Obbligazioni bancarie: attenzione alla data di rimborso

Le previsioni di un contratto devono essere interpretate col criterio essenziale della razionalità e pertanto il mero refuso, o errore materiale, contenuto in una singola clausola del contratto di investimento non può prevalere su quanto previsto, invece, in altre e più dettagliate pattuizioni.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con decisione n. 13854 del 7 luglio 2016 qui annotata. Obbligazionisti contro banca emittente. Il Tribunale di Siracusa respingeva la domanda avanzata da due risparmiatori nei confronti della banca di loro riferimento avente ad oggetto l’annullamento di un contratto di acquisto di obbligazioni emesse dalla banca medesima nell’anno 1999. La domanda di annullamento si fondava sull’errore essenziale e riconoscibile in cui i risparmiatori sarebbero incorsi al momento della sottoscrizione del prestito obbligazionario essendo stato indicato nel prospetto informativo il diritto al rimborso del capitale nell’anno 2009 invece che, come in effetti sarebbe stato, nell’anno 2029. Secondo il Tribunale l’indicazione nell’ordine di acquisto del termine di rimborso all’anno 2009 integrava un mero refuso agevolmente svelabile attraverso le altre clausole contrattuali che attestavano in modo inequivoco la durata trentennale del prestito. La decisione veniva impugnata innanzi alla Corte d’appello di Catania la quale accoglieva il gravame dei risparmiatori annullando il contratto di investimento. Segnatamente, il giudice di secondo grado riteneva di dover distinguere – nell’ambito del prestito obbligazionario sottoscritto dai clienti – il termine di durata dei titoli e quello di esigibilità del capitale. Ad avviso della Corte d’appello l’assetto regolamentare dell’accordo perfezionato tra i clienti e la banca prefigurava il diritto dei primi ad esigere anticipatamente – e cioè sin dall’anno 2009 – la riscossione del capitale, anche se la durata del titolo obbligazionario era prevista sino all’anno 2029. Ricorreva in Cassazione la banca spiegando quattro motivi tutti tesi a dimostrare come nella fattispecie non fosse configurabile un’ipotesi di errore essenziale e riconoscibile. La Suprema Corte di Cassazione accoglieva il ricorso. Queste le motivazioni. Interpretazione del contratto secondo razionalità. Ricorda in primo luogo la Suprema Corte che, ai sensi dell’art. 1362 c.c., l’accertamento del significato degli atti negoziali deve essere condotto senza limitarsi al senso letterale delle parole e ricercando, invece, la volontà oggettivata nell’atto mediante l’utilizzo di criteri sussidiari, quali l’interpretazione logica e il comportamento delle parti anche successivo al contratto ciò al fine di accertare il contenuto dell’atto in relazione alla sua funzione. Criterio essenziale d’interpretazione dei negozi come delle norme è dunque quello della razionalità, pur nei limiti del tenore letterale delle previsioni. Viene richiamato il precedente orientamento di legittimità Cass. 23 agosto 2003, n. 12389 9 luglio 1994, n. 6484 22 ottobre 1981, n. 5528 secondo cui la comune volontà dei contraenti deve essere ricostruita sulla scorta di due elementi principali, il senso letterale delle espressioni usate e la ratio del precetto contrattuale, e che tra i predetti criteri non esiste un preciso ordine di priorità, essendo essi piuttosto destinati ad integrarsi a vicenda, in un logico gradualismo dei mezzi di interpretazione, che devono fondersi ed armonizzarsi nell’appressamento dell’atto negoziale. La lettera i.e. il senso letterale , la connessione i.e. il senso coordinato e l’integrazione i.e. il senso complessivo costituiscano invece strumenti interpretativi legati da un rapporto di implicazione necessario al relativo procedimento ermeneutico. La struttura ed il funzionamento del prestito obbligazionario. La Suprema Corte si sofferma poi sul prestito obbligazionario ex art. 2410 ss. c.c. che, secondo la sua struttura ordinaria, è caratterizzato dal seguire lo schema del mutuo di cui all’art. 1813 c.c. si tratta di un’operazione di prestito collettivo con obbligo di restituzione. A differenza di ulteriori ipotesi di dazioni alla società conferimenti, versamenti in conto capitale, versamenti a fondo perduto, ecc. , il prestito obbligazionario si connota, invero, per l’obbligo di rimborso del capitale da parte dell’emittente. In talune sottospecie di titoli obbligazionari è possibile peraltro all’autonomia privata atteggiare in vario modo il corrispondente diritto al rimborso es. le obbligazioni