Acquista un immobile detenuto in comodato dal Comune: il contratto non è opponibile

Il contratto di comodato, posto in essere dall’alienante di un bene, in un periodo precedente alla vendita dello stesso, non è opponibile al terzo acquirente. Colui che acquista, a titolo particolare, un bene, già dato in comodato dall’alienante, infatti, non deve subire alcun pregiudizio in ragione dell’esistenza di tale contratto e ha il diritto di chiedere la cessazione del godimento del bene da parte del comodatario, al fine di conseguirne la piena disponibilità.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 664/16, depositata il 18 gennaio. Il caso. Il proprietario di un immobile, detenuto dal Comune di Roma in virtù di contratto di comodato concluso con il suo originario dante causa, adiva il Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia, per chiedere il rilascio del bene, rilevando l’inopponibilità del contratto di comodato nei suoi confronti. Nelle more del procedimento, le parti stipulavano contratto di locazione, avente ad oggetto l’immobile in questione, ed il Comune risarciva il danno fatto salvo l’esito del giudizio . Il giudice di prime cure, constatando la cessazione della materia del contendere, rigettava la domanda di parte attrice, relativa alla condanna al pagamento dei frutti civili per il mancato godimento dell’immobile. Il soccombente adiva la competente Corte territoriale, che, in parziale riforma della statuizione del Tribunale, condannava il Comune al risarcimento del danno, compensando le spese di lite. Il proprietario dell’immobile ricorreva per cassazione, lamentando violazione degli artt. 1372, comma 2, e 1219 c.c. efficacia del contratto e costituzione in mora , con riferimento agli artt. 1809 e 1810 c.c. restituzione e comodato senza determinazione di durata . In particolare, parte ricorrente rilevava come, in considerazione dell’inopponibilità del contratto di comodato al terzo acquirente, la detenzione del bene da parte del comodatario, in seguito all’acquisto da parte del terzo del medesimo immobile, dovesse configurarsi come una mera occupazione priva di titolo. Il ricorrente contestava alla Corte di merito di aver ritenuto illecita la detenzione dell’immobile soltanto a partire dalla data della richiesta di restituzione del bene, reputando risarcibili esclusivamente i danni successivi alla messa in mora. Il contratto di comodato, stipulato prima della cessione del bene, non è opponibile al terzo acquirente. La Suprema Corte ha precisato che il contratto di comodato, posto in essere dall’alienante di un immobile in un periodo precedente al trasferimento del bene stesso, non è opponibile al terzo acquirente le disposizioni dell’art. 1599 c.c. trasferimento a titolo particolare della cosa locata non trovano alcuna applicazione, in quanto eccezionali, in un ambito diverso da quello della locazione. Gli Ermellini hanno, pertanto, evidenziato che colui che acquista, a titolo particolare, un bene, già dato in comodato dall’alienante, non deve subire alcun pregiudizio in ragione dell’esistenza di tale contratto. Il terzo acquirente, anzi, ha il diritto di chiedere la cessazione del godimento del bene da parte del comodatario, al fine di conseguire la piena disponibilità della cosa. Il Collegio ha, con riferimento al caso di specie, rilevato come la Corte di merito abbia correttamente fatto risalire l’inizio dell’occupazione illegittima dell’immobile, da parte del Comune, alla data in cui il terzo acquirente, proprietario del bene, ha manifestato la propria volontà di disporne. La Suprema Corte ha, infatti, evidenziato come, soltanto a partire da tale data, l’occupazione dell’immobile sia diventata illegittima e, per le ragioni sopra esposte, ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 settembre 2015 – 18 gennaio 2016, n. 664 Presidente Berruti – Relatore Scrima Svolgimento del processo Con ricorso notificato il 25 maggio 2005, C.S. , deducendo di aver acquistato, nel 1994, un immobile e che quest'ultimo era detenuto dal Comune di Roma, in forza di comodato concluso con il suo dante causa, chiedeva al Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia, la condanna del predetto ente al rilascio del bene in parola, in ragione dell'inopponibilità del contratto di comodato ovvero per scadenza dello stesso, nonché al risarcimento dei danni patiti, da liquidare in separato giudizio. Si costituiva il Comune di Roma, contestando la domanda attorea e chiedendone il rigetto. Interveniva nel processo O.A. , comproprietaria dell'immobile in questione. In data 23 aprile 2007, le parti stipulavano un contratto di locazione relativo all'immobile in questione e il Comune risarciva il danno per il periodo successivo al 31 dicembre 2005, fatto salvo l'esito del giudizio. Il Tribunale adito, con sentenza del 16 febbraio 2010, dichiarava inammissibile l'intervento dell'O. e cessata la materia del contendere, rigettava la domanda di condanna generica al pagamento dei frutti civili per il mancato godimento del bene e condannava l'attore e l'O. al pagamento delle spese di lite. Avverso tale sentenza i soccombenti proponevano gravame cui resisteva l’Amministrazione comunale. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 27 giugno 2012, in parziale accoglimento dell'appello e in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava il Comune di Roma al risarcimento dei danni, in favore del solo C. , limitatamente al periodo dal 22 dicembre 2004 al 31 dicembre 2005, da liquidarsi in separato giudizio, e compensava tra tutte le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito. Avverso la sentenza della Corte territoriale, C.S. e O.A. hanno proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria, sulla base di un unico motivo, cui ha resistito il Comune di Roma, ora Roma Capitale, con controricorso, pure illustrato da memoria. Motivi della decisione 1. Con l'unico motivo di ricorso, lamentando violazione dell'art. 1372, 2 comma c.c. e dell'art. 1219 c.c. in relazione all'art. 1809 e 1810 c.c. - Contraddittorietà della motivazione , i ricorrenti deducono che, stante l'inopponibilità al terzo acquirente del contratto di comodato stipulato dall’alienante, la detenzione, da parte del comodatario, dell'immobile che persiste dopo l'acquisto dello stesso da parte del terzo acquirente, sarebbe qualificabile come mera occupazione priva di titolo, in violazione non già di un obbligo contrattuale ma della regola del neminem laedere, sicché, mentre il comodante avrebbe l'onere di sollecitare la restituzione del bene, l'acquirente, non essendo legato da alcun vincolo contrattuale con il comodatario, non avrebbe l'onere di mettere in mora quest'ultimo, in quanto tale detenzione del bene si configurerebbe come illecito aquiliano e, quindi, ai sensi dell'art. 1219 c.c., non sarebbe necessaria la messa in mora. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte di merito, ritenendo illecita la detenzione in parola soltanto a decorrere dalla data della richiesta di restituzione del bene formulata dall'acquirente e risarcibile il danno solo in presenza di tale non necessaria messa in mora, avrebbe violato gli artt. 1372 e 1219 c.c Il C. e la O. si dolgono della contraddittorietà della motivazione della Corte territoriale che, da una parte, affermerebbe l’inopponibilità del contratto di comodato nei confronti dell'acquirente e, dall'altra, in virtù di tale contratto, così considerandolo opponibile, riterrebbe che il comodatario sia tenuto al risarcimento non già dalla data della compravendita — come sostenuto, invece, dai ricorrenti - bensì a decorrere dalla data della messa in mora. 1.1. Il motivo è infondato. Il contratto di comodato di un bene stipulato dall’alienante di esso in epoca anteriore al suo trasferimento non è opponibile all'acquirente del bene stesso, atteso che le disposizioni dell'art. 1599 c.c. non sono estensibili, per il loro carattere eccezionale, a rapporti diversi dalla locazione Cass. 15 maggio 1991, n. 5454 . L'acquirente a titolo particolare della cosa data in precedenza dal venditore in comodato non può, quindi, risentire alcun pregiudizio dall'esistenza di tale comodato e ha, pertanto, il diritto di far cessare, in qualsiasi momento, a suo libito, il godimento del bene da parte del comodatario e di ottenere la piena disponibilità della cosa. Cass. 17 ottobre 1992, n. 11424 Cass. 7 settembre 1966, n. 2343 Cass. 27 gennaio 1964, n. 195 Cass. 13 settembre 1963, n. 2502 . Risulta evidente che l'inopponibilità all'acquirente del contratto di comodato stipulato prima della vendita dall'alienante e l'illegittimità dell'occupazione da parte del comodatario si pongono su piani diversi. Pertanto, alla luce dei principi sopra ricordati, correttamente e senza incorrere in contraddizioni motivazionali, la Corte di merito, nel determinare l'inizio dell'occupazione illegittima del bene da parte del Comune, ai fini del risarcimento dei danni, ha correttamente fatto riferimento al momento in cui, con lettera ricevuta dall'Amministrazione comunale in data 22 dicembre 2004, il C. ha manifestato la sua volontà di disporre del bene acquistato, in quanto sola dalla predetta data l'occupazione del bene in questione da parte del Comune è diventata illegittima, in quanto effettuata invito domino . Va peraltro rimarcato che la Corte di merito, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non considera la predetta lettera inviata all'Amministrazione Comunale come atto di messa in mora, ma esclusivamente come atto di manifestazione al comodatario della volontà dell'acquirente di voler disporre liberamente del bene. 2. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. 3. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge.