Anche il venditore dell’immobile può essere responsabile per i gravi difetti riscontrati nell’edificio

L’azione ex art. 1669 c.c. per rovina e difetti di cose immobili può essere proposta non solo da parte del committente contro l’appaltatore, ma anche dell’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9911/17 depositata il 19 aprile. La vicenda. Un Condominio conveniva in giudizio l’impresa che aveva costruito e poi venduto il fabbricando chiedendo l’eliminazione di gravi difetti costruttivi riscontrati nell’immobile. I giudici di merito, sia in primo grado che in secondo, accoglievano la domanda attorea, condannando la convenuta all’eliminazione dei difetti accertati dal c.t.u La pronuncia d’appello viene quindi impugnata per cassazione dall’impresa convenuta che lamenta il violazione di legge e vizi motivazionali. Responsabilità del venditore. In primo luogo, posto che la ricorrente negava ogni addebito di responsabilità in quanto la costruzione dell’edificio era stata appaltata da altra impresa, la Cassazione esclude ogni dubbio sulla possibilità di agire per rovina e difetti di cose immobili ex art. 1669 c.c. da parte dell’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità. Legittimazione processuale. È ugualmente innegabile che la legittimazione ad processum debba essere riconosciuta, nel caso di specie, all’amministratore del Condominio circostanza anch’essa contestata dalla ricorrente e ciò a prescindere dall’esistenza, dalla prova e dal quorum della delibera di autorizzazione a proporre la domanda giudiziale. Natura dell’azione. Gli Ermellini negano poi ogni rilevanza alla convenzione intervenuta tra le parti sottolineando che, indipendentemente dalla natura contrattuale o meno dell’azione ex art. 1669 c.c., la responsabilità per gravi difetti dell’opera non s’inquadra in un ambito di corrispettività tra prestazione, non potendo dunque l’azione paralizzata dall’eccezione d’inadempimento relativa ad un diverso rapporto. In conclusione, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 20 gennaio – 19 aprile 2017, n. 9911 Presidente Petitti – Relatore Manna Ritenuto in fatto Il condominio , sito in omissis , conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Dolo, l’Impresa Cooperativa di Costruzioni Generali - Clea, per sentirla condannare, quale venditrice-costruttrice del fabbricato condominiale, alla eliminazione di gravi difetti costruttivi dell’edificio. Parte convenuta nel resistere in giudizio eccepiva il difetto di legittimazione dell’amministratore del condominio, non trattandosi di interventi di tutela conservativa dell’edificio comune e negava la propria responsabilità, essendosi limitata a vendere le singole unità abitative dell’edificio, la cui realizzazione aveva appaltato a terzi la Andromeda Costruzioni s.r.l. . Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava la Clea ad eliminare i difetti così come accertati dal c.t.u. nominato nel giudizio. L’appello della Clea era respinto dalla Corte distrettuale di Venezia, con sentenza n. 539 pubblicata il 7.3.2012. Riteneva la Corte territoriale che l’amministratore del condominio era stato debitamente autorizzato con delibera che, sebbene non riprodotta in appello, era stata pacificamente adottata dall’assemblea condominiale e non oggetto d’impugnazione. Come risultante da apposita attestazione del comune di omissis , il condominio non era inadempiente all’obbligo di trasferire al comune stesso alcune aree da asservire ad uso pubblico, conformemente alla convenzione di lottizzazione stipulata il 26.3.1990 tra il comune e la Clea e all’accordo concluso il 14.6.1999 tra quest’ultima e il condominio. Infine, dovevano condividersi le osservazioni del c.t.u., il quale aveva rilevato che la Clea non aveva ottemperato all’obbligo di eliminare i difetti riscontrati, per cui correttamente il giudice di primo grado aveva condannato detta cooperativa a porvi rimedio secondo le modalità suggerite dal c.t.u. stesso. Per la cassazione di tale sentenza l’Impresa Cooperativa di Costruzioni Generali - Clea propone ricorso, affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso il condominio . Attivato il procedimento camerale ex art. all’art. 380-bis.1 c.p.c., inserito, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dall’art. 1-bis, comma 1, lett. A, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, la parte controricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto 1. - Il primo motivo lamenta, congiuntamente, il vizio motivazionale della sentenza impugnata e la violazione degli artt. 1669 e 1130 c.c. il secondo mezzo espone, del pari, la carente motivazione e la violazione degli artt. 1130 e 1131 c.c. e 115 c.p.c. il terzo motivo allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 1160 rette, 1460 c.c. il quarto motivo allega il vizio di extrapetizione della sentenza impugnata, perché la domanda proposta dal condominio avrebbe dovuto essere ancorata alla convenzione stipulata tra le parti il 14.6.1999, non avente minimamente ad oggetto la modalità di esecuzione delle opere edilizie. 2. - I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro interrelazione, sono manifestamente infondati. Premesso che il vizio di motivazione, secondo il paradigma dell’art. 360, n. 5 c.p.c. nel testo, applicabile alla fattispecie ratione temporis , anteriore alle modifiche di cui al n. 83/12, convertito in legge n. 134/12 , può avere ad oggetto solo fatti decisivi e controversi e non questioni inerenti alla corretta interpretazione di legge, va rilevato che la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 c.c., può essere esercitata non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, allorché lo stesso venditore abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell’opera, e sempre che si tratti di gravi difetti, i quali, al di fuori dell’ipotesi di rovina o di evidente pericolo di rovina, pur senza influire sulla stabilità dell’edificio, pregiudichino o menomino in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità del medesimo Cass. nn. 2238/12, 8140/04, 4622/02, 9853/98, 3146/98, 9313/97 e 8109/97 . È nella specie è la stessa parte odierna ricorrente ad affermare a chiare lettere di aver venduto ai singoli condomini le unità immobiliari dell’unico edificio la cui costruzione essa, in qualità di proprietaria del terreno, affidò in appalto ad un terzo v. pag. 3 del ricorso . 2.1. - Non scalfita la riconduzione della fattispecie alla previsione dell’art. 1669 c.c., così come operata dalla Corte di merito, va da sé che a sussiste la legittimazione ad processum dell’amministratore, anche a prescindere dall’esistenza, dalla prova e dal quorum della delibera di autorizzazione a proporre la domanda giudiziale infatti, l’amministratore del condominio è legittimato a proporre l’azione di cui all’art. 1669 c.c., relativa ai gravi difetti di costruzione che possano. porre in pericolo la sicurezza dell’edificio condominiale, anche senza preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea condominiale Cass. nn. 17484/06, 12231/02, 3304/00 e 8294/99 b sono irrilevanti le vicende relative alla convenzione 14.6.1999 tra la Clea e il condominio invero, indipendentemente dalla natura extracontrattuale secondo la giurisprudenza o contrattuale secondo la dottrina prevalente dell’azione ex art. 1669 c.c., la responsabilità per gravi difetti dell’opera non è inquadrabile entro un nesso di corrispettività tra le prestazioni, per cui la relativa azione non è paralizzata dall’eccezione d’inadempimento relativa ad un diverso rapporto c in ogni caso e in aggiunta, l’accertamento positivo operato nella sentenza impugnata, la quale ha ritenuto, sulla base della deposizione del teste B. e dell’attestazione del comune in data 22.3.2004, adempiuta l’obbligazione assunta dal condominio verso la Clea con l’accordo del 14.6.1999, involge un accertamento di fatto non sindacabile sulla base delle obiezioni di puro merito mosse dalla ricorrente. 3. - In conclusione il ricorso va respinto. 4. - Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente. 5. - Ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in C 4.200,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.