Locazione commerciale e variazione del canone in adeguamento agli indici ISTAT

Nell’ambito di un contratto di locazione commerciale, la legge ammette l’aggiornamento del canone in ragione dell’inflazione solo nel limite del 75% della variazione ISTAT.

Sul tema si è pronunciata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5656/18, depositata il 9 marzo. Il caso. Il locatore di un immobile ad uso commerciale otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti del conduttore a titolo di canoni di locazione e aggiornamenti ISTAT. L’opposizione del conduttore veniva rigettata sia in prime che in seconde cure. Quest’ultimo ricorre dunque in Cassazione, dolendosi, per quanto qui d’interesse, della nullità della clausola contrattuale relativa agli aggiornamenti ISTAT da calcolarsi sull’importo del canone del terzo anno a partire dal quarto. Limiti alla rivalutazione monetaria. Il Collegio afferma che la pattuizione negoziale di un canone di locazione differenziato e crescente nel corso del rapporto, finalizzato a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, è nulla poiché si pone in violazione dell’art. 32 l. n. 392/1978. Quest’ultima norma ammette infatti l’aggiornamento del canone in ragione dell’inflazione solo nel limite del 75% della variazione ISTAT. La giurisprudenza ammette infatti la possibilità per le parti di convenire un canore in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco della durata complessiva del rapporto, anche in assenza di ogni indicazione dei motivi incidenti sul sinallagma contrattuale che giustifichino tale variazione, ferma restando l’illegittimità della clausola che persegua il solo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria in elusione dei limiti di cui all’art. 32 cit La sentenza impugnata viene dunque annullata con rinvio al giudice di merito che dovrà accertare se effettivamente la clausola in parola rispondeva al solo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria in violazione dei limiti imposti dal legislatore.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 7 novembre 2017 – 9 marzo 2018, n. 5656 Presidente Chiarini – Relatore Tatangelo Fatti di causa CAEP S.r.l. ha ottenuto decreto ingiuntivo per Euro 7.386,8 nei confronti di B.T. , a titolo di canoni di locazione e aggiornamenti ISTAT. L’opposizione proposta dal B. è stata rigettata dal Tribunale di Brescia - sezione distaccata di Salò. La Corte di Appello di Brescia ha confermato la decisione di primo grado. Ricorre il B. , sulla base di sette motivi. Resiste con controricorso CAEP S.r.l Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis.1 c.p.c., per l’adunanza camerale del 15 febbraio 2017. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., in vista di tale adunanza. La Corte ha disposto la rimessione degli atti al Presidente della Sezione, affinché valutasse l’opportunità di una trattazione in pubblica udienza per l’esistenza di pronunzie apparentemente dissonanti nella sezione in ordine alla questione delle condizioni necessarie perché possa ritenersi legittima la previsione contrattuale, nelle locazioni per uso diverso da quello abitativo, di un canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, nonché dei relativi oneri di allegazione e prova . All’esito di tale valutazione è stata disposta nuovamente la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis.1 c.p.c Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art.lo 1, comma 346, Legge 311/04, dell’art.lo 633 del codice di procedura civile e dell’art.lo 1418 comma 1 del codice civile in relazione all’art.lo 360 nr. 1 comma 3, c.p.c. . Il motivo è infondato. Il contratto di locazione per cui è causa è stato stipulato in data anteriore al 2004 e precisamente nel corso dell’anno 2002 . Di conseguenza la disposizione introdotta con la legge n. 30 dicembre 2004 n. 311, con la quale è stata prevista la nullità dei contratti di locazione che, ricorrendone i presupposti, non siano stati registrati, e la cui violazione è oggetto delle censure di parte ricorrente, non era ad esso applicabile, trattandosi di disposizione destinata a trovare applicazione solo per i contratti stipulati a partire dal 10 gennaio 2005 cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 18213 del 17/09/2015, Rv. 636471 - 01 . 