subordinate, di cui all’art. 2411, comma 1, c.c., ove si rinvia l’esercizio, e non si esclude la titolarità, del diritto al rimborso o le obbligazioni irredimibili, che continuano però ad essere contabilizzate come debito . Inoltre, rispetto alle obbligazioni, altro sono gli strumenti finanziari cd. ibridi i quali comunque denominati [] condizionano i tempi e l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico della società art. 2411, comma 3, c.c. e che presentano caratteri più simili alle azioni, per la partecipazione al rischio d’impresa e la stessa aleatorietà della remunerazione e della restituzione dell’apporto. In ordine al prestito obbligazionario bancario la Corte ricorda efficacemente che questo è ammesso ai sensi dell’art. 12 TUB a condizione del rispetto di stringenti regole dettate dalla Banca d’Italia. Carattere tipico dell’obbligazione bancaria è il diritto del sottoscrittore alla restituzione della somma concessa, nonché al riconoscimento di un interesse rappresentativo del rendimento del titolo nel periodo di durata del prestito pagato mediante cedole periodiche. Sebbene tale interesse possa essere pagato a diverse scadenze temporali a seconda del regolamento del prestito, lo stesso, però, non può susseguire la cessazione del rapporto avvenuto a seguito del rimborso integrale del capitale, restando del tutto teorica l’ipotesi che le parti specificamente pattuiscano ex art. 1183 c.c. l’adempimento dell’obbligazione accessoria del pagamento di un rendimento alla scadenza di un termine successivo all’avvenuta restituzione del capitale mutuato. Il refuso nella modulistica di investimento non rileva quale errore determinante l’annullamento del contratto. La Corte non condivide il ragionamento del secondo Giudice poiché a fronte della reiterata indicazione del termine di scadenza del prestito con rimborso del capitale nell’anno 2029 il mero refuso, o errore materiale, contenuto in una singola clausola del contratto non può prevalere su quanto previsto, invece, in altre e più dettagliate pattuizioni. Rileva, in dettaglio, la Corte come l’indicazione della data 2009 nel regolamento obbligazionario avrebbe dovuto essere attentamente comparata dagli investitori con le altre clausole nelle quali veniva inequivocabilmente definito il prestito come di durata di anni 30. Sulla riconoscibilità dell’errore. Osserva, infine, la Suprema Corte come l’errore che conduce all’annullamento del contratto, oltre che essenziale – tale da determinare la parte a concludere l’atto – debba essere anche riconoscibile dall’altro contraente, nel senso che questi, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ed alle qualità dei contraenti, debba poterlo rilevare adoperando la normale diligenza Cass. 1° ottobre 1993, n. 9777 Cass. 28 marzo 1990, n. 2518 Cass. 7 maggio 1982 n. 2844 . Nella fattispecie, ad avviso della Suprema Corte, il Giudice di secondo grado non ha adeguatamente motivato la ragione per la quale l’allegato errore fosse riconoscibile. Da qui la cassazione della decisione con rinvio alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 21 aprile – 7 luglio 2016, n. 13854 Presidente Dogliotti – Relatore Nazzicone Svolgimento del processo Il Tribunale di Siracusa con sentenza del 12 novembre 2004 ha respinto le domande proposte da T.P. ed altri contro la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., volte all’annullamento dei contratti di acquisto delle obbligazioni, emesse dalla banca, conclusi dagli attori in data 11 febbraio 1999 ed al rimborso dell’intero capitale investito di Euro 1.347.000,00, oltre interessi. La domanda di annullamento si fondava sull’errore, essenziale e riconoscibile, in cui gli attori sarebbero incorsi al momento della sottoscrizione del prestito, dato che l’art. 5 del prospetto informativo indicava il diritto al rimborso del capitale alla data del 15 febbraio 2009, invece che 2029 com’era in realtà, trattandosi di prestito trentennale. La Corte d’appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, ha annullato gli ordini di acquisto e condannato la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. al pagamento della somma di 1.347.000,00, oltre interessi legali dal 28 aprile 2000. La corte territoriale ha ritenuto, infatti, che dovessero distinguersi, nell’ambito del prestito obbligazionario sottoscritto dagli investitori, il termine di durata dei titoli ed il termine di esigibilità del capitale, non condividendo il contrario avviso del tribunale, secondo cui il refuso contenuto all’art. 5 del prospetto