Immobile destinato ad un nucleo familiare: il recesso dal contratto è consentito solo in presenza di un bisogno urgente del comodante

Il comodato, stipulato senza prefissione di termine, di un immobile successivamente adibito, per inequivoca e comune volontà delle parti contraenti, ad abitazione di un nucleo familiare di fatto, costituito dai conviventi e da un figlio minore, non può essere risolto in virtù della mera manifestazione di volontà ad nutum” espressa dal comodante ai sensi dell'art. 1810, comma 1, ultima parte, c.c., dal momento che deve ritenersi impresso al contratto un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso cui la cosa è destinata il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi familiare tra i conviventi. Ne consegue che il rilascio dell'immobile, finché non cessano le esigenze abitative familiari cui esso è stato destinato, può essere richiesto, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c., solo nell'ipotesi di un bisogno contrassegnato dall'urgenza e dall'imprevedibilità.

Con la pronuncia del 3 dicembre 2015, n. 24618 in tema di comodato, il S.C. afferma che, qualora il comodato sia stato stipulato per le esigenze di un nucleo familiare, non può essere sciolto per semplice volontà del comodante, dovendo invece ricorrere, per far venir meno il comodato, un’ipotesi di bisogno urgente ed imprevedibile del medesimo comodante. Il caso. Si discute della validità o meno della risoluzione di un contratto di comodato inizialmente concesso per le necessità di un nucleo familiare e, successivamente oggetto di un accordo transattivo, volto alla sua cessazione, tra il comodante ed il comodatario, nel frattempo separatosi dalla moglie moglie che, per contro, aveva continuato a vivere nel suddetto immobile in comodato, e che ha contestato la validità di tale accordo transattivo, non essendo alla stessa opponibile. In primo grado la domanda del comodante viene rigettata e successivamente accolta in appello. Promuove ricorso in Cassazione la moglie dell’originario comodatario, asserendo che il comodato, destinato ai bisogni di un nucleo familiare, non può essere revocato ad nutum ma solo in presenza di un bisogno urgente e documentato del comodante, che non era stato allegato. Il S.C. accoglie tale prospettazione, nel solco della massima di cui sopra, rimettendo la questione alla Corte territoriale, in diversa composizione. Il comodato come e perché. Secondo l’art. 1803 c.c., il comodato è il contratto con il quale una parte, comodante, consegna all'altra, il comodatario, una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo ed un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il presupposto della reale esistenza di un contratto di comodato è che le parti, sia pure in forma tacita, determinino l'uso o il tempo per cui la cosa viene comodata. Il comodatario ha l'obbligo di restituire la cosa locata alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne sia servito in conformità al contratto, fatta salva, però, la sopravvenienza di un urgente ed prevedibile bisogno del comodante, che giustifica la richiesta di immediata restituzione della cosa, anche se prima della scadenza del termine stabilito. Comodato e termine di restituzione del bene. Nel contratto di comodato precario, ovvero senza termine di durata, è facoltà del comodante recedere ad nutum ed obbligo del comodatario di restituire il bene non appena il comodante lo richieda, ex art. 1810 c.c Nel contratto di comodato vita natural durante, invece, il comodante può esigere la restituzione del bene solo in caso di urgente ed impreveduto bisogno, con onere della prova a suo carico. Cessazione del comodato gratuito e volontà del comodante. Il contratto di comodato gratuito può essere ancorato ad una scadenza prestabilita dalle parti, al particolare utilizzo della cosa ovvero non prevedere affatto una scadenza. In quest'ultimo caso, essendo carente qualsivoglia deduzione ancorata all'uso previsto, la cessazione del contratto dipenderà unicamente dalla volontà del comodante ai sensi dell'art. 1810 del codice civile, volontà che potrà manifestarsi a nutum e che comporterà lo scioglimento del contratto e la restituzione della cosa non essendo minimamente connesso alla prova circa la proprietà, ma unicamente alla consegna e al rifiuto di restituzione. Cessazione del comodato ed urgente bisogno del comodante. La nozione di urgente e impreveduto bisogno” contemplata nell'art. 1809 c.c. va intesa nel senso che questo bisogno deve essere grave, sopravvenuto rispetto al momento della stipula, e urgente. L'urgenza è da intendersi come imminenza, restando quindi esclusa la rilevanza di un bisogno non attuale, non concreto, ma soltanto astrattamente ipotizzabile. Ovviamente il bisogno deve essere serio, non voluttuario, né capriccioso o artificiosamente indotto. Restituzione del bene ed onere processuale. Il comodante che agisce per la restituzione della cosa nei confronti del comodatario non deve provare il diritto di proprietà, avendo soltanto l'onere di dimostrarne la consegna e il rifiuto di restituzione, mentre spetta al convenuto dimostrare un titolo diverso per il suo godimento. In sostanza, una