Il direttore dei lavori può chiedere il pagamento direttamente alla P.A. purché sussistano i requisiti

L’azione di indebito arricchimento può essere attivata in via sussidiaria, ovvero, in assenza di altra azione.

Sussiste un rapporto di pubblico impiego solo in presenza di un continuo e non occasionale inserimento nell’organizzazione pubblicistica dell’ente, in assenza del quale si è in presenza di prestazioni di mero fatto disciplinate ex art. 2126 c.c. con effetto limitato al riconoscimento del diritto alla retribuzione per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione di fatto purché sussista lo svolgimento di attività continuativa in favore dell’ente, la subordinazione gerarchica e la retribuzione determinata o determinabile. Il caso. Un ente pubblico affidava ad un’impresa – tramite regolare procedura – la realizzazione di opere edili. Il direttore dei lavori conveniva in giudizio direttamente la P.A. committente affinché fosse condannata al pagamento delle sue spettanze o, in subordine, accertato e dichiarato l’indebito arricchimento. Il Tribunale respingeva la domanda formulata da parte attrice. La Corte d’appello confermava la decisione di primo grado e riteneva inesistente il rapporto per assenza di contratto scritto, inoltre, accoglieva la domanda di parte convenuta e condannava l’attore al pagamento delle spese e del risarcimento per lite temeraria. Le parti hanno attivato ricorso per cassazione. Rapporto di pubblico impiego e prestazione di fatto. La S.C. ha ribadito che sussiste un rapporto di pubblico impiego solo in presenza di un continuo e non occasionale inserimento nell’organizzazione pubblicistica dell’ente, in assenza del quale si è in presenza di prestazioni di mero fatto disciplinate ex art. 2126 c.c., con effetto limitato al riconoscimento del diritto alla retribuzione per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione di fatto, purché sussista lo svolgimento di attività continuativa in favore dell’ente, la subordinazione gerarchica e la retribuzione determinata o determinabile. I giudici di legittimità hanno confermato la decisione della C.A. rilevando che parte attrice non aveva allegato/documentato la sussistenza di detti presupposti limitandosi ad invocare l’applicazione dell’art. 2126 c.c Forma scritta ad substantiam. La cassazione ha confermato anche il principio a tenore del quale anche l’ente pubblico strumentale dell'ente locale, pur agendo iure privatorum , è soggetto alla regola che esige la forma scritta ad substantiam ” per i contratti della P.A., espressione dei principi d'imparzialità e buon andamento ex art. 97 Cost. – Cass. n. 9219/2014 . L’azione di indebito arricchimento non può essere proposta quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito, dunque, ha funzione sussidiaria e residuale. Nel caso di specie, la tutela del diritto di parte attrice poteva essere fatta valere con azione contrattuale direttamente nei confronti dell’impresa azione, peraltro, attivata e definita con accordo transattivo. Lite temeraria. La Cassazione ha confermato anche la condanna per lite temeraria, rilevando che l’attore non ha usato l’ordinaria diligenza per valutare l’infondatezza dell’azione, essendo evidente l’assenza originaria dei presupposti di responsabilità patrimoniale dell’ente ed essendo, sempre prima del giudizio, intervenuto accordo transattivo per il versamento degli onorari tra d.l. e Impresa esecutrice delle opere. Sul punto, i giudici hanno confermato l’orientamento giurisprudenziale che sancisce l'infondatezza in iure delle tesi prospettate in sede di legittimità, in quanto contrastanti con il diritto vivente e con la giurisprudenza consolidata, costituisce indizio di colpa grave così valutabile in coerenza con il progressivo rafforzamento del ruolo di nomofilachia della Suprema Corte, nonché con il mutato quadro ordinamentale, quale desumibile dai principi di ragionevole durata del processo art. 111 Cost. , di illiceità dell'abuso del processo e di necessità di una interpretazione delle norme processuali che non comporti spreco di energie giurisdizionali - Cass. n. 3376/2016. Con queste argomentazioni la S.C. ha confermato integralmente la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 novembre 2016 – 22 febbraio 2017, n. 4599 Presidente Salvago – Relatore Sambito Svolgimento del processo S.V. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Bari l’Ente per il Diritto allo Studio Universitario EDISU per sentirlo condannare al pagamento del saldo del compenso per lo svolgimento delle funzioni e dell’attività di Direttore dei Lavori svolte in occasione dell’appalto del 1 e del 2 lotto dei lavori di costruzione della residenza per studenti fuori sede, aggiudicati alla S.n.c. R.G. e P. . L’attore dedusse che la clausola secondo cui il compenso per la direzione lavori sarebbe stato corrisposto dall’appaltatrice non escludeva il suo diritto di chiederlo direttamente al committente. Nel contraddittorio con l’EDISU e la Società R. , di cui era stata autorizzata la chiamata in garanzia, il Tribunale adito rigettò la domanda principale e quella di manleva, dichiarò inammissibile l’azione d’arricchimento, avanzata ex art. 183, co 5, cpc, e rigettò, pure, il chiesto risarcimento per lite temeraria. Con sentenza depositata il 23.11.2010, la Corte d’Appello di Bari rigettò il gravame del S. , osservando che a l’allegazione secondo cui lo stesso avrebbe svolto le funzioni di DL per conto dell’Ente committente non era fondata, in quanto difettava un rapporto obbligatorio di fonte contrattuale, in assenza di formale conferimento di incarico da parte dell’Ente stesso e della stipula di apposito disciplinare redatto in forma scritta ad substantiam, tanto che il professionista aveva allegato l’instaurazione di un rapporto di servizio di fatto in senso lato con l’Ente, privo di riferimenti normativi ed inidoneo, quand’anche dimostrato, a costituire fonte di obbligazione b l’azione d’ingiustificato arricchimento era inammissibile, perché proposta tardivamente con la memoria ex art. 183, co 5, cpc, ed era, comunque, improponibile, per difetto del requisito della sussidiarietà, sussistendo l’azione contrattuale nei confronti dell’appaltatrice. In accoglimento dell’appello dell’ADISU Agenzia per il Diritto allo Studio Universitario Puglia, così modificata la denominazione della committente la Corte condannò il Professionista al risarcimento per lite temeraria. Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso S.V. , in base a sette articolati motivi ai quali l’ADISU ha resistito con controricorso, con cui ha proposto ricorso incidentale con due mezzi. La Società R.G. S.n.c., già R.G. e P. S.n.c. ha resistito con controricorso. I ricorrenti principale ed incidentale hanno depositato memorie. Motivi della decisione 1. Con il primo, si deduce la violazione degli artt. 2697, co 1 e 2, 1421, 2126, 2129 e 1173 cc, 99, 112, 115, 100, 329, co 2, 324, 342, 343 e 346 cpc, nullità della sentenza e/o del procedimento, per omesso rilievo del giudicato interno sulla qualificazione pubblicistica del rapporto addotto a fondamento della domanda principale nonché sulla valutazione di astratta validità ed idoneità di tale rapporto quale fonte di obbligazione di pagamento a carico dell’EDISU e sulla valutazione di irrilevanza della forma scritta al fine della instaurazione del predetto medesimo . Il ricorrente lamenta che, nell’affermare la nullità del rapporto per difetto di forma scritta ad substantiam, la Corte territoriale ha omesso di rilevare che sull’idoneità in astratto del predetto rapporto di fatto , e cioè senza formale investitura, a costituire fonte di obbligazione della retribuzione si era formato il giudicato interno parziale, per averla affermata il Tribunale, senza che in parte qua fosse stato proposto appello avversario, sicché il principio della rilevabilità ex officio delle nullità avrebbe dovuto esser coordinato con le regole del processo, ed avrebbe dovuto concludersi per la preclusione della declaratoria di nullità, per essere intervenuta pronuncia dichiarativa della validità e idoneità del rapporto. L’ambito del devolutum, prosegue il ricorrente, era, dunque, limitato a verificare nel merito le risultanze processuali per accertare se sussistessero o meno elementi di prova idonei a riscontrare l’avvenuta instaurazione del dedotto rapporto di fatto in senso lato, negata dal Tribunale per difetto di prova. 2. Col secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 345, co 2, 183, co 4, 359 e 384, co 3, cpc 2697, co 1 e 2, 1421 cc 24 e 111 Cost Il ricorrente afferma che l’eccezione dell’Ente relativa al difetto di forma scritta ad substantiam riguardava il contratto di opera professionale di natura privatistica, ma non aveva riguardato la nullità del rapporto di servizio di fatto in senso lato, mai avanzata ex adverso. La Corte d’Appello aveva, pertanto, errato nel ritenere applicabile l’art, 1421 cc alla fattispecie non contrattuale al suo esame, sulla base di una quaestio nullitatis mai dibattuta in prime cure né in riferimento ad elementi di fatto né alla disciplina applicabile, e comunque mai sottoposta al contraddittorio delle parti, in violazione del diritto di difesa e del principio del giusto processo, quando, piuttosto, avrebbe dovuto valutare nel merito i primi due motivi dell’appello principale da lui proposti per accertare l’idoneità e la sufficienza delle prove addotte a sostegno della domanda di pagamento del corrispettivo dovutogli in base menzionato rapporto di servizio di fatto in senso lato. 3. Col terzo motivo, si deduce il vizio di motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 12-14 preleggi, 1418, 1325, 1350 e 1173 cc, per avere la Corte d’appello omesso l’esame del merito del secondo motivo. Il ricorrente lamenta che la sentenza aveva applicato principi e richiamato giurisprudenza inerenti al rapporto di natura privatistica e ne aveva affermato l’applicabilità al caso in esame, senza addurre alcuna giustificazione, e senza considerare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, ed in considerazione dei compiti e delle funzioni svolte, il Direttore dei lavori va considerato temporaneamente e funzionalmente inserito nell’apparato organizzativo della pA, quale organo tecnico straordinario, e, dunque, assoggettato alla giurisdizione della Corte dei Conti. Sotto altro profilo, il ricorrente evidenzia che la declaratoria di nullità presuppone la violazione di una norma imperativa che, nella specie, non era stata indicata, né era stata direttamente accertata la nullità dell’allegato rapporto di servizio di fatto in senso lato , tanto più che nell’ordinamento vige la regola generale di libertà delle forme e di tassatività delle nullità. La giurisprudenza di legittimità, ricorda il ricorrente a pag. 87 ricorso , ha affermato l’irrilevanza del titolo e/o della fonte in base al quale il rapporto di servizio di fatto in senso lato viene instaurato Cass. n. 2611 del 1990 venendo, piuttosto, in considerazione l’autorizzazione all’esercizio di una funzione pubblica Cass. n. 2 del 1980 , ovvero un’investitura di fatto in tema di DL, Cass. SU n. 3165 del 2011 ed altre , restando, così, esclusa, per tale tipo d’incarico, la disciplina relativa alla categoria dei contratti di natura privatistica e l’idoneità di tali rapporti di fatto a costituire fonte dell’obbligazione di pagamento del compenso ex artt. 2126 e 2129 cc. 4. Con il quarto motivo, si deduce, sempre in riferimento alla declaratoria di nullità del rapporto di servizio di fatto in senso lato, la violazione degli artt. 2697, 2222, 2230, 2126, 2129, 1173, 1325 n. 2, 1418, co 1 e 2, cc, 12 e 14 preleggi, 87 co 1, 284 del RD n. 383 del 1934 16 e 17 del RD n. 2440 del 1924 114 e 123 Cost. 1, e 2 D. Lgs. n. 112 del 1998 1 e segg. D. Lgs. n. 267 del 2000. Il ricorrente ribadisce che tali disposizioni sono applicabili esclusivamente in ipotesi di stipula di contratti aventi natura privatistica, e non anche nel rapporto allegato da esso ricorrente, sostanzialmente rientrante nell’ambito del pubblico impiego ed afferma che la richiamata normativa non riguarda indistintamente tutti gli enti pubblici, ma solo i Comuni e gli altri Enti locali, e quindi è inapplicabile al controricorrente che è un Ente strumentale della Regione Puglia. 