2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia violazione dell’art.lo 32 della legge 392/78 come modificato dall’art.lo 1, comma 9 sexies, legge 118/85 ed art.lo 79 della legge 392/78 in relazione all’art.lo 360 comma 1 nr. 3 c.p.c. . Il motivo è parzialmente fondato. Il canone del contratto di locazione per cui è causa stipulato per uso commerciale era stato pattuito in misura progressivamente crescente in relazione ai primi tre anni del rapporto, per poi essere assoggettato ad aggiornamento ISTAT, da calcolarsi sull’importo del canone del terzo anno a partire dal quarto. Il ricorrente B. aveva dedotto la nullità della suddetta pattuizione, assumendo che essa violasse gli artt. 32 e 79 della legge n. 392 del 1978, e aveva chiesto dichiararsi, in conseguenza, la nullità dell’intero contratto. La corte di appello ha invece ritenuto valida la suddetta clausola contrattuale, affermando in proposito che era nella disponibilità delle stesse parti n.d.r. definire l’ammontare di un canone ad uso commerciale rimesso alla libera determinazione delle parti e quindi differenziato per i primi tre anni con aumento Istat a partire da quello del quarto anno e non risulta neppure, dati gli importi, che le parti intendessero aggirare la legge per scopi diversi da quello di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria Cass. 23.6.2011, n. 13387 . Tale affermazione, ad avviso del collegio, nella sua formulazione letterale, non può che intendersi nel senso che la previsione del canone differenziato in aumento per i primi tre anni del rapporto era da ritenersi legittima in quanto esclusivamente diretta a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria e cioè nel senso esattamente contrario al principio di diritto espresso nel precedente di legittimità pur richiamato . Ma, così intesa, la suddetta affermazione è manifestamente non conforme a diritto. La clausola che preveda la pattuizione di un canone di locazione differenziato e crescente nel corso del rapporto al solo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, in violazione dei limiti imposti dall’art. 32 della legge n. 392 del 1978 disposizione che ammette l’aggiornamento del canone in ragione dell’inflazione solo nei limiti nella misura del 75 per cento delle variazioni dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertato dall’ISTAT , è infatti certamente nulla, e ciò anche sulla base dell’indirizzo che ammette la possibilità per le parti, in linea generale, di convenire un canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto di locazione commerciale, senza l’espressa indicazione, nel contratto stesso, dei motivi incidenti sul sinallagma contrattuale che giustificano tale variazione indirizzo di recente affermato da questa stessa Sezione cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22908 del 10/11/2016, Rv. 642971 - 01 in tema di locazioni ad uso diverso da quello di abitazione, è legittima la pattuizione di un canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo, sia con pagamento di rate predeterminate per ciascun segmento temporale, sia con il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, sia correlando l’entità del rateo all’incidenza di elementi e fatti predeterminati influenti sull’equilibrio sinallagmatico, ferma l’illegittimità della clausola - risultante anche da elementi extratestuali, l’allegazione dei quali è onere della parte che invochi la nullità della pattuizione - che invece persegua il solo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria in elusione dei limiti imposti dall’art. 32 della legge n. 392 del 1978, così incorrendo nella nullità ex art. 79 della medesima legge . D’altra parte, sempre ad avviso del collegio, se non si potesse intendere l’affermazione della corte di merito nel senso letterale sopra indicato e quindi in un senso palesemente contrario a diritto , la decisione sul punto dovrebbe ritenersi radicalmente nulla, in quanto sostenuta da motivazione solo apparente, non comprensibile e quindi non idonea a rendere percepibile il suo effettivo fondamento cfr. in proposito Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 01 . Essa va quindi senz’altro cassata. In sede di rinvio la fattispecie dovrà essere rivalutata, accertandosi se effettivamente la clausola in contestazione aveva o meno lo scopo esclusivo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, in violazione dei limiti imposti dall’art. 32 della legge n. 392 del 1978 in tal caso dovrà dichiararsene la nullità, sulla base dei principi di diritto in precedenza esposti, nullità che peraltro in nessun caso potrà estendersi all’intero contratto di locazione, ai sensi dell’art. 1419, comma 1, c.c., ma dovrà essere limitata alla sola previsione dell’aggiornamento del canone in violazione dei limiti imposti dall’art. 32 della legge n. 392 del 1978, con eventuale sostituzione di diritto dalla relativa previsione di legge . 3. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia violazione dell’art.lo 112 c.p.c., in relazione all’art.lo 360 comma 1 nr. 4 c.p.c., per avere omesso la corte di appello di esaminare e pronunciarsi sulla formulata domanda di accertare, e dichiarare e/o rilevare la nullità della clausola contrattuale che prevede l’aggiornamento automatico del canone in base agli indici ISTAT e non dovuti tali aggiornamenti e conseguentemente dichiararsi nullo e/o annullarsi e revocarsi comunque il decreto ingiuntivo opposto e stante la rilevanza congiunta della mancata registrazione e della nullità delle clausole essenziali apposte al contratto rilevarne e/o dichiararne la nullità in toto, attesa nel caso di previsione dell’aggiornamento automatico se ritenuto, stante l’importanza della clausola, la nullità dell’intero contratto e quindi la non debenza dei canoni come quantificati in forza della clausola contrattuale che prevede l’aggiornamento automatico del canone in base agli indici ISTAT ed accertare e dichiarare che non sono contrattualmente dovuti gli aggiornamenti ISTAT per il periodo novembre 2002 - ottobre 2005 e non dovuto l’aggiornamento per l’anno 2006 in quanto mai motivato e conseguentemente dichiararsi nullo e/o annullarsi e, quindi, revocarsi il decreto ingiuntivo opposto v. pag. 55 e 56 dell’appello . Il motivo è inammissibile. Per quanto è dato di comprendere dalla sua invero tutt’altro che chiara formulazione, esso riguarda l’importo degli aggiornamenti del canone di locazione sulla base degli indici di svalutazione accertati dall’ISTAT si afferma, in particolare, la nullità della clausola di aggiornamento automatico del canone senza richiesta del locatore, oltre a richiamarsi questioni oggetto di altri motivi del ricorso, e se ne fa discendere la necessità di revoca del decreto ingiuntivo opposto, in quanto emesso per una somma eccessiva, comprendente tali aggiornamenti . In realtà, per quanto emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti, l’importo oggetto del decreto ingiuntivo opposto riguardava esclusivamente canoni di locazione insoluti, senza comprendere i relativi aggiornamenti ISTAT, per i quali era intercorsa separata regolazione tra le parti la circostanza che l’importo ingiunto non aveva direttamente ad oggetto né gli aggiornamenti ISTAT né il canone del mese di settembre 2006, ripetutamente affermata dalla società controricorrente, non risulta specificamente contestata, in modo puntuale, chiaro e comprensibile, dallo stesso ricorrente a pag. 8 della sentenza impugnata si precisa poi che già il giudice di primo grado, nel chiarire i conteggi del dare/avere tra le parti, aveva ritenuto che non erano stati richiesti gli aggiornamenti ISTAT, benché citati nel decreto ingiuntivo, così come analogamente si afferma a pag. 12 e 13 per quanto attiene al canone del mese di settembre 2006 . Di conseguenza non può ritenersi sussistere un effettivo e concreto interesse all’impugnazione con riguardo alla censura in esame, che d’altra parte difetta di chiarezza e specificità, e in definitiva non coglie la effettiva ratio decidendi della decisione impugnata. 