informativo, laddove indicava il termine del rimborso del capitale nel 2009, sarebbe stato svelato agevolmente dalle altre clausole, le quali, in modo inequivoco, attestavano la durata trentennale del prestito con scadenza al 15 febbraio 2029. In tal modo, l’assetto regolamentare prefigurava il diritto dell’investitore ad esigere anticipatamente - al decimo anno - la riscossione del capitale. Né ciò è smentito dalla deposizione testimoniale del direttore della filiale, inattendibile per essere il funzionario responsabile dell’errore, né avendo il medesimo riferito circa il termine anticipato di esigibilità. Da tale errore essenziale, afferente il diritto all’esigibilità anticipata del capitale, e riconoscibile atteso il refuso materiale dell’art. 5 del regolamento, deriva il diritto all’annullamento degli ordini di acquisto. Avverso questa sentenza propone ricorso la banca, affidato a quattro motivi, illustrati altresì dalla memoria di cui all’art. 378 c.p.c. Resistono gli intimati con unico controricorso. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione degli art. 1324, 1362, 1363 e 1367 c.c., per avere la sentenza impugnata incongruamente distinto tra termine di esigibilità del capitale investito e termine di durata delle obbligazioni sottoscritte, ravvisando una separazione temporale tra il termine di rimborso del capitale e quello di durata del prestito obbligazionario. Ed invero, le clausole del prospetto informativo come riportate in ricorso, per il rispetto del principio di autosufficienza recavano, tra l’altro, l’indicazione di un piano di rendimento per il primo decennio, quindi sino al 2009, e di un premio di rimborso finale al termine del prestito trentennale nel 2029 onde non avrebbero potuto fondare alcun legittimo convincimento circa la corresponsione di un premio di rimborso successivamente alla restituzione del capitale ed a valere in sostituzione delle cedole, secondo la lettura incongrua di controparte, avallata dalla corte territoriale. In ogni caso, al cliente era stata consegnata una nota informativa sui titoli, chiaramente enunciante data prossimo rimborso 15 febbraio 2029 . Con il secondo motivo, deduce la carenza o contraddittorietà della motivazione circa l’affermata distinzione, nel caso di specie, tra termine di esigibilità e di scadenza delle obbligazioni, che, a differenza della corte d’appello, il tribunale aveva equiparato, tra l’altro avendo il giudice dell’impugnazione ingiustificatamente svalutato la deposizione del teste, il quale aveva riferito circa la durata trentennale del titolo, che sola giustificava il rendimento previsto. Con il terzo motivo, censura la violazione o la falsa applicazione degli art. 1428, 1429 e 2697 c.c., in quanto la sentenza impugnata non ha motivato perché, nel caso di specie, l’errore fosse essenziale e riconoscibile, in particolare in presenza di un prospetto informativo che, pur in presenza del refuso, chiaramente enunciava la data di rimborso al 15 febbraio 2029. Con il quarto motivo, deduce la motivazione carente circa l’esistenza dei presupposti di essenzialità e riconoscibilità dell’errore, posto che sul punto la corte territoriale non ha indicato i profili fattuali da cui, in concreto, ha desunto tali caratteri dell’errore. 2. - I quattro motivi, da trattare congiuntamente in quanto intimamente connessi1 riguardando essi, sotto vari profili, l’errore circa la data di rimborso del capitale - al 2009, invece che al 2029 - sono fondati. 2.1. - La motivazione della corte territoriale si fonda sui seguenti capisaldi - nell’ambito del prestito obbligazionario sottoscritto, va distinto il termine di durata dei titoli obbligazionari dal termine di esigibilità del capitale investito - il primo è indicato agli art. 2 e 3, che fissano la scadenza del titoli in trent’anni, nonché il rendimento mediante interessi annui, pari al tasso del 10,50% per il primo ed al 5% per gli ulteriori nove anni, mentre per la residua durata del prestito – periodo 15.2.2009/15.2.2029 le obbligazioni non corrisponderanno alcuna cedola essendo gli interessi per il periodo in questione rappresentati dal premio di rimborso di cui al successivo art. 4 , ossia un premio pari al 115% sul loro valore nominale - il diritto al rimborso del capitale risulta invece dal refuso - tale definito dalla corte territoriale contenuto all’art. 5 del prospetto informativo, laddove indica il termine di rimborso del capitale nel 2009 - detta indicazione è idonea a indurre i sottoscrittori in errore sul diritto ad ottenere il rimborso dell’intero capitale dopo dieci anni, errore, per la sua rilevanza, da ritenere essenziale, nonché riconoscibile dalla banca quale soggetto emittente, tenuto alla diligenza professionale, così che essa non avrebbe potuto non accorgersi dell’equivoco di controparte. 