5. Col quinto motivo, si deduce il vizio di motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 2126, 2129, 1343, 1418, co 2, 1173, 2222, 2230, 1325 n. 4 cc 115 e 113 cpc, per non avere la Corte d’Appello accertato e motivato sulla esatta natura della prestazione da lui espletata privatistica ovvero rientrante nell’ambito del pubblico impiego, come ritenuto dal Tribunale, giacché solo nel primo caso avrebbe potuto venire in rilievo la nullità del contratto per difetto di forma essenziale, ma non anche nel secondo, per il quale opera la fictio iuris di cui agli artt. 2126-2119 a fondare il credito per la relativa prestazione. Sotto altro profilo, il ricorrente afferma che la Corte ha omesso di considerare sia l’assenza del requisito della prestazione di lavoro prevalentemente proprio del professionista, sia la presenza di un vincolo di subordinazione rispetto all’Amministrazione committente, dovendo, in conclusione ritenersi sussistente la prestazione di fatto nel lavoro pubblico con conseguente credito ex artt. 2126 e 2129 cc, al pagamento del compenso. 6. Con il sesto motivo, si deduce la violazione degli artt. 99, 100, 112, 329, co 2, 342, 343 e 346 cpc nonché vizio di motivazione in relazione al rigetto della domanda di indebito arricchimento. Il ricorrente evidenzia che la Corte ha omesso di considerare che il fatto costitutivo dedotto a sostegno della domanda d’ingiustificato arricchimento coincideva sostanzialmente con quello della domanda principale, sicché dal giudice di secondo grado avrebbe dovuto apprezzarlo sotto la diversa qualificazione giuridica addotta, con conseguente erroneità sia della statuita novità della domanda che del ritenuto suo difetto di sussidiarietà, tenuto conto che la residualità sarebbe stata evidente all’esito del rigetto del titolo dedotto a sostegno della richiesta principale. Inoltre, il ricorrente lamenta che le anzidette statuizioni sono state rese con motivazione contraddittoria ed insufficiente, tenuto conto che l’individuata azione contrattuale diretta con l’Impresa R. presupponeva che l’attività fosse stata prestata in favore di detta impresa, con conseguente contrasto logico con la declaratoria di rigetto per nullità del rapporto di servizio di fatto in senso lato, oggetto della domanda principale, statuizione che presupponeva, comunque, l’avvenuto espletamento dell’attività e delle funzioni di DL, sia pure in assenza di una investitura formale e, quindi, di fatto direttamente in favore dell’ente pubblico . 7. Con il settimo motivo, si deduce la violazione degli artt. 132 cpc e 118 disp. att. cpc, per avere la Corte territoriale escluso il requisito della sussidiarietà, affermando la sussistenza di un’azione contrattuale diretta con l’Impresa R. a con motivazione apparente, mediante rinvio alle considerazioni svolte dal Tribunale, ed omettendo l’esame del 3° motivo d’appello che era collegato coi precedenti relativi alla prova, soprattutto documentale, del fatto costitutivo addotto a fondamento della domanda principale, id est allo svolgimento dello svolgimento dell’incarico di DL per conto dell’Ente , in evidente violazione del principio del contraddittorio b con motivazione insufficiente, perché la condivisione della statuizione di prime cure era acritica, generica ed apodittica, oltre che mutuata da una convenzione contratto d’appalto del 3.2.1993 stipulata tra l’Impresa e l’EDISU intervenuta inter alios c senza considerare le risultanze processuali ed i documenti prodotti partitamente indicati , che deponevano, in modo inequivoco, per l’avvenuta instaurazione di un rapporto di servizio in senso lato di natura pubblicistica con l’Ente, con conseguente impossibilità di un rapporto contrattuale diretto con l’Impresa e sussistenza del requisito della sussidiarietà. 8. Va, anzitutto, disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per intervenuta cessazione della materia del contendere il giudicato invocato e che si assume adempiuto riguarda la transazione intervenuta tra la Società R. e l’odierno ricorrente, e cioè attiene ad un fatto che non determina il soddisfacimento della pretesa azionata in giudizio cfr. Cass. n. 16150 del 2010 , e, quindi, il venir meno dell’interesse ad agire sulle refluenze di tale giudicato, cfr. infra § 19 . 