Quando il contratto di locazione può dirsi stipulato per facta concludentia?

La stipula o la rinnovazione tacita di un contratto di locazione può desumersi da elementi di fatto, quali la permanenza del conduttore nella detenzione della cosa locata oltre la scadenza del termine, il pagamento dei canoni e il ritardo con cui sia stata promossa l’azione di rilascio, solo se altri elementi dimostrano la volontà in tal senso delle parti.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29313/17, depositata il 7 dicembre. La vicenda. Alcuni dipendenti di Poste Italiane S.p.a. convenivano in giudizio la società affermando di aver occupato pacificamente e in buona fede degli appartamenti di proprietà della convenuta, di avere diritto all’assegnazione degli stessi proprio in qualità di dipendenti e di aver pagato dei canoni di locazione per gli immobili, chiedendo infine al giudice l’accertamento della stipulazione di altrettanti contratti di locazione per facta concludentia . La domanda veniva rigettata sia in primo che in secondo grado. La vicenda giunge dunque dinanzi ai Supremi Giudici su ricorso dei soccombenti che, con un unico motivo, lamentano violazione di legge per aver il giudice d’appello ritenuto insussistente la tacita volontà della società a stipulare i contratti di locazione per facta concludentia . Conclusione tacita del contratto. Fermo restando che la doglianza sollecita una revisione degli elementi di fatto, inammissibile in Cassazione, il Collegio ribadisce il principio secondo cui la stipula o la rinnovazione tacita di un contratto di locazione non può desumersi dal fatto della permanenza del conduttore nella detenzione della cosa locata oltre la scadenza del termine, né dal pagamento e dall’accettazione dei canoni e neppure dal ritardo con il quale sia stata promossa l’azione di rilascio, occorrendo che questi fatti siano qualificati da altri elementi idonei a far ritenere in modo non equivoco la volontà delle parti di mantenere in vita il rapporto locativo con rinuncia tacita, da parte del locatore, agli effetti prodotti dalla scadenza del contratto . In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione in solido delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 25 maggio – 7 dicembre 2017, n. 29313 Presidente Chiarini – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Gli odierni ricorrenti nel 2005 convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno la Poste Italiane s.p.a., esponendo - di avere occupato pacificamente e in buona fede nove appartamenti di proprietà dell’ente convenuto - di avere diritto, in quanto dipendenti dell’ente Poste Italiane, all’assegnazione degli immobili di proprietà dell’ente - di avere pagato somme di danaro a titolo di canoni di locazione, e di avere eseguito vari lavori di ristrutturazione. Sulla base di questi fatti chiesero - secondo quanto si legge nel ricorso - at Tribunale di accertare l’avvenuta stipula con l’ente convenuto di altrettanti contratti di locazione per facta concludentia secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, tuttavia, gli odierni ricorrenti avrebbero domandato in primo grado la condanna dell’ente poste alla stipula di regolari contratti di locazione, in quanto dipendenti postali . 2. Con sentenza 22.9.2006 n. 2882 il Tribunale di Salerno rigettò la domanda, ritenendo che l’occupazione fu abusiva, se non addirittura penalmente illecita ed escludendo che l’Ente Poste vi avesse tacitamente assentito, ovvero avesse stipulato alcuna locazione con un comportamento concludente. 3. La sentenza venne appellata dai soccombenti. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza 29 aprile 2014 n. 236, rigettò il gravame. La Corte d’appello reputò nuova la domanda di accertamento dell’esistenza di un contratto di fatto e comunque osservò che nessun contratto di fatto poteva ritenersi validamente stipulato, per difetto della prova di una volontà in tal senso dell’ente Poste. 4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalle parti soccombenti, con ricorso fondato su un solo motivo, ma contenente più censure. Ha resistito con controricorso la Poste italiane S.p.A Ragioni della decisione 1. Il motivo unico di ricorso. 1.1. Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c È denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 1571 c.c. e 13 della legge 9 dicembre 1998 n. 431. 1.2. Il motivo, anche se formalmente unitario, contiene due censure. Con una prima censura i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto nuova la loro domanda di accertamento della costituzione d’un rapporto di locazione di fatto. 1.2.1. Questa prima censura è inammissibile per mancanza di decisività. Infatti, come si dirà tra breve, la Corte d’appello, esaminando il secondo motivo di gravame, ha accertato in punto di fatto che Poste Italiane s.p.a. non ha mai manifestato alcuna tacita volontà di concedere l’immobile in locazione agli occupanti abusivi, odierni ricorrenti. Tale statuizione, non validamente censurata, passerà dunque in giudicato con la conseguenza che, anche a volere ritenere erronea la pronuncia che ha ritenuto nuova la domanda di accertamento, l’esame nel merito di essa, da parte del giudice di rinvio, non potrebbe condurre ad alcun risultato favorevole per gli odierni ricorrenti. 1.3. Con una seconda censura i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto non sussistente la tacita volontà della Poste Italiane di stipulare con essi un contratto di locazione per facta concludentia. 1.3.1. Questa seconda censura è manifestamente inammissibile, in quanto chiede di sottoporre a revisione gli elementi di fatto in base ai quali la Corte d’appello ha escluso l’avvenuta costituzione di un rapporto contrattuale di fatto ovvero la natura abusiva dell’occupazione, l’esistenza d’una denuncia penale contro gli occupanti abusivi, l’irrilevanza di per sé del solo fatto di avere accettato il canone versato unilateralmente dagli occupanti . La censura, in definitiva, domanda una nuova valutazione del fatto, la quale non è però consentita in sede di legittimità. Non sarà superfluo aggiungere, in ogni caso, che la stipula o la rinnovazione tacita d’un contratto di locazione non può desumersi dal fatto della permanenza del conduttore nella detenzione della cosa locata oltre la scadenza del termine, né dal pagamento e dall’accettazione dei canoni e neppure dal ritardo con il quale sia stata promossa l’azione di rilascio, occorrendo che questi fatti siano qualificati da altri elementi idonei a far ritenere in modo non equivoco la volontà delle parti di mantenere in vita il rapporto locativo con rinuncia tacita, da parte del locatore, agli effetti prodotti dalla scadenza del contratto Sez. 3, Sentenza n. 22234 del 20/10/2014 . 2. Le spese. 2.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo. 2.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico delle parti ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 . P.Q.M. la Corte di cassazione - dichiara inammissibile il ricorso - condanna S.U. , +Altri , in solido, alla rifusione in favore di Poste Italiane S.p.A. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 6.060, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55 - dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di S.U. , +Altri , in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.