quanto indebitamente pagato sorge con il contratto e cessa decorsi sei mesi dalla riconsegna dell'immobile. È vero sì, proseguono i Giudici, che nei contratti di locazione per uso diverso da quello abitativo, per il principio della libera determinazione del canone, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto valida la clausola che predetermina l'aumento in misura differenziata e crescente per frazioni successive , a meno che non risulti che il vero scopo delle parti è quello di aggirare il limite di cui all'art. 32 con la conseguente nullità del patto ex art. 79 . La sentenza menziona sul punto la sentenza n. 22909/2016 secondo cui ai fini della verifica di detta elusione, deve riconoscersi, in sintesi, ai detti paletti predeterminati un ruolo di semplici indici strumentali. Ciò, però, proseguono i giudici, non comporta la legittimità di una qualsivoglia pattuizione successiva alla stipula, impegnando invece il giudice alla verifica se detta scaletta di aumenti non comporti in realtà un elusione dell'art. 32, dunque a verificare che detto aumento sia effettivamente teso a ripristinare in costanza di rapporto il sinallagma iniziale. L'orientamento che segue la Corte d'Appello si allinea ad un precedente arresto giurisprudenziale risalente al 1993, accantonato in maniera costante dalla giurisprudenza di legittimità sin dal 2001. In precedenza si riteneva che il divieto di cui all'art. 79 riguardasse solo accordi raggiunti in sede di stipula del contratto e non quelli successivi a questo. Viceversa, l'attuale orientamento ritiene che il divieto di cui all'art. 79 comporti che il diritto a non pagare somme in misura eccedente al dovuto sorga alla conclusione del contratto e persista sino a sei mesi dopo la riconsegna dell'immobile, momento fino al quale è possibile ripetere quanto indebitamente pagato. Non può dunque il conduttore disporre del diritto, e dunque rinunciarvi tale atto sarebbe invalido in quanto in contrasto con la facoltà concessa dalla legge di ripetere quanto dato oltre il dovuto. Nel 2008 fu una novazione le parti potevano concordare un nuovo canone. La Corte rileva che risulta pacifico che l'accordo del 2008 fece seguito alla disdetta formale del contratto del 1991 da parte del locatore. In tal caso, dunque, essendo cessato il rapporto precedente, non vi era alcun limite all'autonomia contrattuale delle parti derivante dalla precedente contratto in ordine ad una nuova stipula. Né rileva che il nuovo contratto sia stato stipulato prima della cessazione del precedente la legge infatti consente una disdetta di almeno 12 mesi prima della scadenza ex art. 28 , salvo la prima scadenza, per cui la disdetta è ammessa solo nei casi di cui all'art. 29. Il nuovo contratto non è perciò invalido ai sensi dell'art. 79, giacché nuovo con ciò comportando la rinuncia del locatore alla disdetta per la scadenza del contratto e la rinuncia del conduttore al rinnovo . La Corte rammenta che è stato già in più occasioni da essa escluso che la sanzione di nullità ex art. 79 valga per gli accordi transattivi. Dunque, l'accoglimento di entrambi i motivi dei due ricorsi porta al rigetto del ricorso principale, alla conferma della sentenza dell'appello ed alla sua correzione in punto di motivazione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 dicembre 2017 – 14 marzo 2018, n. 6124 Presidente Chiarini – Relatore Iannello Fatti di causa 1. M.A. ricorre, con due mezzi, nei confronti della Parrocchia omissis di omissis , frazione di omissis che resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato con un solo motivo avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello di Catania ne ha rigettato l’appello confermando, con diversa motivazione, la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda proposta da quest’ultima, aveva dichiarato la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo stipulato in data 7/3/1991 ciò in ragione del mancato pagamento, dal mese di ottobre dell’anno 2009, del canone mensile di Euro 450, così determinato in aumento - rispetto a quello precedentemente concordato di Euro 154,94 - con atto sottoscritto in data 4/4/2008. Premesso che, diversamente da quanto opinato dal primo giudice, con tale scrittura le parti non avevano dato vita ad un nuovo contratto difettando l’animus e la causa novandi ma avevano pattuito la sola variazione in aumento del canone, hanno ritenuto i giudici d’appello che tale accordo non viola il divieto posto dall’art. 79 legge 27 luglio 1978, n. 392, e deve pertanto considerarsi pienamente valido. Secondo i giudici a quibus l’accordo di aumento del canone locativo non può infatti considerarsi nullo, tout court, sol perché intervenuto nel corso del rapporto e non in sede di stipula del contratto originario, tale nullità potendo predicarsi, ai sensi della citata disposizione, solo qualora l’accordo modificativo dia luogo ad un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti e, quindi, solo allorquando esso sia volto a derogare alla norma di cui all’art. 32 legge n. 392 del 1978 in tema di aggiornamento annuale del canone. Se invece non ha tale finalità elusiva, l’accordo modificativo deve considerarsi valido indipendentemente dal tempo della sua stipulazione. Nel caso di specie - affermano - tale finalità deve essere esclusa, poiché il previsto aumento non aveva lo scopo di neutralizzare gli effetti eccedenti i limiti della svalutazione monetaria in precedenza stabiliti, ma, del tutto indipendentemente dalle variazioni connesse al potere di acquisto della moneta, è stato pur sempre ancorato a predeterminati elementi incidenti sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale . Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso M.A. denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32 e 79 legge n. 392 del 1978, in relazione alla sopra esposta interpretazione restrittiva degli stessi, accolta dalla Corte d’appello. Rileva che tale interpretazione, oltre a porsi in consapevole contrasto con il diffuso indirizzo della giurisprudenza di legittimità, è intrinsecamente contraddittoria, dal momento che, se l’aumento viene pattuito in un momento successivo alla stipula del contratto, l’elemento al quale è ancorato l’aumento stesso non può essere considerato predeterminato. Osserva inoltre che l’accordo di aumento del canone intervenuto tra le parti ab origine, in sede di stipula del contratto, diversamente da quello intervenuto in un momento successivo, non vede il conduttore in posizione di sudditanza contrattuale rispetto al locatore, non risentendo, nell’ipotesi di un eventuale rifiuto, di alcuna diseconomia derivante dal trasferimento dell’attività commerciale. 2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce inoltre la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., attesa la totale assenza, in sentenza, di indicazioni circa gli asseriti predeterminati elementi incidenti sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale idonei a giustificare un aumento oltre i limiti di cui all’art. 32 legge n. 392 del 1978. 3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato la Parrocchia omissis denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1230 e 1231 cod. civ., e 27 legge n. 392 del 1978, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello escluso, nella specie, un’ipotesi di novazione del contratto. Osserva che, essendo intervenuta tempestiva disdetta del precedente contratto, lo stesso era definitivamente cessato, con la conseguenza che il rapporto non poteva proseguire se non sulla base di un nuovo e distinto contratto. Lamenta al riguardo anche vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello omesso di valutare il fatto, dedotto fin dal primo atto di costituzione nel giudizio di opposizione alla convalida di sfratto e ribadito in sede di appello, costituito dall’invio di formale disdetta e dalla notifica di atto di licenza per finita locazione e citazione per la convalida. 4. L’ordine logico delle questioni poste con i contrapposti motivi di ricorso porrebbe in posizione prioritaria l’unico motivo di ricorso incidentale, il cui accoglimento comporterebbe la conferma della sentenza impugnata per ragione il carattere novativo e non meramente modificativo del contratto stipulato tra le parti in data 4/4/2008 preliminare e assorbente rispetto a quella invece ritenuta dal giudice d’appello e sulla quale si appuntano le critiche del M. . L’avere, però, la parrocchia controricorrente, ottenuto già nel merito, sia pure per detta subordinata ragione, pieno accoglimento della propria domanda di risoluzione per inadempimento, impone di attribuire priorità allo scrutinio del ricorso principale, il cui eventuale rigetto renderebbe ultroneo l’esame del ricorso incidentale come del resto riconosciuto dalla stessa controricorrente che espressamente qualifica come condizionato il proprio ricorso incidentale. Occorre, in altre parole, muovere nella prospettiva segnata dall’indirizzo consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, dato il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla stregua del quale fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale Cass., Sez. U, n. 5456 del 06/03/2009, Rv. 606973 Sez. U, n. 23318 del 04/11/2009 Sez. U, n. 7381 del 25/03/2013 cui adde Cass. 06/03/2015, n. 4619 . 5. Procedendo quindi all’esame del ricorso principale, deve rilevarsi la fondatezza del primo dei motivi dedotti, con conseguente assorbimento del secondo. Va invero ribadito che in tema di immobili adibiti ad uso diverso da abitazione, ogni pattuizione intervenuta in corso di rapporto avente ad oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell’art. 32 legge n. 392 del 1978, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla, ex art. 79, comma 1, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello previsto dalla norma, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunziare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti. Il diritto del conduttore a non erogare somme eccedenti il canone legalmente dovuto corrispondente a quello pattuito, maggiorato degli aumenti c.d. Istat, se previsti sorge nel momento della conclusione del contratto, persiste durante l’intero corso del rapporto e può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione di legge, dopo la riconsegna dell’immobile, entro il termine di decadenza di sei mesi v. v. Cass. 11/04/2006, n. 8410, Rv. 591347 Cass. 09/02/2007, n. 2902, Rv. 595536 Cass. 07/02/2008, n. 2932, Rv. 601329 Cass. 19/11/2009, n. 24433, Rv. 610334 Cass. 09/06/2010, n. 13826, RV. 613271 Cass. 07/02/2013, n. 2961, Rv. 625373 Cass. 11/10/2016, n. 20384 . È ben vero che - come evidenziato nella decisione impugnata - questa Corte, con riferimento ai contratti di locazione ad uso non abitativo, in virtù del principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo, ha ritenuto legittima la clausola che preveda la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, a meno che dal testo del contratto o da elementi extratestuali – della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullità della clausola - risulti che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall’art. 32 della legge n. 392 del 1978 nella formulazione originaria ed in quella novellata dall’art. 1, comma 9-sexies, della legge n. 118 del 1985 , così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, primo comma, della stessa legge v. in tal senso Cass. 10/11/2016, n. 22909, alla quale si rimanda per alcune condivisibili precisazioni circa il ruolo - e i connessi oneri di allegazione e prova - che ai fini di tale verifica deve assegnarsi al ricorso di elementi obiettivi e predeterminati, diversi e autonomi dalla svalutazione monetaria, idonei a influire sull’equilibrio economico del piano contrattuale ruolo non di condizione indefettibile per il libero dispiegamento della libertà contrattuale delle parti, ma di semplici indici strumentali di per sé non esclusivi per la determinazione obiettiva, al momento della conclusione del contratto, dell’entità esatta degli oneri economici corrispettivi connessi al godimento dell’immobile locato . Tale principio però non postula affatto, simmetricamente, la legittimità di una pattuizione che intervenga nel corso del rapporto -come opinato dalla Corte territoriale - ma ben diversamente obbliga il giudice a verificare se la previsione iniziale di una scaletta del canone o, più propriamente, la predeterminazione differenziata per frazioni di tempo non sia volta ad eludere la norma di cui all’art. 32 cit. a verificare dunque che si tratti di un adeguamento del canone al mutato valore locativo dell’immobile volto a ripristinare il sinallagma originario, evitando uno squilibrio a vantaggio del conduttore altrimenti determinato dal canone fisso ovvero di una limitata e iniziale riduzione del canone convenuto. La decisione impugnata appare ispirata a un risalente orientamento secondo cui il divieto posto dall’art. 79 legge n. 392 del 1972 è da intendersi come diretto ad evitare una elusione solamente di tipo preventivo dei diritti del locatario, e, attesa la desunta possibilità di disporre dei diritti una volta sorti e quindi suscettibili di essere fatti valere, ritiene valido il patto avente ad oggetto l’aumento del canone convenuto nel corso del rapporto Cass. 19/11/1993, n. 11402 . Tale orientamento è stato però abbandonato da questa Corte di legittimità sin dalla sentenza 27/07/2001, n. 10286, cui s’è allineata la giurisprudenza successiva cfr., ex multis, Cass., nn. 10728 del 2002, 15647 del 2003 8410 del 2006 1932 del 2008 20384 del 2016 . Si è infatti posto in rilievo che lo stesso art. 79 - che al comma 1 sanziona di nullità un’ampia gamma di pattuizioni, comprensiva di quelle volte a limitare la durata legale del contratto ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto al canone di legge ovvero anche altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge sull’equo canone - al comma 2 a mente del quale il conduttore, con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell’immobile locato, può ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge detta una specifica disciplina circa i modi ed i tempi per far valere la nullità, con riferimento alle sole pattuizioni dalle quali consegua la corresponsione di somme di denaro, tra le quali sono ovviamente comprese le pattuizioni aventi ad oggetto la determinazione del canone in difformità da quanto previsto dalla legge. Se ne trae, quale necessario corollario, che il diritto a non erogare somme in misura eccedente il canone legalmente dovuto sorge al momento della conclusione del contratto persiste durante tutto il corso del rapporto può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione legislativa, dopo la riconsegna dell’immobile locato, entro il termine di decadenza di sei mesi v. Cass., 27/07/2001, n. 10286 Cass. n. 2932 del 2008, cit. Cass. n. 20384 del 2016 . Se, dunque, il diritto in esame può essere fatto valere dopo la riconsegna dell’immobile, non è sostenibile - si è osservato, con argomento che va qui ribadito - che di esso possa disporre il conduttore in corso di rapporto, accettando aumenti non dovuti. La validità di una rinunzia espressa o tacita del medesimo ad avvalersi del diritto a non subire aumenti non dovuti, eventualmente intervenuta in corso di rapporto, appare, infatti, inconciliabile, con la facoltà attribuita al conduttore di ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge entro sei mesi dalla riconsegna dell’immobile. È pertanto la riconsegna dell’immobile con conseguente cessazione del rapporto di fatto tra il conduttore e la cosa locata ad individuare, per espressa scelta del legislatore, il momento dal quale il diritto alla ripetizione di quanto indebitamente pagato può essere fatto valere dal conduttore liberamente, e cioè senza la remora che il locatore possa agire in ritorsione nei suoi confronti v. Cass. n. 20384 del 2016 Cass. n. 10286 del 2001 cit. . Se, dunque, può convenirsi con la Corte territoriale laddove ha ritenuto indifferente il momento della stipulazione della clausola comportante un aumento del canone, ciò va affermato in un’ottica diametralmente opposta a quella seguita dal giudice di appello nel senso, cioè, che è da escludere che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunziare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti. 6. Occorrendo dunque procedere all’esame delle censure delle quali si compone l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, va rilevata la fondatezza della prima di esse, con assorbimento della seconda. Può darsi per pacifico in causa, essendo lo stesso M. a riferirlo nella parte narrativa del proprio ricorso, che alla stipula del contratto de quo in data 4/4/2008 le parti pervennero dopo che, nel mese di febbraio del 2008, la Parrocchia ebbe a comunicare la disdetta del rapporto di locazione che aveva tra le stesse avuto inizio, per contratto verbale, il 7/3/1991. Tale circostanza ripetesi, pacifica tra le parti - l’essere cioè il contratto contenente la contestata determinazione di un maggior canone intervenuto successivamente alla notifica di disdetta relativa al precedente rapporto - impediva comunque che all’autonomia contrattuale potesse opporsi alcun limite o preclusione in ragione del precedente rapporto, dal quale doveva ormai ritenersi svincolata per effetto della disdetta, non potendo di contro in tale qualificazione assumere alcun rilievo la circostanza - valorizzata in sentenza - che, nel nuovo contratto, si riconoscesse nel M.A. la qualità di precedente conduttore. Né