9. Appare opportuno riassumere i dati salienti delle difese delle parti, che il ricorrente trascrive per autosufficienza e, poi, ribadisce più volte, secondo cui - a sostegno della domanda formulata con la citazione introduttiva del giudizio, il ricorrente ha allegato di non aver manifestato alcuna opposizione al patto, di cui all’art. 4 della convenzione stipulata il 3.2.1993 con cui l’Impresa appaltatrice si era impegnata a corrispondergli il compenso spettantegli quale DL, fermo restando che le funzioni e l’opera professionale erano state da lui svolte per conto e nell’interesse dell’EDISU pagg. 16 e 17 ricorso - nel chiedere il rigetto della domanda, la committente ha eccepito la propria estraneità al rapporto, contestando a monte esser stato stipulato un contratto d’appalto, tanto che il DL non era stato nominato da parte sua ed il relativo onere era stato assunto dalla Società R. , e comunque negando di aver mai concluso con l’attore alcun contratto d’opera professionale pagg. 18 e 19 , e chiedendo, in via subordinata, di esser garantito dalla predetta Società - con la memoria ex art. 183, co 5, cpc, l’Ing. S. ha precisato che la causa petendi non si fonda su di un contratto d’opera professionale, ma sullo svolgimento, per conto di EDISU delle funzioni e dell’attività di Direttore dei lavori . previo atto di nomina da parte del menzionato Ente secondo le modalità di cui all’art. 4 della citata convenzione - e quindi quale soggetto preposto dal Committente e funzionalmente inserito, sia pure temporaneamente nel relativo apparato organizzativo pagg. 20 e 21 . in subordine, è stata avanzata domanda di pagamento dell’indennizzo ex art. 2041 cc - di rimando, l’Ente ha eccepito la prescrizione estintiva e presuntiva - il Tribunale, qualificato come appalto il contratto intercorso tra l’Ente e l’Impresa R. , e rilevato che nessun contratto era mai stato stipulato tra l’attore e l’Ente, ha rigettato la domanda, sul presupposto che a l’attività prestata dall’Ing. S. era stata svolta solo in favore dell’Impresa che lo aveva nominato in conformità della previsione dell’art. 4 del contratto , quale collaboratore professionale della stessa, mentre l’attività di Direzione dei lavori era stata demandata alla Commissione dei tre tecnici prevista dal successivo art. 5, in conformità delle previsioni del RD n. 350 del 1895 b non poteva riconoscersi alcun rapporto di servizio di fatto, il cui elemento costitutivo, id est l’inserimento del funzionario nell’organizzazione dell’ente . nel caso di specie non è dato ravvisare - in seno all’appello, il ricorrente ha contestato tali conclusioni, evidenziando di aver svolto attività di direzione lavori per conto del committente, ed ha dedotto che l’assunto secondo cui non vi era prova del rapporto di servizio in senso lato era smentita dall’ingente documentazione prodotta da cui avrebbe dovuto ricavarsi la prova dell’avvenuto svolgimento dell’incarico di DL e dunque la sussistenza dei presupposti idonei al fine di ritenere che l’odierno appellante era stato funzionalmente inserito, nel periodo di tempo durante il quale aveva espletato il relativo incarico, nell’apparato organizzativo dell’Ente pubblico, con conseguente instaurazione di un rapporto di servizio in senso lato con il medesimo cfr. pag. 125 ricorso - l’appello incidentale dell’Ente ha riguardato la qualificazione in termini di appalto del contratto intercorso con l’Impresa R. e la mancata valutazione dell’eccepita prescrizione, oltre che la richiesta di condanna ex art. 96 e la regolamentazione delle spese di lite. 10. I primi cinque motivi, inerenti alla statuizione sub a di parte narrativa, da valutarsi congiuntamente, per la loro evidente connessione, sono infondati. 11. Insussistente è anzitutto l’asserita formazione del giudicato interno. Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 7620 del 2006 , l’oggetto della pronuncia del giudice è costituito esclusivamente dall’attribuzione o dalla non attribuzione del bene della vita conteso, onde il giudicato interno si forma sull’accoglimento o sul rigetto della domanda, e soltanto in via indiretta e mediata sulle premesse meramente logiche della decisione, e ciò in quanto è suscettibile di formare oggetto di giudicato solo il capo che risolva una questione controversa tra le parti, caratterizzata da una propria individualità e una propria autonomia, sì da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum affatto indipendente cfr. Cass. n. 22863 del 2007 . E se è vero che il giudicato può formarsi anche sulla qualificazione giuridica di un rapporto, ciò avviene solo quando la qualificazione stessa abbia formato oggetto di specifica contestazione tra le parti e sul punto deciso, costituente antecedente necessario ed indispensabile della pronuncia sulla domanda, la parte interessata non abbia proposto impugnazione Cass., Sez. 1, 9 febbraio 1995, n. 1473 Cass., Sez. 2, 27 agosto 2002, n. 12562 Cass. n. 10053 del 2013 Questa Corte ha, inoltre, ripetutamente affermato che nel caso in cui il giudice di primo grado abbia rigettato la domanda per carenza di una delle condizioni richieste dalla legge per il riconoscimento del diritto azionato, il giudice di appello può ben rilevare la carenza di altri elementi costitutivi del diritto stesso, non potendosi ritenere formato sul punto il giudicato interno ove la parte appellata, vittoriosa per altra ragione, abbia contestato in primo grado la sussistenza dei requisiti di legge, la cui ricorrenza, dunque, non poteva ritenersi ammessa e doveva essere verificata d’ufficio, non esistendo, peraltro, tra detta questione e quella decisa dal primo giudice alcun rapporto di dipendenza indissolubile e non ponendosi essa neppure come premessa necessaria o presupposto logico indefettibile della decisione, come sarebbe stato necessario per formarsi il giudicato implicito Cass. n. 9486/2007 n. 1532/2000 n. 12084/1998 n. 11228/1997 . 12. Alla stregua di tali principi, risulta evidente l’infondatezza della pretesa del ricorrente di suddividere l’unica statuizione - rigetto della domanda di riconoscimento del rapporto di servizio di fatto - in due capi l’uno, in tesi passato in giudicato, volto ad affermare un’astratta idoneità del rapporto di fatto a costituire fonte dell’obbligazione e l’altro ad affermare l’insussistenza di tale rapporto nel caso concreto, in quanto la ritenuta assenza dell’elemento costitutivo di detto rapporto di fatto elemento individuato nell’inserimento del funzionario nell’organizzazione dell’ente esclude che la prima affermazione abbia una propria individualità, costituendo una mera premessa logica della statuizione in concreto adottata. In altri termini, il Tribunale ha affermato esistere nell’ordinamento l’istituto del funzionario di fatto, ma ha ritenuto che il caso al suo esame non potesse esservi sussunto, statuizione che esclude da una parte l’interesse dell’Ente vittorioso che aveva negato di essere debitore a contrastare, anche ex art. 346 cpc, la validità del riconosciuto principio, non essendone in alcun modo pregiudicato, e dall’altra il vantaggio del ricorrente, il quale, infatti, con ragionamento sofistico, intende avvalersene sovvertendo i termini della decisione, laddove afferma che la pronuncia di rigetto è data sul presupposto dell’instaurazione sia pur in astratto di un rapporto di servizio. 13. Va, quindi, precisato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il rapporto di pubblico impiego è ravvisabile in presenza di un continuativo e non occasionale inserimento del lavoratore nell’organizzazione pubblicistica dell’ente cfr. Cass. SU n. 19509/08 Cass. n. 10551/03 Cass. SU n. 8453/08 richiede espressamente il vincolo di subordinazione gerarchica , così come SU 8519/12 , che sia rivolto ad eseguire un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente Cass. SU n. 29094/11 . In mancanza di un atto di nomina - non più necessario - e dell’inserimento formale del dipendente nell’organizzazione dell’ente, si è, quindi, al di fuori del pubblico impiego e si è in presenza di prestazioni di mero fatto, rilevanti ai sensi dell’invocato art. 2126 cc cfr. Cass. n. 23265/07 n. 6260/06 e n. 5738/01 , al limitato effetto del riconoscimento del diritto alla retribuzione per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione di fatto cfr. Cass. SU n. 6960/1994 n. 8304/1995 n. 815/1999 , in costanza dei seguenti requisiti a attività continuativa per lo svolgimento dei fini istituzionali dell’Ente b subordinazione gerarchica c retribuzione determinata o determinabile se manca il primo di detti requisiti il rapporto non è di lavoro, ma occasionale se manca il secondo si ha lavoro autonomo continuativo ex art. 409 n. 3 cpc, se mancano i primi due si è in presenza di un rapporto autonomo occasionale, per tale ragione sottratto pure alla competenza del giudice del lavoro. 