2.2. - Tale motivazione presenta mende sotto il profilo logico-giuridico, non apparendo la sentenza aver fatto buon governo dei canoni ermeneutici che presiedono all’interpretazione degli atti negoziali. Dispone l’art. 1362 c.c. che l’accertamento del significato degli atti negoziali sia condotto senza limitarsi al senso letterale delle parole e ricercando, invece, la volontà oggettivata nell’atto, mediante l’utilizzo di criteri sussidiari, quali l’interpretazione logica e il comportamento delle parti anche successivo al contratto, in particolare al fine di accertare il contenuto dell’atto in relazione alla sua funzione. Criterio essenziale d’interpretazione dei negozi come delle norme è, invero, quello della razionalità, pur nei limiti del tenore letterale delle previsioni. Questa Corte ha più volte chiarito ex multis, Cass. 23 agosto 2003, n. 12389 9 luglio 1994 n. 6484 22 ottobre 1981, n. 5528 che va ricostruita la comune volontà dei contraenti sulla scorta di due elementi principali, il senso letterale delle espressioni usate e la ratio del precetto contrattuale, e che tra i predetti criteri non esiste un preciso ordine di priorità, essendo essi piuttosto destinati ad integrarsi a vicenda, in un logico gradualismo dei mezzi di interpretazione, che devono fondersi ed armonizzarsi nell’apprezzamento dell’atto negoziale mentre si è precisato Cass. 3 giugno 2014, n. 12360 8 marzo 2007, n. 5287 come la lettera, ossia il senso letterale, la connessione, ossia il senso coordinato e l’integrazione, quale senso complessivo, costituiscano strumenti interpretativi legati da un rapporto di implicazione necessario al relativo procedimento ermeneutico. 2.3. - Il prestito obbligazionario ex art. 2410 ss. c.c. è, secondo la sua struttura ordinaria, caratterizzato dal seguire lo schema del mutuo di cui all’art. 1813 c.c. si tratta di un’operazione di prestito collettivo con obbligo di restituzione. A differenza di ulteriori ipotesi di dazioni alla società conferimenti, versamenti in conto capitale, versamenti a fondo perduto, ecc. , il prestito obbligazionario si connota, invero, per l’obbligo di rimborso del capitale da parte dell’emittente. In talune sottospecie di titoli obbligazionari, è possibile peraltro all’autonomia privata atteggiare in vario modo il corrispondente diritto al rimborso es. le obbligazioni subordinate, di cui all’art. 2411, 1 comma, c.c., ove si rinvia l’esercizio, e non si esclude la titolarità, del diritto al rimborso o le obbligazioni irredimibili, che continuano però ad essere contabilizzate come debito . Inoltre, rispetto alle obbligazioni, altro sono gli strumenti finanziari cd. ibridi, i quali comunque denominati condizionano i tempi e l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico della società art. 2411, 3 comma, c.c. e che presentano caratteri più simili alle azioni, per la partecipazione al rischio d’impresa e la stessa aleatorietà della remunerazione e della restituzione dell’apporto. Per quanto riguarda le banche, l’art. 12 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 ha ammesso nel nostro ordinamento la possibilità generale per le medesime di emettere titoli obbligazionari, facoltà sottoposta a stringenti regole dettate dalla Banca d’Italia cfr. le Istruzioni Banca d’Italia, in G.U., 7 gennaio 1997, n. 4, in materia di raccolta in titoli delle banche e uno dei profili ove la disciplina di vigilanza è più rigorosa attiene proprio al rimborso anticipato del capitale ad iniziativa dell’emittente, sottoposto alla previa autorizzazione della Banca d’Italia, a conferma della rilevanza generale per il mercato finanziario dei modi e tempi del rimborso del capitale investito. Non è questa la sede per un’analisi dei numerosi strumenti di finanziamento societario previsti dall’ordinamento, anche in quello settoriale bancario ciò che può dirsi è che, pur nell’aumentata autonomia privata in tema di finanziamento dell’impresa, permane la summa divisio tra capitale di rischio e capitale di debito ancor più tale distinzione era evidente prima della riforma del diritto societario del 2003, in cui si colloca la vicenda in esame. In definitiva, carattere tipico dell’obbligazione in discorso è il diritto alla restituzione della somma concessa dal sottoscrittore. Ne deriva - integrando la stessa causa concreta dell’operazione - la corresponsione al medesimo di un interesse , il quale costituisce il rendimento del titolo nel periodo di durata del prestito e che viene normalmente per somiglianza con i titoli azionari pagato mediante cedole periodiche fintanto che dura il prestito, al finanziatore viene concesso un interesse variamente commisurato, atteggiato e corrisposto - volto a costituire il corrispettivo della iniziale dazione del denaro. Tale interesse può venire pagato, poi, a diverse scadenze temporali, a seconda del regolamento del prestito. Ciò che, tuttavia, non si dà, è la corresponsione di un interesse, o rendimento, dopo la cessazione del rapporto in seguito all’avvenuto rimborso integrale del capitale restando del tutto teorica l’ipotesi che le parti specificamente pattuiscano - secondo lo strumento giuridico civilistico dell’art. 1183 ss. c.c. l’adempimento dell’obbligazione accessoria del pagamento di un rendimento alla scadenza di un termine successivo alla ormai avvenuta restituzione dell’intero capitale mutuato. 2.4. - Nella specie, la corte del merito, dopo avere reputato ammissibile in astratto una scissione tra rimborso del capitale e scadenza del prestito, ha omesso qualsiasi argomentazione al riguardo, come avrebbe invece dovuto, sulla base delle clausole dello specifico regolamento negoziale del prestito. A fronte della reiterata indicazione del termine di scadenza del prestito con rimborso del capitale nell’anno 2029 - termine che risulta dalle clausole, che sono state riportate nella sentenza impugnata e nel ricorso - la corte del merito non motiva poi adeguatamente sul come l’esistenza di un solo refuso , o errore materiale, all’art. 5 del contratto - così definito dalla medesima corte territoriale, che ha in tal modo escluso il dolo, il quale peraltro non risulta neppure dedotto in giudizio dagli investitori - possa prevalere su quanto previsto nelle dettagliate tre clausole precedenti. Ed invero, l’indicazione, per una sola volta, del numero 2009 nel predetto regolamento avrebbe dovuto essere attentamente comparata con le altre clausole, le quali definivano il prestito della durata di anni 30 trenta , attribuivano il diritto a cedole annuali per i primi dieci anni al tasso del 10,50% e, poi, del 5%, e chiarivano come invece, per la durata residua del prestito periodo 15 febbraio 2009 - 15 febbraio 2029 , il rendimento fosse limitato alla corresponsione, alla data di rimborso del prestito, del premio pari al 115% sul loro valore nominale . Solo all’esito di tale esame, infatti, avrebbe potuto reputarsi prevalente, secondo l’interpretazione oggettiva dell’accordo di cui innanzi si è discorso, alla stregua delle parole usate e della valenza complessiva delle sue clausole - volta ad accertare il contenuto dell’atto in relazione alla sua funzione, ai sensi degli art. 1362 e 1363 c.c. - l’indicazione per una sola volta dell’anno 2009 , quale termine finale di rimborso dell’intero capitale mutuato. 2.5. - Quanto esposto vale a fondare anche la critica alla ritenuta riconoscibilità dell’errore, parimenti motivata in modo inadeguato, alla stregua del complessivo contenuto negoziale. Da tempo questa corte ha ribadito in proposito come l’errore che conduce all’annullamento del contratto, oltre che essenziale, cioè tale da determinare la parte a concludere l’atto, debba essere anche riconoscibile dall’altro contraente, nel senso che questi, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto e alle qualità dei contraenti, avrebbe dovuto rilevarlo adoperando la normale diligenza Cass. 10 ottobre 1993, n. 9777 28 marzo 1990, n. 2518 7 maggio 1982, n. 2844 ovvero, ove si tratti di professionista, la diligenza qualificata che gli compete. Ciò posto, la corte territoriale non ha chiarito ed adeguatamente motivato la ragione per la quale fosse riconoscibile per l’altro contraente l’allegato errore circa il momento di esercizio del diritto alla restituzione del capitale investito, a fronte, da un lato, dell’unico errore materiale sopra indicato, e, dall’altro lato, delle numerose indicazioni relative alla data del rimborso del capitale, contenute nel regolamento del prestito obbligazionario in questione. 3. - In conclusione, il ricorso va accolto, con rinvio della causa innanzi alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, perchè riesamini il materiale probatorio acquisito alla stregua dei principi enunciati ad essa si demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia innanzi alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.