può rilevare che la stipula del nuovo contratto sia intervenuta prima della scadenza del precedente rapporto. Al riguardo giova anzitutto rammentare che, in mancanza di diversa pattuizione e trattandosi nella specie di contratto verbale avente ad oggetto la locazione di immobile adibito ad uso commerciale panificio , la sua durata legale, ai sensi dell’art. 27, comma primo, legge 27 luglio 1978, n. 392, è da considerarsi pari a sei anni, soggetta a rinnovazione automatica alla scadenza di sei anni in sei anni salvo disdetta da comunicarsi all’altra parte, a mezzo di lettera raccomandata, rispettivamente almeno 12 mesi prima della scadenza art. 28 I. cit. disdetta peraltro solo in via eccezionale consentita alla prima scadenza nei soli casi di cui all’art. 29 L. cit Nel caso di specie, dunque, il precedente contratto, come detto stipulato verbalmente in data 7/3/1991 e rinnovatosi alla prima scadenza seennale per altri sei anni fino al 7/3/2003, deve intendersi rinnovato, in mancanza di disdetta, fino al 7/3/2009 che è peraltro la scadenza pure concordemente indicata dalle parti, sia pure secondo la Parrocchia in virtù di un diverso ma erroneo calcolo della durata iniziale e della correlata rinnovazione nove anni più nove . In tale contesto al diniego della Parrocchia locatrice di ulteriore rinnovo, comunicato con disdetta del febbraio 2008 - valido perché anteriore di un anno alla scadenza legale del 7 marzo 2009 Cass. n. 23553 del 2009 - deve riconoscersi l’effetto di aver posto le parti nella condizione di poter liberamente dar vita, con il contratto del 4/4/2008, ad un nuovo rapporto, svincolato dal precedente, anche prima della scadenza dello stesso, consentendo in particolare, da un lato, al conduttore di rinunciare al rinnovo in corso per i restanti undici mesi v. Cass. n. 8262 del 1996 e, dall’altro, alla locatrice di rinunciare alla disdetta per la scadenza del 7 marzo 2009 Cass. 19132 del 2005 stipulando un contratto nuovo Cass. 2642 del 1991 , sottratto perciò alla disciplina dell’art. 79 della legge 392 del 1978 v. in ipotesi del tutto analoga Cass. 06/08/2002, n. 11777 . In termini convergenti questa Corte ha già in più occasioni affermato il principio secondo cui la sanzione di nullità, prevista dall’art. 79 della legge n. 392 del 1978 per le pattuizioni dirette a limitare la durata legale del contratto di locazione, ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello dovuto, a riconoscergli, infine, altri, non legittimi vantaggi in contrasto con le disposizioni delle norme sull’equo canone, avendo lo scopo di impedire che il conduttore, pur di assicurarsi il godimento dell’immobile, sia indotto ad accettare condizioni lesive dei suoi diritti, va applicata con riferimento a qualsivoglia clausola contenuta nel contratto di locazione, ma non anche estesa agli accordi transattivi conclusi dal conduttore medesimo e già immesso nel possesso del bene onde regolare, convenzionalmente, gli effetti di vicende verificatesi in corso di rapporto e che, perciò, incidono su situazioni giuridiche patrimoniali già sorte e disponibili v. Cass. 11/06/1997, n. 5253 17/05/2010, n. 11947 . 7. Per le esposte considerazioni deve pertanto pervenirsi al rigetto del ricorso principale, dal momento che nonostante la fondatezza del primo dei motivi che ne sono posti a fondamento, la decisione impugnata si rivela tuttavia nel suo contenuto performativo corretta in virtù della fondatezza delle ragioni, logicamente prioritarie, fatte valere dalla locatrice circa la novità del contratto stipulato in data 4/4/2008 fondatezza che, negata dal giudice a quo, l’accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale consente per l’appunto di riconoscere. Ne discende anche che, restando immutata la parte dispositiva della decisione impugnata, il ricorso incidentale deve dichiararsi assorbito, rendendosi solo necessaria, ai sensi dell’art. 384, ult. co., cod. proc. civ., la correzione della motivazione nei sensi sopra detti. Avuto riguardo alle ragioni della decisione, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30/1/2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. Rigetta il ricorso principale dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Compensa integralmente le spese processuali. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della controricorrente/ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.