14. Ma, nel caso concreto, i fatti da cui dovrebbe desumersi la sussistenza dei menzionati presupposti non sono stati neppure allegati, essendosi il ricorrente limitato a ribadire che lo svolgimento dell’attività di DL è di per sé solo idoneo a fondare il suo credito ex art. 2126 cc, peraltro richiesto in relazione ai compensi di cui alla tariffa professionale e non anche alla retribuzione di un dipendente dell’Ente di pari livello. 15. Correttamente, dunque, la sentenza impugnata - la cui motivazione deve intendersi integrata con le considerazioni appena esposte - ha concluso per l’inidoneità dell’invocato rapporto - quand’anche dimostrato - a costituire fonte dell’obbligazione pretesa. 16. Né vale in contrario rilevare le peculiarità delle funzioni svolte nello svolgimento dell’incarico della direzione dei lavori degli appalti pubblici, dato che il Direttore dei Lavori, quando, come nella specie, non sia un dipendente dell’Amministrazione appaltante, è un professionista che, pur potendo assumere la veste di pubblico ufficiale nello svolgimento del compito affidatogli, rimane esterno all’Amministrazione, ha diritto al compenso regolato dalle previsioni della tariffa approvata con L. n. 143 del 1949 appunto chiesto dal ricorrente, cfr. Cass. n. 12032 e 12521 del 2010 senza che si instauri alcun rapporto di impiego con l’Amministrazione stessa cfr. Cass. SU 29097 del 2011 in tema di rimborso delle spese legali sostenute, ai sensi dell’art. 67 del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268 . 17. A torto il ricorrente invoca a sostegno della diversa tesi propugnata la giurisprudenza secondo cui il direttore dei lavori per la realizzazione di un’opera pubblica, appaltata da un’amministrazione, in considerazione dei compiti e delle funzioni che gli sono devoluti, che comportano l’esercizio di poteri autoritativi nei confronti dell’appaltatore e l’assunzione della veste di agente , deve ritenersi funzionalmente e temporaneamente inserito nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione che gli ha conferito l’incarico, quale organo tecnico e straordinario della stessa. Il principio è stato, infatti, sempre, sostenuto per affermarne la soggezione alla giurisdizione della Corte dei conti in caso di danni cagionati nell’esecuzione dell’incarico stesso, ai sensi dell’art. 52, co 1, del R.D. n. 1214 del 1934 norma che, per effetto dell’art. 58 della L. n. 142 del 1990, ora art. 93 del D.Lgs. n. 267 del 2000 è divenuta applicabile agli amministratori ed al personale degli enti locali, la cui posizione era in precedenza regolata dalle disposizioni degli artt. 251 e ss. del RD 3 marzo 1934, n. 383 . E ciò nell’intendimento di non limitare la categoria dei responsabili ai soli soggetti che hanno instaurato con taluno di detti enti un rapporto di impiego , dato che agli impiegati ha aggiunto le categorie degli ufficiali o funzionari esercitanti un pubblico ufficio o una pubblica funzione indipendentemente dal titolo, che può essere anche onorario , dei dipendenti anche a titolo obbligatorio , nonché degli amministratori per nomina dall’alto o per elezione dal basso per poi concludere con il termine agenti che in sé stesso tende a comprendere qualunque soggetto che, a qualsivoglia titolo - e perfino per incarico occasionale - esplichi attività per conto dell’amministrazione. 18. Da tanto, consegue che le plurime violazioni di legge, attinenti all’affermata irrilevanza dell’atto scritto ad substantiam necessario per gli atti negoziali di tutti gli enti pubblici, quale espressione dei principi d’imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. cfr. Cass. n. 9219 del 2014 , alla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, riferita alla statuizione di nullità che postula l’esistenza del giudicato interno sulla validità del rapporto di fatto, che si è visto insussistente ed i vizi motivazionali dedotti in riferimento alle circostanze della nomina in parte incongrui, laddove si sostiene, ai fini della prova del rapporto di fatto, che l’atto di nomina