4. Con il quarto motivo del ricorso si denunzia violazione dell’art.lo 112 c.p.c., in relazione all’art.lo 360 c.p.c. comma 41 per avere omesso di tenere conto della formulata domanda di ritenere inesistente il credito azionato da CAEP S.r.l. come giustificato anche da un non imprecisato canone 2003 che non sarebbe stato pagato . Anche questo motivo è inammissibile. La censura riguarda l’importo del canone del mese di settembre 2006, che il ricorrente assume essere stato oggetto del decreto ingiuntivo opposto. In realtà nella decisione impugnata pag. 12 e 13 risulta chiaramente affermato che l’importo di cui al decreto ingiuntivo opposto non comprendeva affatto questo canone, solo erroneamente richiamato nel corpo del provvedimento. E si tratta di una interpretazione degli atti processuali e di un accertamento di fatto certamente non censurabili nella presente sede e comunque non specificamente e adeguatamente censurati, in quanto il ricorrente si limita a sostenere che l’affermazione della corte di merito sul punto sarebbe incomprensibile, mentre essa, al contrario risulta assolutamente chiara . Anche questo motivo non coglie dunque la effettiva ratio decidendi della decisione impugnata, oltre a difettare di chiarezza e specificità, ed anche con riguardo ad esso non può ritenersi sussistere un effettivo e concreto interesse all’impugnazione. 5. Con il quinto motivo del ricorso si denunzia violazione dell’art.lo 112 c.p.c., in relazione all’art.lo 360 c.p.c. comma 1 nr. 4, in relazione alla formulata eccezione e/o domanda di accertare l’intervenuta prescrizione ex art. lo 2948 c.c. comma 3 del canone non meglio precisato dell’anno 2003 e dei pretesi aggiornamenti ISTAT e la loro non debenza con conseguente dichiarazione di nullità e/o annullamento e, quindi, revoca del decreto ingiuntivo opposto v. pag. 56 dell’atto di appello . Con il sesto motivo del ricorso si denunzia violazione dell’art.lo 112 c.p.c., in relazione all’art.lo 360 comma 1 nr. 4 c.p.c., ín relazione agli art.li 633 - 634 c.p.c. ed agli art.li 163 - 164 c.p.c. e all’art.lo 101 c.p.c. e 183 - 184 c.p.c. . I motivi in esame sono inammissibili, come i precedenti. Per quanto è dato comprendere anche la loro formulazione, come quella di tutto il ricorso, è in verità tutt’altro che chiara e specifica , il quinto motivo riguarda le censure già oggetto del quinto motivo di appello in relazione alla prescrizione degli aggiornamenti ISTAT e di un canone dell’anno 2003, mentre il sesto motivo riguarda le censure avanzate con il sesto motivo di appello, e lo stesso ricorrente lo qualifica come una censura riassuntiva delle doglianze formulate con gli altri motivi. È peraltro sufficiente rilevare in proposito che il quinto ed il sesto motivo del gravame del B. sono stati dichiarati inammissibili dalla corte di appello per difetto di specificità, e quindi non esaminati nel merito, mentre con i motivi di ricorso in esame non viene svolta in maniera puntuale, chiara e specifica una critica alla suddetta decisione di inammissibilità, limitandosi il ricorrente a ribadire le proprie ragioni di merito. D’altra parte, gli importi di cui si discute nel quinto motivo del ricorso certamente non costituirono direttamente oggetto del decreto ingiuntivo opposto, mentre per le doglianze indicate come riassuntive di tutti gli altri motivi di ricorso, contenute nel sesto, può rinviarsi all’esame di tali altri motivi. 6. Con il settimo motivo del ricorso si denunzia violazione dell’art.lo 112 c.p.c., in relazione all’art.lo 360 c.p.c. nr. 4, per avere omesso la corte di appello di pronunciarsi sulla domanda e/o eccezione del dott. B. di accertare e dichiarare l’inammissibilità della nuova domanda di CAEP S.r.l., formulata nella sua comparsa di costituzione e risposta in primo grado ai fini della condanna del B. al pagamento degli interessi ex art.lo 4 D. Lvo nr. 231/02 come pure quella relativa al canone 2003 in violazione dell’art.lo 183, VI comma, c.p.c. pag. 57 atto di appello . Anche l’ultimo motivo del ricorso è inammissibile. Con esso il ricorrente si duole dell’omessa pronunzia sull’eccezione di novità di una domanda che sarebbe stata avanzata dalla società locatrice nella comparsa di costituzione e risposta in primo grado in relazione agli interessi al tasso commerciale di cui al decreto legislativo n. 231 del 2002 , ma non risulta che tale domanda sia stata accolta e comunque non risulta specificamente chiarito nel ricorso in che termini sarebbe stata accolta . Anche con riguardo al motivo di ricorso in esame deve quindi riavvisarsi difetto di chiarezza e specificità nonché di un concreto interesse ad impugnare. 7. È accolto, per quanto di ragione, il secondo motivo del ricorso, che è rigettato per il resto. La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte - accoglie per quanto di ragione il secondo motivo del ricorso, che è rigettato per il resto, e cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.