Il diritto di prelazione è personale e non può essere trasmesso

Ai sensi dell’art. 732 c.c. , atteso il carattere personale e intrasmissibile del diritto di prelazione in tema di divisione ereditaria, il soggetto che succede al coerede retraente può proseguire il giudizio già introdotto da o nei confronti di quest’ultimo, al fine di accertare l’avvenuto riscatto da parte del de cuius. Diversamente, non può esercitare, in proprio, alcun diritto di riscatto, non essendo titolare di analogo diritto di prelazione.

Così si è espressa la Seconda Sezione Civile della Suprema Corte, nella sentenza n. 24151, pubblicata in data 26 novembre 2015 , che ha deciso sul ricorso promosso avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste, depositata il 26 novembre 2010. La fattispecie. Il caso riguarda una divisione ereditaria lamentando la violazione del diritto di prelazione e di esercizio del riscatto in capo al de cuius , l’erede aveva chiesto che fossero trasferite in suo favore le quote dell’immobile sito in Trieste, che la convenuta società aveva acquistato dagli altri coeredi, fratelli del defunto. La domanda era stata ritenuta inammissibile, mentre risultava accolta quella interposta dalla società acquirente, di scioglimento della comunione relativa all’immobile indicato, con assegnazione della quota afferente all’erede attore, dietro pagamento dell’importo di euro 33.787,50. Il soccombente aveva interposto appello, ma anche la Corte territoriale di merito aveva respinto le sue richieste, confermando le statuizioni di primo grado e ritenendo inammissibile, in quanto nuova, la domanda proposta dall’attore, di accertamento del retratto già validamente effettuato in vita dal de cuius , posto che nell’atto di citazione era stato chiesto solo l’accertamento del diritto dell’attore medesimo, di esercitare il riscatto delle quote. Nel merito, peraltro, il Collegio aveva evidenziato che non sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’art. 732 c.c., poiché al momento della vendita delle quote dell’immobile per cui vi era causa, era già avvenuta la divisione tra i coeredi degli altri cespiti componenti l’asse, con conseguente trasformazione della comunione ereditaria, in ordinaria. In ogni caso, aveva aggiunto, con l’alienazione delle quote nei confronti della convenuta società i cedenti non avevano inteso disporre della quota ereditaria, ma del singolo cespite, come bene a sé stante. Avverso tale pronuncia è stato formulato ricorso in Cassazione, affidato a tre motivi di diritto con il primo è stata censurata la ritenuta inammissibilità della domanda formulata dall’erede del retraente, sull’assunto che sin dal primo grado di giudizio era stato indicato come il de cuius avesse esercitato il diritto di riscatto con lettera del 21.10.2004, sicché era chiaro che l’attore facesse valere l’iniziativa del dante causa. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 732 c.c. e rilevato come la comunione ereditaria può venire meno solo a seguito dello scioglimento e della divisione dei beni che, nel caso di specie, difettava con il terzo motivo è stato contestato che la comunione fosse venuta meno al momento dell’esercizio del diritto di riscatto da parte del de cuius , poiché l’immobile in oggetto costituiva la parte preponderante dell’asse ereditario, pertanto, solo la sua cessione avrebbe comportato lo scioglimento della comunione. Il diritto di prelazione ha carattere personale e intrasmissibile? La Suprema Corte, tuttavia, ha integralmente rigettato i primi due motivi di diritto, dichiarando inammissibile il terzo. Nell’ordine, è stato rilevato che 1. il diritto di prelazione ha carattere personale e intrasmissibile, secondo il dettato dell’art. 732 c.c., pertanto, il soggetto che succede al coerede retraente può proseguire i giudizi già in essere, promossi da o nei confronti del retraente, ai sensi dell’art. 110 c.p.c., al fine di accertare l’avvenuto riscatto. Non può, tuttavia, chiedere, come fatto dall’attore, l’accertamento di un proprio, inesistente, analogo diritto di riscatto. 2. la ratio dell’art. 732 c.c. e della limitazione alla libertà negoziale che ne discende, risiede nell’esigenza di assicurare la persistenza e concentrazione della titolarità dei beni comuni in capo ai primi successori, impedendo l’inserimento di terzi estranei. Nel caso di specie, la comunione non era più operante all’epoca dell’alienazione delle quote alla società contro resistente, pertanto, la pronuncia della Corte di appello era esente da vizi. 3. la Corte territoriale aveva argomentato l’inapplicabilità, nella specie, dell’art. 732 c.c. sia sotto il profilo dell’intervenuta trasformazione della comunione ereditaria, in comunione ordinaria, che con la qualificazione dell’atto di vendita in parola, come cessione del singolo cespite come bene, e non della quota ereditaria. A parere della Corte di cassazione, tuttavia, la ricorrente è risultata aver contestato soltanto la prima argomentazione, trascurando la seconda che, da sola, è in grado di sorreggere la decisone sul punto. La censura, dunque, era da ritenere inammissibile, in quanto non idonea a condurre all’annullamento della decisione. In conseguenza, il ricorso è stato respinto con condanna dell’istante al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 ottobre – 26 novembre 2015, n. 24151 Presidente Mazzacane – Relatore Picaroni Ritenuto in fatto 1. - È impugnata la sentenza della Corte d/appello di Trieste, depositata il 26 novembre 2010 e notificata il 13 dicembre 2010, che ha rigettato l'appello proposto da S.N. avverso la sentenza del Tribunale di Trieste e nei confronti di Lucioli s.p.a 1.1. - Il Tribunale, decidendo su due procedimenti riuniti, aveva dichiarato inammissibile la domanda, proposta da S.N. quale erede unica di Z.L. , nei confronti della Lucioli spa, di accertamento della violazione del diritto di prelazione in capo a Z.L. e di esercizio del riscatto, con conseguente trasferimento in suo favore delle quote dell'immobile sito in Trieste, alla via OMISSIS , che la società Lucioli aveva acquistato dai coeredi Z Lo stesso Tribunale aveva accolto la domanda, proposta da Lucioli spa nei confronti di Z.L. , e proseguita, dopo la morte di costui, nei confronti dell'erede S.N. , di scioglimento della comunione relativa all'immobile indicato, con assegnazione della quota di proprietà Z. - S. alla società, dietro pagamento dell'importo di Euro 33.787,50. 2. - Proposto appello dalla sig.ra S. , al quale resisteva la società Lucioli, la Corte d'appello confermava la decisione di primo grado. 2.1. - Secondo la Corte distrettuale era nuova, e come tale inammissibile, la domanda dell'appellante di accertamento del retratto già validamente effettuato in vita dal de cuius ”, ai fini della legittimazione attiva dell'appellante stessa, che agiva in qualità di successore universale di Z.L. . Nell'atto di citazione la sig.ra S. aveva chiesto, infatti, l'accertamento del suo diritto di esercitare il riscatto delle tre quote dell'immobile, precisando soltanto in narrativa che Z.L. aveva esercitato il diritto di riscatto con invio di lettera raccomandata in data 21 ottobre 2004. 2.2. - La Corte d'appello evidenziava, nel merito, che non sussistevano i presupposti per l'applicazione dell'art. 732 cod. civ Quanto all'alienazione effettuata da R.A. , erede testamentario - di Z.R., essa proveniva da soggetto che non era compartecipe della comunione ereditaria. Quanto alle quote alienate alla società Lucioli da Z.C. e da Z.G. , si riteneva che la comunione tra i fratelli Z. comprendesse, in quel momento, soltanto l'immobile in oggetto, e che l'atto di disposizione di quote di un singolo bene non determinava la sostituzione del soggetto terzo all'erede. 3. - Per la cassazione della sentenza d'appello ha proposto ricorso S.N., sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso Lucioli spa in liquidazione. Considerato in diritto 1. - Il ricorso è infondato. 1.1. - Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 732 cod. civ. e 345 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione. 1.1.1. - Si assume che la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto nuova, e come tale inammissibile, la domanda della sig.ra S. di accertare la sua legittimazione, in qualità di erede di Z.L. , a chiedere che fosse accertato l'esercizio del riscatto ex art. 732 cod. civ. da parte del predetto Z. . In realtà, già nel giudizio di primo grado la sig.ra S. aveva fatto riferimento alla lettera in data 21 ottobre 2004, con la quale Z.L. aveva esercitato il diritto di riscatto, sicché era chiaro che l'attrice si limitava a far valere l'iniziativa del de cuius . In ogni caso, vertendosi in tema di diritti autodeterminati, l'eventuale mutamento del titolo - sul quale la Corte d'appello non aveva adeguatamente motivato - non soggiaceva alla preclusione di nova in appello. 1.2. - La doglianza è infondata. 1.2.1. — Atteso il carattere personale e intrasmissibile del diritto di prelazione previsto dall'art. 732 cod. civ. nell'ambito della disciplina della divisione ereditaria, il soggetto che succede al coerede retraente può proseguire il giudizio già introdotto dal o nei confronti del retraente, ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ., al fine di accertare l'avvenuto riscatto ex plurimis, Cass., sez. 2A, sentenza n. 17673 del 2012 . Diversamente, nel caso di specie, la domanda proposta dall'odierna ricorrente nel giudizio di primo grado aveva ad oggetto l'accertamento del proprio — inesistente, per quanto appena detto - diritto di riscatto, e solo nel giudizio di appello risulta richiesto l'accertamento del già avvenuto riscatto da parte del dante causa Z.L. . Sussiste, pertanto, la novità della domanda, come rilevato correttamente dalla Corte distrettuale, e la preclusione non è superata per effetto dell'inconferente richiamo della ricorrente ai diritti autodeterminati. 1.2.2. - Appartengono alla categoria dei diritti autodeterminati la - proprietà e gli altri diritti reali di godimento, in quanto si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, donde la conseguenza che la deduzione del titolo non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell'eccezione, e non incontra quindi preclusioni ex pluximis, da ultimo, Cass., sez. 2A, sentenza n. 40 del 2015 . Sennonché, come già detto, il diritto di prelazione tra coeredi è diritto personale, non reale, e tale affermazione, contenuta nella sentenza d'appello, è sufficiente a giustificare il rigetto implicito della tesi di parte appelante. 2. — Con il secondo motivo è dedotta violazione dell'art. 732 cod. civ 2.1. - Si contesta l'affermazione della Corte distrettuale, secondo cui la vendita fatta da R.R. - in quanto erede di Z.R. , già compartecipe della comunione ereditaria — alla società Lucioli non era comunque soggetta a retratto. La ricorrente assume, infatti, che il presupposto di operatività dell'istituto invocato è la sussistenza dell'originaria comunione ereditaria, che viene meno soltanto a seguito dello scioglimento e della divisione dei beni. 2.2. - La doglianza è infondata. 2.2.1. — Per giurisprudenza consolidata, la ratio dell'istituto previsto dall'art. 732 cod. civ., e della limitazione alla libertà negoziale che da esso discende, risiede nell'esigenza di assicurare la persistenza e l'eventuale concentrazione della titolarità dei beni comuni in capo ai primi successori, facilitando la formazione delle porzioni ed impedendo che nei rapporti tra coeredi si inseriscano estranei, tali dovendosi ritenere quelli che non sono compartecipi della comunione ereditaria in qualità di eredi del de cuius ex plurimis, Cass., sez. 2A, sentenza n. 5374 del 1993 più di recente, Cass., sez. 2A, sentenza n. 6142 del 2010 sez. 6^-2^, ordinanza n. 4277 del 2010 . 3. - Con il terzo motivo è dedotta violazione dell'art. 342 cod. proc. civ. e vizio di motivazione. 3.1. - Si contesta, sotto entrambi i profili indicati, l'affermazione della Corte d'appello secondo cui doveva presumersi che la comunione ereditaria tra i consorti Z. fosse già venuta meno al momento dell'esercizio del diritto di riscatto da parte di Z.L. , tenuto conto che la successione si era aperta nel 1990. 3.1.1. - La ricorrente assume l'avvenuta formazione del giudicato sulla statuizione del Tribunale, non impugnata, secondo cui la comunione ereditaria era venuta meno per ragioni diverse da quelle indicate dalla Corte d'appello. Peraltro, la presunzione dell'avvenuta divisione degli altri beni della comunione ereditaria era palesemente illogica, se solo si considerava che l'unico cespite di valore dell'asse ereditario - costituito dal capannone con l'attività industriale e l'alloggio di servizio -, aveva trovato un acquirente dopo oltre dieci anni dall'apertura della successione. Quanto agli altri due piccoli immobili, il cambio di proprietà avrebbe potuto essere agevolmente dimostrato con la produzione dell'estratto tavolare, ma la società Lucioli non aveva assolto l'onere probatorio e la Corte d'appello non poteva surrogare la carenza probatoria con una presunzione. In ogni caso, la ricorrente segnala che l'immobile in oggetto costituiva la parte preponderante dell'asse ereditario, e che soltanto la sua cessione avrebbe comportato lo scioglimento della comunione ereditaria. 3.2. - La doglianza è inammissibile. 3.2.1. - La Corte d'appello ha argomentato l'inapplicabilità nella specie dell'art. 732 cod. civ. sotto due distinti ed autonomi profili. In primo luogo, si è affermato che, al momento della vendita delle quote dell'immobile, era già avvenuta la divisione tra i coeredi Z. degli altri cespiti componenti l'asse ereditario, con conseguente trasformazione dell'originaria comunione ereditaria in comunione ordinaria sul principio, ex plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 13351 del 2004 . La Corte d'appello ha poi affermato che, in ogni caso, con l'alienazione alla società Lucioli delle quote dell'immobile in oggetto i coeredi Z. non avevano inteso disporre della quota ereditaria, ma del singolo cespite, come bene a sé stante sul principio, ex plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 9744 del 2010 . La ricorrente contesta soltanto la prima argomentazione, trascurando la seconda, che è da sola in grado di sorreggere la decisione sul punto, sicché risulta inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alla ratio esplicitamente oggetto di doglianza in quanto inidonea a condurre all'annullamento della decisione ex plurimis, Cass., sez. 1A, sentenza n. 5493 del 2001 . 4. — Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese, come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.