Furto della carta di credito, chi paga le operazioni eseguite successivamente al furto?

Il furto della carta di credito non esclude l'imputabilità delle operazioni in capo all'intestatario. In caso di furto di carta di credito, affinché l'intestatario della carta non sia chiamato a responsabilità per le operazioni effettuate successivamente al furto, occorre depositare tempestiva denuncia. Le operazioni effettuate dal momento del furto al momento del deposito della denuncia sono imputabili al titolare della carta a meno che non si fornisca la prova di mancata diligenza del soggetto che ha accettato il pagamento.

In questo senso la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6751/2016, depositata il 7 aprile. Il caso. Un privato attivava una carta di credito prepagata. Il contratto veniva interrotto e l'istituto di credito che aveva emesso la carta chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo per importo pari al saldo debitore. L'ingiunto formulava opposizione, il giudice di pace revocava il decreto. Per quanto è dato comprendere, la revoca fondava sulla difesa dell'ingiunto che aveva eccepito il furto della carta e la non imputabilità delle relative operazioni. Il Tribunale riformava la decisione, precisava che l'ingiunto non si era attivato per sospendere l'operatività della carta, quindi, anche ammettendo il furto ciò non escludeva il diritto della banca di recuperare le somme addebitate. Il titolare della carta ha proposto ricorso per cassazione. La difesa dell'ingiunto. Ha richiamato e chiesto l'applicazione dell'art. 56 codice del consumo, il quale statuisce che l’istituto di emissione della carta di pagamento riaccredita al consumatore i pagamenti dei quali questi dimostri l’eccedenza rispetto al prezzo pattuito ovvero l’effettuazione mediante l’uso fraudolento della propria carta di pagamento da parte del professionista o di un terzo. Detta norma, ha chiarito la S.C. non è applicabile al caso di specie perché l'art. 51 chiarisce che l'art. 56 si applica ai contratti a distanza, con esclusione dei contratti conclusi tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati, conclusi con gli operatori delle telecomunicazioni impiegando telefoni pubblici, contratti relativi alla costruzione e alla vendita o ad altri diritti relativi a beni immobili, con esclusione della locazione etc Nel caso di specie, comunque, il contratto non era stato concluso a distanza. Il furto e l'imputabilità dei pagamenti. La Suprema Corte ha respinto tutte le eccezioni e confermato la decisione di merito precisando che la responsabilità patrimoniale dell'ingiunto discende dalla tardiva denuncia e dalla omessa custodia della carta. Infatti, le operazioni addebitate risultano eseguite nel tempo intercorso tra il furto e la denuncia. In tale lasso di tempo le operazioni eseguite risultano tutte regolarmente addebitate e pagate dalla banca. Dunque è individuabile la responsabilità dell'intestatario della carta per omessa custodia. La Cassazione ha confermato la decisione impugnata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 21 gennaio – 7 aprile 2016, n. 6751 Presidente Forte - Relatore Bernabai Svolgimento del processo L.L. ricorre avverso la sentenza numero 916 del 2011 pronunciata dal tribunale di Livorno che ha accolto l’appello presentato da Findomestic Banca S.p.A. già Findomestic s.p.a. avverso la sentenza n. 693 del 24 maggio 2007 con cui il giudice di pace della medesima città aveva revocato il decreto ingiuntivo con cui era stato ingiunto all’odierno ricorrente il pagamento della somma di Euro 1748,48, più interessi di mora e spese, oltre la condanna alla restituzione al ricorrente odierno della somma di Euro 150,00 con riferimento all’accertato inadempimento della banca agli obblighi derivanti dal contratto di emissione di una carta di credito prepagata. Il giudice d’appello rilevava che dovesse ritenersi accertato il grave inadempimento del L. alle proprie obbligazioni contrattuali, segnatamente conseguente al non aver diligentemente custodito la carta nella palestra ove aveva esercitato attività motoria, tanto da subirne il furto, a non aver diligentemente verificato il perdurante possesso della medesima, tanto da essersi accorto del furto solo nella giornata successiva c a non aver tempestivamente avvisato la banca dell’avvenuta perdita di possesso. Ne conseguiva che legittimo dovesse ritenersi il comportamento della banca che aveva dato corso ai pagamenti a favore degli esercenti commerciali presso i quali la carta prepagata era stata abusivamente utilizzata da parte dell’autore del furto nella serata precedente a quella del blocco della carta. Un inadempimento ritenuto dalla sentenza impugnata gravemente colposo , al punto da non ritenere il L. nemmeno legittimato a invocare il limite di responsabilità di Euro, 150,00 contrattualmente previsto a favore del cliente, che doveva ritenersi quindi tenuto al pagamento dell’intero importo delle transazioni abusivamente effettuate, con conseguente legittimità del decreto ingiuntivo emesso, che veniva pertanto confermato. Avverso tale pronuncia L.L. propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi ed ulteriormente illustrato con memoria ex articolo 378 cod. proc. civile. Resiste la Findomestic Banca s.p.a. con controricorso. All’udienza del 21 gennaio 2016 il Procuratore generale ed il difensore del ricorrente precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 56 del d. l.vo n. 206 del 2005 c.d. Codice del consumo , e segnatamente del suo secondo comma che stabilisce che l’istituto di emissione della carta di pagamento riaccrediti al consumatore i pagamenti dei quali questi dimostri l’eccedenza rispetto al prezzo pattuito, ovvero l’effettuazione mediante l’uso fraudolento della propria carta di pagamento da parte del professionista o di un terzo, fatta salva l’applicazione dell’articolo 12 del decreto-legge 3 maggio 1991 n. 143, convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991 n. 197 ”. A parere del ricorrente questa normativa sarebbe applicabile al caso di specie in quanto, pur se riferita ai contratti a distanza, esprimerebbe un principio generale, applicabile a tutte le transazioni effettuate tramite carta di credito. Ne conseguirebbe che l’addebito al consumatore non sarebbe legittimo quando l’acquisto avvenga a seguito di un contratto stipulato da una persona fisica qualora l’esercente versi in grave colpa, avendo la possibilità di identificare il portatore. Il giudice di appello avrebbe paradossalmente interpretato la disposizione, nel senso che l’istituto di emissione sarebbe legittimato a contestare al titolare della carta una colpa, facendogli quindi pagare i relativi importi, ed a contestare, poi, un’analoga colpa all’esercente commerciale, così da poter trattenere gli importi corrisposti. Il motivo è infondato. Come ammette lo stesso ricorrente, l’articolo 56 del decreto legislativo n. 206/05 si applica esclusivamente ai contratti a distanza. A mente dell’articolo 51 del medesimo decreto legislativo, intitolato campo di applicazione , infatti, le disposizioni della Sezione Prima del Capo Primo del Titolo terzo del decreto si applicano ai contratti a distanza con espressa esclusione dei soli contratti relativi ai servizi finanziari, di quelli conclusi tramite distributori automatici, di quelli conclusi con operatori di telecomunicazioni impiegando telefoni pubblici, dei contratti aventi a oggetto la costruzione, la vendita o a altri diritti su immobili, di vendita all’asta tutti, estranei al caso di specie. Del resto, la nozione di contratto a distanza si ricava dal precedente articolo 45 del medesimo decreto, laddove espressamente prevede che la normativa ivi descritta si applichi ai contratti conclusi tra un professionista e un consumatore e concerna la fornitura di beni o la prestazione di servizi stipulati durante la visita del professionista al domicilio del consumatore, ovvero sul posto di lavoro o nei locali in cui il consumatore si trovi, anche temporaneamente, per motivi di lavoro, di studio, di cura, ovvero durante un’escursione organizzata dal professionista al di fuori dei propri locali commerciali ovvero, in un’area pubblica o aperta al pubblico, mediante sottoscrizione di una nota d’ordine comunque denominata o ancora, per corrispondenza, o comunque in base a un catalogo che il consumatore abbia avuto modo di consultare senza la presenza del professionista. Anche queste sono ipotesi estranee al caso di specie. Oggetto della presente controversia è infatti la disciplina applicabile ad un contratto di utilizzazione di una carta di credito, stipulato tra la banca c il cliente, senza alcun riferimento alle ipotesi di conclusione a distanza circostanza, che non risulta minimamente dedotta nei precedenti gradi del giudizio, come espressamente eccepisce la parte controricorrente. Il secondo motivo di ricorso si riduce alla denuncia di violazione dell’articolo 1176 cod. civile, per effetto dell’errore in cui sarebbe incorso il giudice d’appello nell’omettere completamente, in sede di motivazione, la considerazione della negligenza degli esercenti commerciali che avevano disposto e accettato il pagamento tramite uso della carta di credito. Il motivo è infondato. La motivazione della sentenza impugnata si basa sull’attribuzione all’odierno ricorrente della responsabilità per omessa custodia e per omessa tempestiva denunzia alla controparte contrattuale della sottrazione dello strumento di pagamento e solo in via del tutto accessoria, si occupa della questione della utilizzazione fraudolenta della medesima carta. Di talché, l’argomento della responsabilità dei terzi che abbiano accettato l’utilizzo dello strumento di pagamento appare del tutto irrilevante ai fini della decisione della controversia in esame. I tre successivi motivi possono essere esaminati congiuntamente per affinità di contenuto. Con il terzo, si lamenta l’illogicità della motivazione in ordine alla gravità della colpa addebitata al ricorrente, ravvisata nell’aver portato la carta in palestra, nel non aver controllato se essa fosse ancora nella propria disponibilità al termine dell’attività sportiva e nell’aver completamente omesso di accertare l’avvenuta trasmissione della denuncia di smarrimento alla banca. Con il quarto, si denuncia l’incongruità della motivazione nel ritenuto difetto di prova che le firme sulle distinte di autorizzazione ai pagamenti fossero palesemente contraffatte senza considerare che lo stesso ricorrente aveva chiesto, sin dal primo grado di giudizio, l’esibizione delle medesime distinte contenenti le firme rese asseritamente contraffatte. Con il quinto, si denuncia genericamente una violazione della normativa processuale. I motivi sono infondati. Va preliminarmente rilevato che tutte le doglianze in esame, pur denunciando un vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, in realtà propongono alla Corte una richiesta di riesame del merito della controversia, che non può trovare ingresso in questa sede. La motivazione della sentenza impugnata richiama la documentazione in atti e mette in risalto un’omissione di diligenza nella custodia della carta. Le argomentazioni in fatto contenute nella decisione impugnata sono contrastate nei motivi di ricorso senza allegazione di veri vizi logici, ma semplicemente sulla base della prospettazione di una diversa opzione ermeneutica. Da respingere è anche la denunciata violazione della normativa processuale connessa alla valutazione sulla data di trasmissione della denuncia di smarrimento della carta, non ulteriormente specificata, tanto da non consentire alla Corte di poter apprezzare il contenuto della doglianza. Inammissibile si palesa, poi, la censura dell’erroneità della motivazione sul punto relativo alla data della trasmissione dalla denuncia alla Findomestic, posto che il motivo difetta di autosufficienza, non essendo trascritto il contenuto del documento dal quale si evincerebbe il contrario di quanto affermato nella sentenza. Pure inammissibile si palesa il sesto motivo di ricorso, relativo all’omissione dell’accertamento, da parte del giudice di appello, del carattere di vessatorietà di una non meglio precisata clausola contrattuale asseritamente imposta dalla compagnia di assicurazione ”, privo com’è di qualsiasi riferimento formale o sostanziale ad uno dei canoni previsti dall’articolo 360 cod. proc. civ. e peraltro riferito ad una non meglio identificata compagnia di assicurazione. Il ricorso è dunque infondato e va respinto con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore della causa e del numero e complessità delle questioni svolte. P.Q.M. - rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali rimborso in favore della controricorrente delle spese di questo giudizio liquidate in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per compenso, oltre spese generali forfettarie e gli accessori di legge.