Appalti pubblici: la clausola contrattuale che prevede il divieto di cessione del credito è valida ed opponibile al cessionario

L'obbligo della specifica approvazione per iscritto, di cui all'art. 1341 c.c., rimane limitato alla sola clausola vessatoria, senza necessità di trascrizione integrale del contenuto della clausola, essendo sufficiente il richiamo, mediante numero o titolo, alla clausola stessa, in quanto in tal modo si permette al sottoscrittore di conoscerne il contenuto.

La sentenza dell’11 novembre 2015, n. 22984, della Terza Sezione Civile della Cassazione, ha precisato i requisiti che devono sussistere affinché una clausola contrattuale nella specie divieto di cessione del credito sia ritenuta valida ed efficace ed opponibile anche al terzo cessionario del credito. Il caso. Nell’ambito di un appalto pubblico, l’appaltatore cedeva il credito inerente le lavorazioni effettuate ad un istituto di credito, nonostante la sussistenza, nel contratto di appalto, di una specifica clausola che tale cessione vietava. L’istituto di credito chiedeva invano alla stazione appaltante debitore ceduto il pagamento del credito, agendo inoltre in giudizio contro lo stesso debitore ceduto per far dichiarare inefficace il pagamento da quest’ultimo nel mentre effettuato a favore dell’appaltatore creditore cedente . Il Tribunale rigettava la pretesa della cessionaria con decisione confermata dalla Corte d’appello. I giudici rilevavano, infatti, la validità anche ai fini dell'art. 1341 c.c. della clausola di divieto di cessione e la sua opponibilità per conoscenza o conoscibilità concreta della medesima da parte della cessionaria. Seguiva il ricorso per cassazione. La clausola contrattuale di divieto di cessione era efficace? Secondo la stazione appaltante debitore ceduto la clausola contrattuale che prevedeva il divieto di cessione del credito era pienamente efficace, sia in concreto per le modalità di avvenuta approvazione, sia per la non configurabilità, nel caso specifico, di condizioni generali di contratto, sia per l’assenza di un richiamo in blocco nella seconda, ovvero specifica, approvazione di detta clausola. Inoltre, la stazione appaltante opponeva altresì alle pretese della cessionaria la possibilità di ricondurre il divieto di cessione nell’ambito dell’art. 117 dei Codice dei contratti pubblici d.lgs. n. 163/2006 . La specifica approvazione per iscritto della clausola è stata effettuata correttamente. Secondo la Suprema Corte, la decisione dei giudici di merito è esatta, essendo stata correttamente valutata l’idoneità della specifica approvazione per iscritto della clausola oggetto di discussione. Infatti, secondo gli Ermellini, è indubbio che la sottoscrizione sia stata apposta specificamente in calce ad un richiamo operato non a tutte ed indistintamente le clausole delle condizioni generali, da esse risultandone escluse diverse, e comunque in ogni richiamo numerico esistendo anche una benché effettivamente sommaria indicazione del contenuto. Il richiamo dell’attenzione del contraente creditore cedente sulle clausole approvate è comprovato. In tal modo, l’esigenza di tutela codificata nell'art. 1341 c.c. risulta rispettata, dovendo reputarsi essere stata l'attenzione del contraente, ai cui danni la clausola è stata predisposta, adeguatamente sollecitata e la sua sottoscrizione in modo consapevole rivolta specificamente proprio anche a tale contenuto a lui sfavorevole. Questo, del resto, è il discrimine per la validità delle forme di specifica approvazione ai sensi dell’art. 1341 c.c. A questo proposito è stata riconosciuta l’idoneità di un richiamo al numero” della clausola vessatoria. Il richiamo cumulativo sarebbe invece censurabile. Invece, l'esigenza di specificità e separatezza imposta dall'art. 1341 c.c., non potrebbe dirsi soddisfatta mediante il richiamo cumulativo numerico e la distinta sottoscrizione di gran parte delle condizioni generali di contratto, effettuato con modalità tali da rendere difficoltosa la selezione e la conoscenza di quelle a contenuto vessatorio, in quanto la norma richiede non solo la sottoscrizione separata ma anche la scelta di una tecnica redazionale idonea a suscitare l'attenzione del sottoscrittore sul significato delle clausole specificamente approvate. Sussiste la violazione dell’art. 1260 c.c.? La cessionaria, ricorrente in Cassazione, ha censurato la decisione gravata anche per violazione dell’art. 1260 c.c., facendo valere sia il regime