Nel contratto d’opera il committente è sempre obbligato al pagamento del compenso

Il committente di un’opera professionale, in quanto obbligato al pagamento del relativo compenso, non deve necessariamente essere individuato nel beneficiario della prestazione, ben potendo l’incarico provenire da un estraneo o solo da alcuni degli altri soggetti interessati. Inoltre l’onere della prova del conferimento dell’incarico della prestazione grava completamente sull’attore.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8/17 depositata il 3 gennaio. Il caso. Il Tribunale di Firenze rigettava la domanda dell’attore che lamentava di non aver ricevuto il compenso per aver predisposto nell’interesse della società convenuta un financing project per la realizzazione di una residenza per studenti. La Corte d’appello confermava la decisione del Tribunale riconoscendo che i documenti forniti dall’attore, inidonei sia nel contenuto sia nella provenienza, non costituivano prova del conferimento dell’incarico dalla società. Inoltre l’impostazione difensiva non era supportata da alcuna prova che affermasse che l’incarico era stato conferito effettivamente dalla società convenuta. Adita la Corte di Cassazione, il professionista si duole per plurimi profili. Committente e pagamento del compenso. Innanzitutto ritiene che la Corte territoriale abbia implicitamente affermato che la stipulazione di un contratto d’opera professionale non possa scaturire da comportamento concludente. La Corte respinge tale motivazione affermando che il ricorrente stia muovendo da un travisamento della decisione impugnata, dando atto della correttezza del principio affermato dalla Corte di merito. Infatti, come afferma costantemente la giurisprudenza, il committente di un’opera professionale, in quanto obbligato al pagamento del relativo compenso, non deve essere necessariamente il beneficiario della prestazione, ma può essere individuato in un estraneo o solo in alcuni dei soggetti interessati. Di conseguenza, la S.C. conferma che non vi sono prove sufficienti che testimonino il conferimento dell’incarico ad un altro soggetto e, in tal senso, non può rilevare soltanto la circostanza dei rapporti infrasocietari. L’onere della prova. La Cassazione prosegue respingendo anche i restanti motivi ed affermando che la prova del conferimento dell’incarico, sotto il profilo della mancata instaurazione del rapporto di prestazione, come nel caso di specie, non può che gravare sull’attore e che compete esclusivamente al giudice di merito la valutazione delle prove prodotte dallo stesso. Non condividendo le lacune e le contraddizioni denunziate dal ricorrente, la Corte rigetta il ricorso condannando lo stesso al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 giugno 2016 – 3 gennaio 2017, n. 8 Presidente Bucciante – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 10 gennaio 2006 B.G. evocava, dinanzi al Tribunale di Firenze, la INIM — Interventi Immobiliari s.r.l. esponendo di avere predisposto nell’interesse della società convenuta un financing project per la realizzazione di una residenza per studenti nel Comune di Sesto Fiorentino per conto dell’Università di Firenze e n. 32 financing project per alloggi di servizio per il Ministero della difesa, senza però ricevere alcun compenso e pertanto ne chiedeva la condanna al pagamento del corrispettivo di Euro 354.702,37, oltre accessori. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, la quale assumeva di non avere mai intrattenuto rapporti con l’attore, il Tribunale adito rigettava la domanda. In virtù di rituale appello interposto dal B. , la Corte di appello di Firenze, nella resistenza della appellata, respingeva il gravame e per l’effetto confermava la sentenza del primo giudice. A sostegno della decisione adottata la corte territoriale affermava di condividere la statuizione del giudice di prime cure secondo il quale la sola produzione di n. 68 documenti non costituiva prova del conferimento dell’incarico, emergendo la inidoneità sia dal contenuto sia dalla provenienza degli stessi. Inoltre, osservava che la confutazione dell’appellante della statuizione secondo cui obbligato al pagamento del corrispettivo era il soggetto che gli aveva conferito l’incarico e non il diverso soggetto nell’interesse del quale la prestazione professionale corrispondeva, impostazione difensiva ribadita anche in appello, non era supportata da prova laddove lo stesso appellante affermava che l’incarico era stato pacificamente” conferito dalla SOCET e tale società, controllante della INIM, avrebbe associato all’affare la INIM. Né le prove testimoniali articolate assolvevano all’incombente probatorio vertendo su circostanze irrilevanti per essere finalizzate a provare il coinvolgimento della INIM nell’affare o comunque contenenti valutazioni. Le doglianze quanto alla valutazione dei documenti, infine, difettavano del requisito di specificità di cui all’art. 342 c.p.c Avverso la indicata sentenza della Corte di appello medicea ha proposto ricorso per cassazione lo stesso B. , sulla base di tre motivi, cui ha replicato con controricorso la INIM. In prossimità della pubblica udienza la INIM ha anche depositato memoria illustrativa. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1326 e 2229 c.c. per avere la corte territoriale implicitamente ritenuto che la stipulazione di un contratto e l’origine di un rapporto d’opera professionale non possa scaturire da comportamento concludente delle parti. In primo luogo deve osservarsi che il motivo muove da una travisamento della decisione impugnata, che, diversamente da quanto prospettato, non ha affatto affermato che vi sia un’unica forma per concludere un contratto d’opera. La pronuncia, in effetti, in conformità ad indirizzo espresso in materia da questa Corte cfr. Cass. 29 settembre 2004 n. 19596 Cass. 10 febbraio 2006 n. 3016 conf. da ultimo Cass. 27 gennaio 2010 n. 1741 Cass. 11 giugno 2014 n. 13206 , cui va data in questa sede continuità, ha evidenziato come il committente di un’opera professionale, in quanto tale obbligato al pagamento del relativo compenso, non deve necessariamente essere individuato nel beneficiario della prestazione, ben potendo l’incarico provenire da un estraneo o da alcuni soltanto di più soggetti interessati. Dato atto della correttezza del principio affermato dalla corte di merito, essa è passata quindi all’esame delle condizioni in forza delle quali potesse dirsi o meno acquisita in atti la prova del conferimento dell’incarico da parte della INIM, pervenendo all’esclusione per non avere trovato alcun riscontro probatorio la ipotesi prospettata dall’appellante, non potendo rilevare al riguardo soltanto la circostanza dei rapporti che certamente intercorrevano fra la SOCET sicuramente committente dell’incarico e la INIM, né la mancata contestazione circa il conferimento dell’incarico da parte della convenuta/appellata che non costituiva necessariamente prova del conferimento dell’incarico v. pag. 5 della sentenza impugnata . Né può formare oggetto di sindacato, in sede di legittimità, la mancata utilizzazione di elementi presuntivi come fonte di prova, da parte del giudice del merito v., per tutte, Cass. 21 ottobre 2003 n. 15737 . Con il secondo mezzo deduce la violazione degli artt. 230 e 244 c.p.c., anche per vizio di motivazione, per non avere la corte territoriale ammesso le prove orali articolate, nonostante i capitoli di interrogatorio formale fossero destinati a confermare il complesso di documenti prodotti e comprovanti la costituzione del rapporto d’opera professionale. Di seguito vengono riportati i capitoli di prova. Il motivo è inammissibile, dovendosi rilevarsi che i rilievi mossi alla sentenza impugnata si concentrano piuttosto sulle conclusioni cui sono pervenuti i giudici del merito con un esito della vicenda processuale diverso da quello voluto dall’attuale ricorrente, ma non dimostrano la loro decisività ai fini di un diverso esito del giudizio. Il ricorrente, in sostanza, non indica quali siano i vizi in cui sarebbe incorso il giudice del merito nel non ammettere le prove orali articolate, ma convoglia l’analisi dei motivi di ricorso, sotto il profilo motivazionale, alla ricerca di una non consentita rivalutazione del materiale probatorio. D’altra parte già nella descrizione del fatto il giudice del gravame — riferendole come difese dell’appellata - ha dato atto che l’attore non aveva insistito in sede di precisazione delle conclusioni sulle prove orali articolate, che il giudice non aveva ammesso, genericamente indicati n. 7 testi. Ha poi chiarito — nella parte motiva - di condividere, in quanto corretta, la decisione del primo giudice sulle prove testimoniali di cui alla memoria attorea del 29.09.2006, essendo relative a fatti irrilevanti, giacché finalizzati a provare il coinvolgimento dell’INIM nell’affare, ovvero implicavano valutazioni non consentite dei testi. A fronte di detta argomentazione nessuna specifica critica risulta mossa dal ricorrente. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 165 c.p.c., anche come vizio di motivazione, quanto alla valutazione della documentazione da lui prodotta fin dal primo grado, e di sei documenti viene illustrato la rilevanza probatoria. Del pari priva di pregio risulta l’ultima censura. La prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico, quando il diritto al compenso sia dalla convenuta contestato, come nella specie, sotto il profilo della mancata instaurazione di un simile rapporto, non può che gravare sull’attore, così come compete esclusivamente al giudice del merito valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita, sottraendosi il risultato del relativo accertamento, se adeguatamente e coerentemente motivato, al sindacato di legittimità. Ora, il giudizio negativo espresso dal giudice d’appello, all’esito di una compiuta disamina delle risultanze probatorie processuali, sull’assolvimento di siffatto onere nel caso di specie, si sottrae alle censure di vizio della motivazione formulate dal ricorrente. Invero, nessuna delle circostanze che si assumono da quel giudice erroneamente valutate, ha rivestito valore decisivo nella formazione del suo convincimento, onde l’irrilevanza di un eventuale errore commesso nella valutazione del singolo loro peso probatorio. Tutte, per converso, risultano essere state ritenute globalmente inidonee, considerate nella loro connessione logica, cronologica e spaziale, a provare che l’attività di financing project predisposta dal dott. B. , avesse fatto seguito al conferimento diretto o indiretto, espresso o tacito, di un corrispondente incarico da parte della INIM, con la giustificazione degli stessi rapporti professionali con la SOCET, che aveva espressamente richiesto o sollecitato il suo impegno. Nella trama argomentativa della sentenza cfr. pag. da 5 a 6 non si ravvisano, quindi, le lacune e le contraddizioni denunziate dal ricorrente, risultando invece il criticato convincimento sorretto da una motivazione ampia, adeguata e corretta. Inoltre il motivo difetta di specificità, perché il ricorrente poggia il suo percorso argomentativo su una pluralità di documenti solo richiamati, senza allegarli al ricorso o trascriverne il contenuto v. al riguardo art. 366 n. 6 cpc , sollecitando in tal modo la Corte di Cassazione alla ricerca di essi, attività certamente preclusa nel giudizio di legittimità. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate in dispositivo, sono distratte in favore dell’avvocato antistatario. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 10.200,00 per compensi professionali, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfetarie ed accessori come per legge. Spese da distrarsi in favore dell’avv. Marco Orsenigo che se ne è dichiarato antistatario.