Il termine di durata previsto nel contratto non esclude il recesso ad nutum

La previsione di un termine di durata del rapporto, inserita in un contratto di opera professionale, non impedisce di per sé la facoltà di recesso ad nutum in favore del cliente, dovendosi sempre verificare, in concreto, la effettiva volontà delle parti di vincolarsi in modo da escludere la possibilità di scioglimento del contratto, prima della scadenza pattuita.

Questo il principio di diritto espresso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dalla Seconda sezione Civile della Suprema Corte, nella sentenza n. 469 depositata il 14 gennaio 2016. I Giudici, in tema, sono stati aditi da un medico chirurgo che, sottoscritto un contratto di prestazione d’opera intellettuale in via esclusiva con un cliente, per l’attività di anamnesi, diagnosi, consulenza ed assistenza medica, per la durata di anni 2, aveva visto, improvvisamente, il paziente recedere dal rapporto. Il merito. Nel giudizio di primo grado, svoltosi innanzi al Tribunale di Milano, il professionista aveva sentito accogliere le proprie istanze, con risoluzione del contratto per fatto e colpa del convenuto e condanna, di quest’ultimo, al risarcimento dei danni, liquidati in euro 183.858,66. Diversa, invece, era stata la sorte del giudizio di appello nell’escludere l’inadempimento addebitato dall’attrice al cliente, la Corte di merito aveva ritenuto legittimo il recesso esercitato dal paziente, così come previsto dall’art. 2237 c.c., non potendo intendersi tale facoltà esclusa per effetto della previsione pattizia di un termine di durata del contratto. A parere del Collegio, infatti, doveva sempre verificarsi se l’apposizione del termine di durata fosse sufficiente, o meno, a derogare pattiziamente alla facoltà del recesso ad nutum nel caso di specie, tuttavia, non vi erano ragioni per ritenere tale deroga operante trattandosi, vieppiù, di un rapporto basato sull’ intuitus personae , ove la previsione di un termine costituiva elemento che rafforzava l’esigenza della componente fiduciaria. Il recesso ad nutum. Identica soluzione è stata adottata anche dalla Suprema Corte, cui si è rivolta la professionista, con ricorso affidato a 3 motivi di diritto 1. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2237 c.c. per aver erroneamente ritenuto che l’apposizione di un termine di durata non è di per sé solo sufficiente ad escludere il recesso ad nutum 2. omesso esame del contenuto delle previsioni pattizie che prevedevano un obbligo di esclusiva a carico del medico nei confronti del cliente, tale da giustificare la rinuncia al recesso 3. violazione dell’art. 1362 c.c. per non aver rilevato che con lettera del 16/24 maggio 2001, il paziente non aveva dichiarato di voler recedere dal rapporto, essendo consapevole della rinuncia a tale facoltà ex art. 2237 c.c I motivi sono stati esaminati congiuntamente dalla Corte, stante la loro stretta connessione e ritenuti comunque, tutti, infondati. Invero, i Giudici della legittimità, premesso che ai sensi dell’art. 2237 c.c. è sempre consentito al cliente di recedere ad nutum dal contratto di opera professionale , mentre al prestatore è garantita tale possibilità solo in presenza di giusta causa, hanno chiarito quanto segue. Pur essendo legittima l’apposizione di un termine di durata al detto contratto, essa integra una rinuncia alla facoltà di recesso da parte del cliente solo in ipotesi tassative, da verificarsi di volta in volta in concreto. Al riguardo occorre valutare se dal complessivo regolamento negoziale possa inequivocabilmente ricavarsi la volontà delle parti di vincolarsi per la durata del contratto, vietandosi reciprocamente il recesso prima della scadenza del termine finale, non essendo legittimi automatismi interpretativi. Nel caso di specie è risultata corretta l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale di merito che ha puntualmente considerato la peculiarità della prestazione convenuta, tale da non far ritenere integrata, anche dal tenore delle restanti clausole contrattuali, la sopra detta rinuncia alla facoltà di recesso. Ciò posto, il ricorso è stato rigettato, con condanna del medico al rimborso delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 2 dicembre 2015 – 14 gennaio 2016, n. 469 Presidente Bucciante – Relatore Migliucci Svolgimento del processo 1. P.C. , medico-chirurgo , conveniva dinanzi al Tribunale di Milano F.M. , per sentire dichiarare risolto, per fatto e colpa di quest'ultimo, il contratto di prestazione d'opera intellettuale, intercorso inter partes in data 17/1/01, con condanna del predetto F. al risarcimento dei danni da lei subiti, esposti, indicativamente in L. 620.000.000, oltre agli ulteriori danni, non patrimoniali, derivanti dall'ingiustificata interruzione del rapporto di cui sopra. Costituitosi in giudizio, il F. contestava gli assunti avversari, chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna al pagamento della somma di L. 200.000.000, a titolo di risarcimento dei danni. Il tribunale pronunciava la risoluzione del contratto per fatto e colpa del convenuto che condannava al risarcimento dei danni liquidati in Euro 183.858,66. Secondo il primo Giudice tra le parti era stato stipulato un contratto, sussumibile nell'ambito delle disciplina, fissata dagli artt. 222 9 e ss. cc., avente ad oggetto in via esclusiva, per l'attore, ex articolo 2 la prestazione di attività di anamnesi, diagnosi oltre che di informazione e consulenza e assistenza con la previsione della durata in anni 2 l'apposizione del termine integrava deroga espressa al recesso ad nutum di cui all'articolo 2237 cod. civ. di conseguenza doveva ritenersi inadempiente il convenuto che aveva receduto illegittimamente dal contratto. Con sentenza dep. l'11 febbraio 2010 la Corte di appello di Milano in riforma della sentenza impugnata dal convenuto, rigettava la domanda proposta dall'attrice nonché la riconvenzionale. Per quel che ancora interessa, i Giudici - nell'escludere l'inadempimento addebitato dall'attrice al cliente - ritenevano che questi aveva legittimamente esercitato il recesso dal contratto previsto dal primo comma dell'articolo 2237 cod. civ. a favore del committente, non potendo intendersi tale facoltà esclusa per effetto della previsione pattizia di un termine di durata del contratto era, infatti, comunque da verificarsi nel singolo caso se l'apposizione del termine di durata sia sufficiente di per sé a integrare la deroga pattizia alla facoltà del recesso ad nutum, non potendo condividersi alcun automatismo interpretativo come invece affermato dal tribunale. E, nella specie - alla stregua del contratto concluso dalle parti - assumeva rilevanza decisiva il particolare, più intenso, intuitus personae ovvero la fiducia posta a base della collaborazione fra medico e paziente che aveva affidato a un medico personale ed esclusivo la speranza di cura e di guarigione da una rara malattia l'apposizione del termine di durata non era espressione univoca della volontà di derogare al recesso ad nutum, anzi poteva leggersi come elemento che rafforzava la esigenza della componente fiduciaria. 2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione P.C. sulla base di tre motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso l'intimato. Motivi della decisione 1. Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell'articolo 2237 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere, in contrasto con i principi elaborati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità, ritenuto che l'apposizione del termine di durata non sia sufficiente di per sé ad escludere il recesso ad nutum previsto a favore del cliente committente. 2. Il secondo motivo, lamentando omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione, denuncia che, pur cadendo in errore sulla necessità di verificare in concreto se l'apposizione del termine abbia comportato rinuncia o meno al recesso, la sentenza aveva comunque omesso l'esame del contenuto delle clausole contrattuali secondo cui era stato previsto un obbligo di esclusiva a carico del professionista nei confronti del cliente il che giustificava la rinuncia al recesso. Parimenti, non era stata presa in considerazione la facoltà accordata al professionista di recedere ad nutum dal contratto, che aveva comportato per l'attrice l'abbandono degli altri impegni lavorativi. In effetti, la sentenza aveva ritenuto una categoria di contratti, quelli super intuitus personae, sconosciuta alla dottrina e alla giurisprudenza ovvero che il rapporto fra medico e paziente fosse connotato da un più intenso intuitus personae rispetto agli altri rapporti professionali con una operazione empirica e priva di valore giuridico. Se il cliente può recedere dal contratto in virtù del rapporto fiduciario, l'esercizio di tale facoltà non può tradursi nella lesione del diritto del professionista derivante dagli obblighi contrattuali assunti. 3. Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., censura l'interpretazione del contratto laddove non aveva tenuto conto delle pattuzioni intercorse fra le parti convenute e in particolare della facoltà di recesso ad nutum accordata al prestatore o ancora della circostanza che, con lettera del 16/24 maggio 2001, il F. non aveva dichiarato di volere recedere dal contratto, essendo consapevole della rinuncia alla facoltà ex articolo 2237 cod. civ 4. I motivi - che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono infondati. Ai sensi dell'articolo 2237 primo comma cod. civ., il cliente può recedere ad nutum dal contratto di opera professionale, mentre al prestatore è consentito il recesso soltanto per giusta causa la facoltà di scioglimento è accordata al cliente-committente in considerazione della natura fiduciaria del rapporto caratterizzato dall'intuitus personae. Certamente è legittima l'apposizione di un termine di durata del contratto, non essendo vietata da alcuna specifica norma, così come è derogabile pattiziamente la facoltà di recesso ad nutum del cliente. Peraltro, occorre verificare se, in presenza di una durata convenzionale, il rapporto sia suscettibile di anticipato scioglimento per effetto del recesso ad nutum da parte del cliente ovvero se la previsione di un termine di durata integri rinuncia alla facoltà di recesso da parte del cliente. In primo luogo, va considerato che in generale è configurabile il recesso ad nutum anche nei contratti a tempo determinato, come del resto è previsto nel contratto di appalto e nel contratto di opera manuale artt. 1671 e 2227 cod. civ. , quando il rapporto si fonda sulla fiducia posto che anche questi ultimi sono rapporti con una scadenza predeterminata fissata con riferimento al compimento dell'opus unico e non sono contratti a tempo indeterminato o di durata, che si caratterizzano per soddisfare plurimi bisogni del committente. D'altra parte, la previsione di cui all'articolo 2237 non contiene alcun riferimento o limitazione ai rapporti a tempo indeterminato, non essendovi alcun elemento per ritenere - proprio in considerazione della natura fiduciara del rapporto - che la facoltà di recesso non possa operare anche nel contratto a tempo determinato. Orbene, secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di contratto di prestazione d'opera intellettuale, la previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente contemplata dall'articolo 2237 cod. civ., non ha carattere inderogabile e quindi è possibile che, per particolari esigenze delle parti, sia esclusa tale facoltà fino al termine del rapporto l'apposizione di un termine ad un rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, nel senso che a tal fine non è necessario un patto specifico ed espresso Cass. 24367/2008 . Al riguardo occorre chiarire che la predeterminazione di un termine di durata del contratto intanto può integrare rinuncia da parte del cliente al recesso ove dal complessivo regolamento negoziale possa inequivocabilmente ricavarsi la volontà delle parti di vincolarsi per la durata del contratto vietandosi reciprocamente il recesso prima della scadenza del termine finale. Ciò posto, l'indagine dei Giudici doveva essere diretta a verificare se nel caso concreto - in relazione alle pattuizioni convenute - le parti avessero inteso limitarsi a fissare la durata massima del rapporto o piuttosto avessero voluto escludere il recesso ad nutum del cliente prima di tale data. Al riguardo, la sentenza impugnata ha compiuto siffatto accertamento correttamente affermando che la deroga pattizia deve essere verificata alla luce del contenuto del contratto e che non sono legittimi automatismi interpretativi, i Giudici hanno compiuto l'esame e dato conto del regolamento negoziale, escludendo - in relazione alla particolare natura della prestazione professionale consistitia in anamnesi, diagnosi, informazione, consulenza e assistenza volta alla ricerca di cure per malattie rare - che il cliente, con l’apposizione del termine, avesse rinuciato alla facoltà di recesso. In sostanza, nel fare riferimento al più intenso intuitus personae, la sentenza ha correttamente considerato la peculiarità della prestazione convenuta ovvero le esigenze che il cliente intendeva soddisfare, confermando la natura fiduciaria del rapporto, che peraltro costituisce un naturale negotii del contratto di opera professionale. Né, d'altra parte, le censure sollevate dalla ricorrente in merito al contenuto del clausole richiamate e alla interpretazione date dai Giudici sono tali da inficiare le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte. In merito alla esistenza di un obbligo di esclusiva a carico del professionista - che di per sé solo neppure sarebbe elemento sufficiente per negare la recedibilità dal contratto - le doglianze si risolvono in una soggettiva ricostruzione della volontà pattizia, operata dalla ricorrente per desumere dall'articolo 4 del contratto siffatto patto atteso che - a stregua del tenore letterale della clausola citata, così come riportata in ricorso - è da escludere la denunciata violazione delle regole ermeneutiche, laddove l'articolo 4 si limitava a stabilire la presenza fisica per due giorni la settimana con presenza telefonica negli altri giorni e con disponibilità a raggiungere nel luogo ove il F. si trovasse ove avesse necessità di un intervento chirurgico o sopecialistico o necessità di consulenza e assistenza medica. Per quel che poi riguarda, il recesso ad nutum accordato al prestatore di lavoro anche in assenza di giusta causa, tale previsione, lungi dall'integrare circostanza decisiva nel senso prospettato dalla ricorrente, porterebbe addirittura ad escludere che con la mera apposizione del termine le parti si siano vincolate a non recedere dal contratto, assumendo la scadenza rilevanza piuttosto ai fini della durata convenuta. Il ricorso va rigettato. Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico del, risultato soccombente Va formulato, ex articolo 384 cod. proc. civ., il seguente principio di diritto In tema di contratto di opera professionale, la previsione di un termine di durata del rapporto non esclude di per sé la facoltà di recesso ad nutum previsto a favore del cliente dal primo comma dell'articolo 2237 cod. civ., dovendo verificarsi in concreto in base al contenuto del regolamento negoziale se le parti abbiano inteso o meno vincolarsi in modo da escludere la possibilità di scioglimento del contratto prima della scadenza pattuita . P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per onorari di avvocato oltre spese forfettarie e accessori di legge.