volta provata la disponibilità di un bene e la sua concessione ad altro soggetto, spetta a quest'ultimo dimostrare di avere valido titolo da opporre per poterne continuare la detenzione. Comodato e rischi della gestione. In materia di comodato, la clausola che ponga a carico del comodatario tutti i rischi derivanti dalla gestione della cosa data in comodato ha natura vessatoria, non essendo riproduttiva di alcuna regola legale, posto che ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. anche il comodante risponde dei danni derivanti a terzi dalla res commodata ”, conservandone la custodia. Comodato e attività commerciale. La circostanza che un immobile concesso in comodato sia destinato ad attività commerciale non è sufficiente per ritenere il relativo contratto soggetto ad un termine implicito, sicché il comodante può domandare la restituzione del bene prima della cessazione di tale attività.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 settembre – 3 dicembre 2015, n. 24618 Presidente Russo – Relatore Pellecchia Svolgimento del processo 1. Nel 2005, le sorelle Da.Ca.Ne., N. e L. convennero in giudizio la cognata R.R.T. e i figli D.C.S. e V. , per ottenere, previo accertamento dell'estinzione del contratto di comodato stipulato in data 2 ottobre 2000, il rilascio dell'immobile oggetto del contratto e il risarcimento danno per occupazione sine titolo . Esposero le attrici che avevano concesso in comodato al fratello U. , l'immobile di loro proprietà senza determinazione di durata. Con successivo atto di transazione sottoscritto in data 6 luglio 2001, i fratelli tutti i fissavano una data di scadenza del contratto di comodato indicata in 15 anni. Invece in data 24 agosto 2005, le sorelle D.C. comunicavano al fratello U. la necessità di riavere la casa, libera da persone cose, entro il 15 settembre 2005. A tale richiesta aderì il fratello, con lettera del 30 agosto 2005. Si difese la signora R.R.T. , con i figli S. e V. , sostenendo che il contratto di comodato risaliva agli anni 70 ed era stato concesso verbalmente dai genitori del marito e trovava ragione nelle esigenze della famiglia. Sostennero anche che la volontà di rilasciare l'immobile espressa dal marito non li rappresentava, ed anzi ritenuta dolosa e simulata, perché traeva origine dalla loro separazione giudiziale. Contestarono anche il bisogno urgente imprevisto delle attrici e proposero domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni derivanti dalla dolosa, simulata, risoluzione del contratto. Il Tribunale di Soave, Sez. distaccata di Verona, con la sentenza n. 183/2008, rigettò la domanda di accertamento dell'estinzione del contratto di comodato proposta dalle sorelle D.C. dichiarando la nullità della domanda di risoluzione per inadempimento proposta in via subordinata. Il giudice ritenne che il contratto fosse stato funzionalmente destinato alle esigenze abitative della famiglia e le attrici non avevano dimostrato l'esistenza di un bisogno imprevisto che giustificasse la cessazione di efficacia del contratto. 2. La decisione è stata riformata dalla Corte d'Appello di Venezia, con sentenza n. 2420 del 5 dicembre 2011. La Corte ha ritenuto il contratto di comodato risolto per mutuo consenso attribuendo valore alla lettera di risposta del fratello U. con cui manifestava la volontà, alle sorelle, di lasciare l'immobile. La circostanza che si trattasse di un comodato d'immobile costituito per i bisogni della famiglia, ha determinato sull'immobile solo un vincolo di destinazione dello stesso per le esigenze familiari. Tuttavia tale vincolo, ha ritenuto la Corte territoriale, non comporta alcuna titolarità di diritti e doveri nascenti dal contratto di comodato in capo gli altri membri della famiglia con la conseguenza che, in caso di risoluzione per mutuo consenso, non vi è la necessità che tale volontà sia espressa anche dagli altri membri della famiglia. Ha condannato quindi al rilascio immediato dell'immobile occupato e al risarcimento del danno per la mancata disponibilità dell'immobile pari a un'indennità di occupazione di Euro 150 mensili. 3. Avverso tale decisione, R.R.T. propone ricorso in Cassazione sulla base di 5 motivi. 3.1 Resistono con controricorso e ricorso incidentale condizionato le sorelle D.C. . Motivi della decisione 4.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 comma primo n. 3, c.p.c. per violazione degli artt. 1326 e ss., 1803 e 1809, nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c. in merito alla validità ed efficacia del contratto di comodato nei confronti dei signori R.R.T. e dei figli S. e V. . Lamenta che la sentenza della Corte d'Appello nell'accogliere il ricorso sottolinea l'esistenza di una manifestazione di mutuo consenso alla restituzione dell'immobile da parte dell'ex marito D.C.U. . Ma tale manifestazione non può ritenersi valida perché resa in fase di separazione tra i coniugi. Pertanto la sentenza è errata laddove non ritiene valido il contratto di comodato stipulato per le esigenze familiari. Il motivo è fondato. È principio di questa Corte, e da cui questo collegio non intende discostarsi, che ove il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare nella specie dal genitore di uno dei coniugi già formato o in via di formazione, si versa nell'ipotesi del comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare. Infatti, in tal caso, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso allo stesso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario idoneo a conferire all'uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum , del comodante. Del resto, come più volte ribadito, la specificità della destinazione, impressa per effetto della concorde volontà delle parti, è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall'incertezza, che caratterizzano il comodato cosiddetto precario, e che legittimano la cessazione ad nutum del rapporto su iniziativa del comodante, con la conseguenza che questi, in caso di godimento concesso a tempo indeterminato, è tenuto a consentirne la continuazione anche oltre l'eventuale crisi coniugale Cass. n. 16769/2012 Cass. n. 4917/2011 Cass. n. 13592/2011 Cass. n. 16559/2008 Cass. n. 19939/2008 Cass. n. 3072/2006 Cass. n. 13260/2006 . Ma tale principio è contemperato dalla facoltà del comodante di chiedere la restituzione nell'ipotesi di sopravvenienza di un bisogno, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, cod. civ., segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione. Ed infatti ai sensi dell'art. 1809, secondo comma, cod. civ., consegue che non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d'un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante - che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione - consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione sia quella di casa familiare, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante Cass. S.U. n. 20448/2014 . Pertanto la Corte d'Appello ha errato in quanto si è discostata dai principi sopra enunciati ed ha ritenuto risolto il contratto per mutuo consenso ritenendo sufficiente la volontà espressa dal fratello delle proprietarie senza considerare la situazione di separazione e il vincolo di destinazione dell'immobile. Ed inoltre non ha neanche effettuato quelle valutazioni necessarie per verificare la sussistenza dell'urgente ed imprevisto bisogno delle comodanti che possano giustificare la restituzione dell'immobile. 4.2. Con il secondo motivo, denuncia la violazione dell'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., per violazione dell'art. 1372 c.c. in materia di risoluzione contrattuale e di manifestazione di mutuo consenso alla risoluzione del contratto di comodato - contratto a parte complessa . La ricorrente sostiene che la Corte d'Appello non ha valutato che il contratto di comodato stipulato per esigenze familiari sia un contratto parti soggettivamente complesse e che le obbligazioni che sorgono con il contratto sono tante quanti sono i titolari/destinatari degli effetti del contratto. Pertanto la risoluzione di uno solo dei componenti della parte complessa non può realizzare effetti nei confronti di tutti gli altri. 4.3. Con il terzo motivo, la R. lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 comma primo, n. 3 c.p.c. per erronea e/o falsa applicazione degli artt. 155 quater in rapporto all'art. 1803 e 1809 c.c. - omessa o contraddittoria motivazione in rapporto al provvedimento di assegnazione della casa familiare alla signora R.R.T. . La sentenza è errata laddove non ha considerato l'assegnazione dell'immobile con i provvedimenti provvisori emessi nel procedimento di separazione personale dei coniugi. 4.4. Con il quarto motivo, la R. lamenta la violazione dell'art. 360 comma primo, n. 3-4 c.p.c. in relazione all'art. 356 c.p.c. . Lamenta la mancata ammissione di istanze istruttorie formulate in sede di appello. 4.5. Con il quinto motivo, la R. lamenta la violazione art. 360 comma primo, n. 5 c.p.c. contraddittorietà e/o insufficienza della motivazione nella parte in cui prevede l'obbligo della signora R. e dei figli di corrispondere una indennità di occupazione per il mancato rilascio omettendo qualsiasi valutazione del provvedimento di assegnazione della casa familiare nei provvedimenti urgenti di separazione sulla liquidazione delle spese di procedura . Denuncia la valutazione equitativa effettuata dal giudice del merito per la determinazione della somma dovuta a titolo di indennità per la mancata restituzione dell'immobile. I motivi due, tre, quattro e cinque sono assorbiti. 5. Per quanto riguarda il ricorso incidentale condizionato con il quale si denuncia il fatto che la Corte d'Appello non ha valutato, ritenendolo assorbito, l'urgente ed imprevisto bisogno ex art. 1809 c.c., esso rimane assorbito dall'accoglimento del primo motivo del ricorso principale, perché rientra tra le valutazioni che dovrà fare il giudice del merito, secondo i principi sopra enunciati. 6. Va dunque pronunciato l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri motivi ed il ricorso incidentale condizionato, con invio alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese. P.Q.M. la Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti gli altri motivi ed il ricorso incidentale condizionato. Rinvia alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese.