Sfrattata la badante che millanta una convivenza more uxorio

Per poter succedere nell’assegnazione dell’immobile condotto in locazione è necessario che siano maturati almeno due anni di ospitalità temporanea e che, ai sensi dell’art. 13 della l.r. n. 14/2010, in caso di decesso dell’assegnatario, la successione nell’assegnazione avviene solo in favore del coniuge, dei figli, del convivente more uxorio, degli affini e degli altri componenti del nucleo familiare composto da membri iscritti da almeno un anno nella famiglia anagrafica. In mancanza di detti legami di parentela, di affinità o di prova di una convivenza more uxorio e/o di coabitazione anche temporanea protratta nei termini di tempo anzidetti è legittimo il decreto di rilascio dell’immobile assegnato.

Lo ha affermato la Cassazione n. 20634/16 del 13 ottobre. Il fatto. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla collaboratrice la quale pretendeva di succedere nell’assegnazione dell’immobile condotto in locazione dall’assistito dopo il decesso di quest’ultimo. Si opponeva alla suddetta pretesa di riconoscimento del diritto a succedere nell’assegnazione l’Agenzia del territoriale per la casa della provincia di Torino la quale rilevava la mancanza dei presupposti di legge e in particolare la mancanza della prova di una convivenza more uxorio tra l’assistito e la badante e la mancanza del requisito temporale per l’ospitalità temporanea. Infatti, sia il Tribunale che la Corte d’appello avevano fondato le rispettive pronunce sulla mancanza di prova della millantata convivenza e sottolineavano che non era stato raggiunto il presupposto temporale richiesto per l’ospitalità temporanea, essendo deceduto l’assistito, non che assegnatario dell’immobile, prima del raggiungimento del secondo anno di coabitazione dall’introduzione nella casa della collaboratrice. Per contro, la collaboratrice affermava che la sua presenza all’interno della casa era giustificata da una convivenza more uxorio e che in ragione di detto rapporto il periodo di coabitazione da considerare non doveva essere il biennio dell’ospitalità temporanea di cui alla legge regionale del ‘95, ma quello più breve indicato nell’art. 13 della legge regionale n. 14 del 2010. Contratto di assistenza. In realtà ciò che emerge evidentemente nelle sentenze impugnate è che l’introduzione nella casa della collaboratrice era avvenuta con contratto di assistenza e con una richiesta di ospitalità fatta in un periodo in cui nell’abitazione vi conviveva anche la moglie dell’assegnatario assistito pertanto secondo i giudici di merito non vi era convivenza more uxorio e non poteva decorrere da detta introduzione il relativo termine temporale richiesto dalla legge per la successione nell’assegnazione. Inoltre, le sentenze rilevavano che, anche in seguito alla seconda richiesta di ospitalità nella quale non vi era alcuna menzione della convivenza nell’abitazione della consorte dell’assegnatario, mancava in ogni caso una qualsivoglia prova del legame affettivo tra l’assegnatario e la collaboratrice e, conseguentemente, i Giudici escludevano di nuovo l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 13 della l.r. n. 14/2010 e del relativo termine temporale ivi indicato. Tutto quanto premesso, la Corte di Cassazione ha confermato quindi la sentenza appellata che rigettava l’opposizione della badante al decreto di rilascio dell’immobile assegnato emesso in suo danno dalla Agenzia Territoriale per la Casa della provincia di Torino. La mancanza della prova di una convivenza more uxorio riconduce il rapporto ad una ospitalità temporanea. Gli artt. 13 e 4 della l.r. n. 14/2010 stabiliscono molto chiaramente che, in caso di decesso dell’assegnatario dell’alloggio, la successione nell’assegnazione è riservata al coniuge, ai figli, al convivente more uxorio , agli affini e agli altri componenti del nucleo familiare purché iscritti da almeno un anno nella famiglia anagrafica. Diviene quindi essenziale la prova del legame affettivo con l’assegnatario e la sussistenza di una reale convivenza more uxorio in quanto, in mancanza di detti legami affettivi, di parentela e/o di certificate iscrizioni anagrafiche, la successione nell’assegnazione può avvenire solo con la maturazione di due anni di una comprovata ospitalità temporanea, così come era previsto nella legge regionale n. 46 del 2005, richiamata dall’art. 14 l.r. del 2010.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 giugno – 13 ottobre 2016, numero 20634 Presidente Amendola – Relatore Armano Svolgimento del processo La Corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata il 10-4-14, ha confermato il rigetto dell’opposizione di C.A.M.R. al decreto di rilascio emesso in suo danno dalla Agenzia Territoriale per la Casa della Provincia di [], assumendo il proprio diritto a succedere al convivente defunto signor S. nell’assegnazione dell’immobile da questi condotto in locazione. Avverso detta decisione propone ricorso C.A.M.R. con tre motivi. Non presenta difese l’ATC. Motivi della decisione 1. Il primo giudice ha ritenuto che, in virtù dell’art. 14 L.R. numero 14 del 2010, erano ancora applicabili le disposizioni della legge regionale numero 46 del 1995 che esigevano per il subentro nella locazione la maturazione di due anni di ospitalità temporanea. Questi, alla data della morte dell’assegnatario, avvenuta il 23 giugno 2011, non erano ancora decorsi, perché la coabitazione era cominciata l’11 novembre 2009. La Corte di appello ha confermato il rigetto dell’opposizione, sul rilievo che l’assunto dell’appellante, secondo cui avrebbe dovuto applicarsi il disposto degli artt. 13 e 4 della L.R. numero 14 del 2010 - che prevedevano in caso di decesso dell’assegnatario, la successione nell’assegnazione del coniuge, dei figli, del convivente more uxorio, degli affini e degli altri componenti del nucleo familiare composto da membri iscritti da almeno un anno nella famiglia anagrafica, era resistito dalla mancanza di prova che ci fosse convivenza more uxorio, neppure ammessa dal primo giudice, che usa il termine convivenza come sinonimo di coabitazione ed in ogni caso escluso dalla documentazione in atti, dalla quale risultava che in data 11 novembre 2009 c’era in casa ancora la moglie dello S. e che ci fu richiesta di autorizzazione alla ospitalità temporanea della C. per assistenza . 2.La Corte di appello ha ritenuto che la prova della convivenza more uxorio non poteva desumersi dal certificato redatto dopo la morte di S. , dal quale era sparita la moglie, perché mancava prova dei vincoli affettivi con l’assegnatario o di una chiara e manifesta relazione sentimentale tra questi e la C. che era stata richiamata genericamente la prova articolata in primo grado, ma non specificamente censurata la mancata ammissione della stessa per superfluità in ogni caso, il capitolo due della prova sulla convivenza more uxorio era generico e non era indicato alcun teste idoneo a deporre sul punto non poteva dirsi che la circostanza della convivenza more uxorio non fosse stata contestata, mentre la prova doveva essere rigorosa perché la norma richiedeva almeno un anno di convivenza more uxorio di conseguenza la C. avrebbe dovuto provare l’eventuale momento iniziale dell’effettiva convivenza more uxorio. 3. Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione dell’art. 115 c.p.c La ricorrente censura l’affermazione della Corte d’appello secondo cui la convivenza more uxorio non è comune circostanza di fatto , soprattutto in presenza di riscontri documentali certi di segno contrario richiama la circostanza che la stessa convenuta si era opposta alla ammissione della prova ritenendo pacifici i fatti. 4. Il motivo è infondato. La ricorrente pur riportando integralmente in ricorso il contenuto dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, in cui esplicitamente ella vanta la sua qualità di convivente more uxorio, e quindi il suo diritto a succedere nell’assegnazione della casa, per quanto riguarda la posizione dell’ente convenuto, genericamente afferma che quest’ultimo non ha svolto alcune genere di contestazione, ma non indica in ricorso cosa aveva opposto l’ATC e con quali allegazioni avveniva la produzione del documento richiamato dalla Corte, da cui si evinceva che la coabitazione della C. era iniziata per motivi di assistenza quando faceva parte del nucleo familiare dello S. ancora la moglie. 5. Dalla motivazione della sentenza impugnata si rileva che la Corte d’appello non ha negato che la C. avesse iniziato la coabitazione nella famiglia dello S. l’11 novembre 2009, ma ha evidenziato la mancanza di prova che tale coabitazione fosse more uxorio. La ricorrente, non riportando il ricorso specificatamente la linea difensiva dell’ATC, non consente a questa Corte di apprezzare la dedotta non contestazione delle circostanze che avrebbero dato diritto alla C. a succedere nell’assegnazione dell’abitazione. 6. Con il secondo m vo si denunzia violazione della legge processuale lesione di diritto di difesa e del diritto alla prova. La ricorrente censura la mancata ammissione della prova e contesta l’asserita genericità del capitolo 2. 7. Il motivo è inammissibile in quanto non censura compiutamente la motivazione della sentenza sul punto. Infatti non viene censurata la motivazione della Corte territoriale secondo cui non c’era stata una specifica impugnativa dell’affermazione del Tribunale sulla superfluità delle prove, né viene censurato il rilievo che il capitolo due, avente ad oggetto la convivenza more uxorio, non riportava neanche il nominativo del testimone richiesto. Su questi punti deve ritenersi passata in giudicato la relativa ratio decidendi essendo entrambi idonei a sorreggere la decisione. 8. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia la violazione dell’articolo 2699 c.c. e vizi motivazionali in ordì alla valutazione dei documenti prodotti in corso di causa oggetto del primo motivo di ricorso. Il motivo è inammissibile. Si osserva che sotto l’apparente denunzia di vizio di violazione di legge la ricorrente, al di là della formale dedotta violazione dell’art. 2699 c.c., non indica in concreto quale sia la violazione di legge commessa dai giudici di merito. In realtà la ricorrente richiede a questa Corte un riesame del merito della controversia, vale a dire la valutazione dei documenti prodotti. 9. La rivalutazione delle risultanze probatorie per giungere ad un accertamento del fatto diverso da quello motivatamente fatto proprio dai giudici di merito era inammissibile nella vigenza della precedente formulazione dell’articolo 360 numero 5 c.p.c ed ancor più oggi, nella vigenza del nuovo articolo 360 numero 5 c.p.c Si ricorda che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 10-42014 e di conseguenza alla stessa si applica la nuova formulazione dell’articolo 360 numero 5 c.p.c 10. L’art. 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, numero 6, e 369, secondo comma, numero 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La riformulazione dell’art. 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. Cass. Sez. II, Sentenza numero 8053 del 07/04/2014. 11. La ricorrente nelle formulare la denunzia di vizio di motivazione esce fuori dal modello legale del vizio come disciplinato dall’articolo 360 numero 5 c.p.c. vigente. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Nulla per le spese stante l’assenza dell’intimato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.