generale che ammette, appunto, la cessione creando così un affidamento in tal senso , sia la mancanza di prova circa la sua conoscenza della sussistenza di una clausola limitativa all’ipotesi della cessione. Ma anche questa censura viene rigettata. Certo, da un lato, è vero che, come ricordato di recente dalla stessa Suprema Corte, il patto che esclude la cedibilità del credito può essere opposto al cessionario dal debitore ceduto, in base ai principi dell'affidamento nella normale cedibilità dei crediti, ex art. 1260, comma 1, c.c., e dell'inefficacia del contratto nei confronti dei terzi, ex art. 1372 c.c., soltanto in quanto, ai sensi dell'art. 1260, secondo comma, c.c., sia dimostrato che il cessionario abbia avuto conoscenza effettiva di detto patto al tempo della cessione. Tuttavia, dall’altro lato, la Corte di merito aveva positivamente provato che una effettiva conoscenza vi fosse, sulla base della congiunta considerazione sia del richiamo al contratto di appalto nella fattura oggetto di cessione, sia dalla natura e dell’importo del credito. In sostanza, era stata affermata dai giudici di merito la sussistenza non solo di una astratta conoscibilità da parte della banca cessionaria dell’esistenza della clausola di divieto di cessione del credito, ma la sussistenza di una sua conoscenza effettiva. Accertamento sul quale la Cassazione nulla può, in ragione della avvenuta novella del n. 5 dell’art. 360 c.p.c Il peculiare regime della cessione dei crediti di cui all’art. 117 Codice dei contratti pubblici. Per completezza si segnala che la Cassazione non entra nel merito dell’argomentazione difensiva tesa a valorizzare il particolare regime previsto, a livello generale e in materia di appalti pubblici, dall’art. 117 Codice dei contratti pubblici d.lgs. n. 163/2006 . Peraltro appare interessante ricordare che a tenore di detta norma 3° comma Le cessioni di crediti da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono efficaci e opponibili alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notificarsi al cedente e al cessionario entro quarantacinque giorni dalla notifica della cessione .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 ottobre – 11 novembre 2015, n. 22984 Presidente Amendola – Relatore De Stefano Svolgimento del processo p.1. - La Banca Popolare dell'Emilia Romagna soc. coop., cessionaria di un credito della Scaviter srl verso la Metropolitana Milanese spa derivante dal contratto di appalto tra tali società concluso il 2.10.08 e contemplante espresso divieto di cessione, chiese invano alla debitrice ceduta il pagamento della fattura che consacrava quel credito e, quella anzi pagata dalla debitrice stessa all'impresa appaltatrice dopo la richiesta di pagamento da parte della cessionaria, agì ai sensi dell'art. 702-bis cod. proc. civ. per conseguire la condanna della ceduta al pagamento della somma, sul presupposto dell'inefficacia del pagamento al creditore cedente. L'adito tribunale di Milano, peraltro, rigettò la domanda con ordinanza 6.7.11, il gravame avverso la quale la corte di appello ambrosiana poi respinse, rilevando la validità anche ai fini dell'art. 1341 cod. civ. della clausola di divieto di cessione e la sua opponibilità per conoscenza o conoscibilità concreta della medesima da parte della cessionaria. Ricorre per la cassazione di tale sentenza - resa il 2.10.12 col n. 1345 - la Banca Popolare dell'Emilia Romagna soc. coop., mentre resiste con controricorso l'intimata oggi MM spa e, per la pubblica udienza del 13.10.15, entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione p.2.- Il primo motivo prospetta violazione o falsa applicazione dell'art. 1341, II comma, c.c. art. 360 n. 3 c.p.c. ”. p.2.1. In particolare, la ricorrente deduce l'inidoneità dell'approvazione specifica per iscritto della clausola di divieto di cessione del contratto, per non essere stata, nella fattispecie concreta, in modo idoneo richiamata l'attenzione del contraente debole sulla clausola a lui sfavorevole. p.2.2. La controparte, che - a differenza della ricorrente - riproduce integralmente il tenore letterale della clausola interessata la n. 8 del contratto di appalto , ne deduce la piena efficacia, sia in concreto per le modalità di avvenuta sua approvazione, sia per l'inconfigurabilità - nella specie - di condizioni generali di contratto, sia per l'assenza di un richiamo c.d. in blocco nella - seconda ovvero - specifica approvazione anche della detta clausola, sia per ricondursi il divieto di cessione pure all'art. 117 del d.lgs. 163/06. p.2.3. Il motivo è infondato. Pur non potendo esaminarsi l'ulteriore ragione - dedotta dalla controricorrente - di validità del divieto di cessione in forza dell'art. 117 del d.lgs. 163/06 che non risulta tra le rationes decidendi della corte territoriale , la valutazione di idoneità della specifica approvazione per iscritto della clausola - dato anche per scontato o comunque qui non revocabile in dubbio, siccome non presa neppure in considerazione una diversa ipotesi dalla corte di merito, che essa integri una delle condizioni generali di contratto - è corretta. Sulla base degli atti legittimamente esaminabili da questa Corte e soprattutto del tenore testuale dell'intera clausola e della specifica approvazione come riportato compiutamente - e senza limitarsi a soli stralci, potenzialmente suggestivi o fuorvianti - dalla contro ricorrente, è indubbio che la sottoscrizione è stata apposta specificamente in calce ad un richiamo operato a non tutte ed indistintamente le clausole delle condizioni generali, da esse risultandone escluse diverse e comunque in ogni richiamo numerico esistendo anche una, benché effettivamente sommaria, indicazione del contenuto. In tal modo, l'esigenza di tutela codificata nell'art. 1341 cod. civ. risulta rispettata, dovendo reputarsi essere stata l'attenzione del contraente, ai cui danni la clausola è stata predisposta, adeguatamente sollecitata e la sua sottoscrizione in modo consapevole rivolta specificamente proprio anche a tale contenuto a lui sfavorevole. Quest'ultimo, del resto, è il discrimine per la validità delle forme di specifica approvazione ai sensi dell'art. 1341 cod. civ. Cass., ord. 2 aprile 2015, n. 6747 a tal fine si deve ammettere l'idoneità di un richiamo al numero della clausola vessatoria tra le altre, Cass., ord. 5 giugno 2014, n. 12708, ovvero Cass. 3 settembre 2007, n. 18525 e si deve negare quella di un mero richiamo cumulativo, a clausole vessatorie e non, ma soltanto se si esaurisca nella mera indicazione del numero e non anche, benché sommariamente, del contenuto tra le altre, v. Cass., ord. 29 febbraio 2008, n. 5733, ovvero Cass., ord. 11 giugno 2012, n. 9492, nonché, a contrario, Cass., ord. 24 febbraio 2014, n. 4404 , oppure se sia prevista per legge una forma scritta per il contratto Cass., ord. 5 giugno 2014, n. 12708 Cass., ord. 18 maggio 2015, n. 10119 . p.2.4. E, rispettosa di tali principi, la valutazione della corte territoriale, sulla complessiva idoneità delle formule in concreto adoperate dalle parti a richiamare adeguatamente l'attenzione del contraente contro il quale la clausola è stata predisposta in via generale, si estrinseca allora in un apprezzamento di fatto, il quale, siccome scevro da quei gravissimi evidenti vizi logici o giuridici necessari ora per il rilievo in sede di legittimità e sui quali si veda infra , p.3.3 , si sottrae in questa sede di legittimità alle censure mosse contro di esso. p.3. - Il secondo motivo ravvisa nella gravata sentenza una violazione o falsa applicazione dell'art. 1260, II comma, c.c.”, nonché un omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”, il tutto ai sensi dei nn. 3 e 5 dell'art. 360 cod. proc. civ p.3.1. Sul punto, la ricorrente deduce la totale carenza di prova sull'effettiva conoscenza, da parte sua, della clausola di divieto di cessione e comunque l'insufficienza non solo della mera conoscibilità della medesima, quand'anche sulla base della peculiare diligenza professionale richiestale e quella non risultando certamente dalla fattura descrittiva del credito ceduto, ma pure della giustificazione del giudice del merito sul proprio contrario convincimento ed indica come doverosa, per la corte territoriale, la considerazione dell'avvenuta erogazione dell'80% del finanziamento a riprova dell'incolpevole ignoranza del divieto contrattuale di cessione. p.3.2. Dal canto suo, la controricorrente rivendica al giudice del merito la potestà esclusiva di valutare il materiale probatorio e di trame le conclusioni più congrue, condiviso il valore decisivo della chiarezza del riferimento fin dalla fattura ai contratto e dell'inverosimiglianza di un'attenta disamina da parte della banca finanziatrice della fonte negoziale del credito di cui si era resa cessionaria. p.3.3. Va preliminarmente rilevato che il motivo, per la parte in cui è formulato ai sensi del n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ., non è ammissibile. Si applica invero, essendo stata la sentenza oggi gravata pubblicata dopo il giorno 11.9.12, il nuovo testo di tale norma, quale risultante dalla formulazione dell'art. 54, co. 1, lett. b , d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modif. dalla l. 7 agosto 2012, n. 134 e tanto in forza della disciplina transitoria, di cui al co. 3 del medesimo art. 54 cit. e nell'interpretazione adottata dalle Sezioni Unite di questa Corte Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881 , in forza del quale il sindacato sulla motivazione è ormai ristretto ai casi di inesistenza della motivazione in sé, cioè alla mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , alla motivazione apparente , al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili , alla motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile . E, con tutta evidenza, ciò che censura la ricorrente è la congruità del risultato della valutazione di fatto della corte territoriale, che invece ed appunto in materia motiva con espressioni chiare ed intelligibili, non affette da alcuno dei soli gravissimi vizi ritenuti rilevanti dalla appena richiamata giurisprudenza. p.3.4. Peraltro, non può rilevare la preclusione del motivo previsto dall'art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ. in relazione all'identità della valutazione dei fatti da parte dei primi due giudici, perché in primo grado il processo è stato definito a seguito di procedimento sommario ai sensi degli artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ. in disparte la questione della necessità o meno che, ai fini dell'operatività della preclusione in parola, sia espressamente il giudice del gravame a qualificare in tali sensi la sua decisione . p.3.5. Le argomentazioni in diritto della corte territoriale, poi, sono anche corrette e non meritano neppure le censure mosse ai sensi del n. 3 dell'art. 360 cod. proc. civ., di erronea o falsa applicazione del capoverso dell'art. 1260 cod. civ È ben vero che pure di recente si riafferma il principio per il quale il patto che esclude la cedibilità dei credito può essere opposto al cessionario dal debitore ceduto, in base ai principi dell'affidamento nella normale cedibilità dei crediti, ex art. 1260, co. 1, cod. civ. e dell'inefficacia del contratto nei confronti dei terzi, ex art. 1372 cod. civ., soltanto in quanto, ex art. 1260, co. 2, cod. civ., sia dimostrato che il cessionario abbia avuto conoscenza effettiva di detto patto al tempo della cessione” da ultimo, v. Cass. 20 gennaio 2015, n. 825, ove riferimenti . E tuttavia benché effettivamente incongrua sia l'enunciazione di condivisione della conclusione del primo giudice sulla mera - evidentemente astratta - conoscibilità della cessione stessa, di cui a pag. 4, penultimo paragrafo, della gravata sentenza la corte di merito ritiene positivamente provato proprio che, nella specie, una effettiva conoscenza vi fosse, sulla base della congiunta considerazione sia del richiamo al contratto di appalto nella stessa fattura oggetto della cessione, sia della natura e dell'importo del credito infatti, i giudici del gravame ritengono che può affermarsi che la banca fosse a conoscenza della clausola relativa al divieto di cessione del credito” pag. 4, righe quinta e seguente della gravata sentenza ed in tal modo finiscono, sia pure sulla base di un'evidente prova critica o presuntiva, con l'affermare non la sola o mera o potenziale conoscibilità ciò che avrebbe giustificato le critiche della ricorrente , ma appunto una conoscenza effettiva ciò che non merita le censure della soccombente . Ed anche in tal caso, soprattutto alla luce dei già illustrati limiti derivanti dalla novella del n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ., una simile ricostruzione si sottrae alle censure nella presente sede di legittimità, perché scevra da quei soli gravissimi vizi ormai soli a rilevare. p.4.- Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna della soccombente ricorrente ai pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di controparte. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la Banca Popolare dell'Emilia Romagna soc. coop., in pers. del leg. rappr.nte p.t, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, in pers. del leg. rappr.nte p.t., liquidate in Euro 7.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre maggiorazione per spese generali ed oltre accessori nella misura di legge.