da parte dell’appaltatrice equivaleva ad una formale investitura per il preventivo benestare dell’Amministrazione , allo svolgimento dell’incarico per conto della stazione appaltante in posizione antagonista rispetto all’impresa la presenza della Commissione dei tecnici sarebbe espressione della funzione di alta sorveglianza e vigilanza che si accompagnava e non sostituiva quella della DL , alla documentazione prodotta sottoscrizione dei SAL, emanazioni di ordini di servizio, relazione sul conto finale, compilazione del verbale di consegna dei lavori, redazione dei verbale di ultimazione dei lavori, delle opere non esattamente eseguite, delle varianti in corso d’opera, dei materiali posti in opera, comunicazione scritte agli Enti, redazione di perizia suppletiva, partecipazione alle visite risultano assorbite, perché inidonee, come già affermato dalla Corte territoriale ed alla stregua di quanto si è esposto, a provare che, tramite lo svolgimento dell’incarico di DL, si sia instaurato un rapporto di servizio in senso lato con l’Ente appaltante. 19. Il settimo motivo, che va ora esaminato perché a carattere più liquido, va rigettato. È noto che l’azione di indebito arricchimento non può essere proposta quando, come recita l’art. 2042 cc, il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito . L’azione è, infatti, sussidiaria, requisito che va escluso allorché esista altra azione esperibile nei confronti dell’arricchito, o di persona diversa da esso. Nella specie, il ricorrente disponeva di azione contrattuale nei confronti dell’Impresa, per ottenere la remunerazione dell’attività svolta, azione che peraltro ha proposto e che si è conclusa con la transazione, di cui si è detto al § 8. Resta appena da aggiungere che il vizio motivazionale dedotto non è utilmente predicabile, essendo detta censura riferibile ex art. 360, 1 co n. 5 cpc, nel testo applicabile ratione temporis, solo, a profili di fatto e non anche a questioni di diritto, quale è quella relativa ai presupposti per la proponibilità dell’actio de in rem verso. 20. La questione della tempestività della proposizione della domanda d’ingiustificato arricchimento, oggetto del sesto motivo è inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, in quanto il suo accoglimento non potrebbe comunque condurre alla cassazione della decisione, essendo passata in giudicato una delle due ragioni difetto di sussidiarietà ritenute dalla Corte preclusive del relativo accoglimento Cass. SU n. 7931 del 2013 . 21. I due motivi del ricorso incidentale condizionato relativi all’omessa valutazione dell’eccezione di prescrizione, ed alla domanda di garanzia restano assorbiti. 22. La richiesta di condanna al risarcimento dei danni per lite temeraria, avanzata dall’ADISU, va accolta per le medesime ragioni indicate dalla Corte di merito, e cioè la consapevolezza dell’infondatezza della tesi nei confronti dell’Ente e l’intervenuto soddisfacimento della pretesa cui il ricorrente aveva diritto da parte dell’Impresa, mediante l’adempimento della transazione della lite, intervenuta con detta parte constando, in particolare, che il ricorrente non ha adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione e comunque ha agito senza compiere alcun serio sforzo interpretativo, deduttivo, argomentativo, per mettere in discussione con criteri e metodo di scientificità il consolidato orientamento della giurisprudenza a lui sfavorevole, in violazione pure del principio che considera illecito l’abuso del processo, ovvero il ricorso ad esso con finalità strumentali cfr. al riguardo, Cass. n. 3376 del 2016 e giurisprudenza ivi richiamata . Il ricorrente va, quindi, condannato al pagamento in favore di ADISU della somma di C 5.000,00, equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno ex art. 96, co 1, cpc. 23. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, condanna il ricorrente al pagamento della somma di Euro 5.000,00 dell’ADISU ex art. 96, co 1, cpc, nonché al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 8.200,00, cui Euro 200,00, per spese vive, in favore della predetta Azienda, ed Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00, per spese vive, in favore della S.n.c. R.G. .