La cosa venduta è completamente diversa da quella pattuita? Sì alla risoluzione e al risarcimento per aliud pro alio

In tema di compravendita, vizi redibitori e mancanza di qualità le cui relative azioni sono soggette ai termini di decadenza e di prescrizione ex art. 1495 c.c. si distinguono dall’ipotesi della consegna di aliud pro alio che dà luogo ad un’ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di cui al citato art. 1495 c.c

Questa fattispecie – di cui si è occupata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22301/2015, depositata il 30 ottobre scorso - ricorre quando la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull’individualità, consistenza e destinazione di quest’ultima, sì da poter ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione dell’acquirente di effettuare l’acquisto, o che presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti c.d. inidoneità ad assolvere la funzione economico-sociale facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto. Il caso. La vicenda riguarda una compravendita di tessuti destinati alla fabbricazione di tomaie. Secondo l’acquirente della merce, sulla scorta delle risultanze di un accertamento tecnico preventivo e di una consulenza tecnica in corso di causa, la società fornitrice aveva consegnato materiali del tutto inidonei all’uso contrattualmente stabilito essendo privi delle caratteristiche minime di accettabilità poiché si laceravano facilmente dopo solo pochi giorni. Il Tribunale valutava la fattispecie in esame come vendita aliud pro alio, applicando il normale termine di prescrizione per eccepire simile inadempimento e chiedere il risarcimento. Il Tribunale quindi accoglieva la domanda dell’acquirente e condannava la società al ristoro dei danni. La sentenza veniva poi confermata in appello con l’aggiunta di un ulteriore indennizzo per il danno da discredito commerciale. La società presentava allora ricorso in Cassazione. Il venditore deve garantire l’assenza di vizi. In tema di compravendita, secondo l’art. 1490 c.c. il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore. A tutela dell’acquirente, l’art. 1492 c.c. consente di domandare, a scelta, la risoluzione del contratto oppure la riduzione del prezzo. I due strumenti sono noti come azioni edilizie”. La prima è l’azione redibitoria che permette la risoluzione dell’intero negozio per vizi e difetti. Secondo l’opinione generale, la norma non introduce una particolare categoria di risoluzione pertanto il giudice sarebbe sempre chiamato a valutare la non scarsa importanza dell’inadempimento. Secondo altri invece il legislatore, avendo descritto i vizi e difetti nel citato art. 1490 c.c., avrebbe già operato in astratto una valutazione sull’importanza dell’inadempimento in modo tale che l’azione redibitoria rappresenterebbe in realtà un’applicazione restrittiva dell’art. 1455 c.c. così Cassazione 3398/1996 . Il secondo strumento accordato all’acquirente è detto azione estimatoria o quanti minoris e consente una riduzione del prezzo che tenga conto dei vizi della cosa venduta. Tale rimedio salvaguarda il sinallagma contrattuale e lo riconduce ad equità, riequilibrando le reciproche prestazioni venditore-compratore. La facoltà di scelta tra i due strumenti actio redibitoria e quanti minoris è rimessa all’acquirente a prescindere dalla maggiore o minore entità dei vizi vedi Cassazione 1153/1995 e non è esclusa per il fatto che i vizi siano talmente gravi da impedire l’utilizzo del bene nella sua funzione caratteristica così Cassazione 4471/1985 . L’art. 1495 c.c. stabilisce inoltre che il compratore decade dalle garanzie descritte se non ha denunciato i vizi al venditore entro 8 giorni dalla scoperta, mentre l’azione si prescrive in ogni caso decorso un anno dalla consegna del bene. Simili limiti tuttavia non operano nell’ipotesi particolare in cui la vendita venga qualificata come aliud pro alio . In questi casi la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata consente di affermare che essa appartiene addirittura a un genere diverso da quello pattuito tra le parti alla stipula del contratto o che ha difetti tali da impedire di assolvere alla sua funzione naturale facendo degradare il bene consegnato a una sottospecie diversa da quella dedotta nel contratto. In questo caso non operano i limiti imposti dall’art. 1495 c.c. e il compratore può far valere l’inadempimento secondo le modalità ordinarie. Potrà quindi agire per l’adempimento o per la risoluzione ex art. 1453 c.c. ferma la possibilità di richiedere il risarcimento dei danni patiti. Aliud pro alio. Nel caso di specie il Tribunale e la Corte d’Appello, in base alle risultanze dell’atp e della ctu avevano qualificato la fattispecie proprio come aliud pro alio secondo un giudizio di fatto devoluto al giudice di merito e non sindacabile in Cassazione. In particolare la decisione della Corte d’Appello non si è discostata dai principi sopra brevemente descritti avendo accertato, con una motivazione immune da vizi logici e basata sulle perizie tecniche, che i tessuti forniti dalla società per la loro intrinseca struttura erano inidonei a essere utilizzati per l’uso contrattuale convenuto, cioè per la fabbricazione delle tomaie. Le perizie avevano infatti stabilito che i tessuti si laceravano troppo facilmente e non potevano certo essere usati per fabbricare le tomaie con lavorazioni che comportano continue sollecitazioni flessive. La decisione dei giudici di merito veniva quindi confermata anche in Cassazione e il ricorso della società veniva rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 settembre – 30 ottobre 2015, n. 22301 Presidente Piccialli – Relatore Matera Svolgimento del processo Con sentenza in data 23-4-2007 il Tribunale di Fermo, in accoglimento della domanda proposta da M.S. nei confronti della s.r.l. Ma. , dichiarava risolto per inadempimento di quest'ultima il contratto di compravendita stipulato con l'attore ed avente ad oggetto la fornitura di tessuto destinato alla fabbricazione di tomaie, ritenendo, sulla scorta delle risultanze dell'accertamento tecnico preventivo e della consulenza tecnica d'ufficio espletata in corso di causa, che i predetti materiali fossero assolutamente inidonei all'uso contrattualmente stabilito, essendo privi delle caratteristiche minime di accettabilità le tomaie, realizzate con il tessuto fornito dal venditore, tendevano a lacerarsi nel giro di pochi giorni . Nella specie, secondo il giudice di primo grado, si configurava l'ipotesi dell' aliud pro alio , anziché la semplice ipotesi di vizi della cosa venduta con la conseguenza che doveva ritenersi superata ogni questione relativa alla eventuale decadenza dell'azione per vizi per la mancanza di una tempestiva denuncia, o alla eventuale prescrizione breve ex art. 1495 c.c., potendo invece operare solo il normale termine prescrizionale. Con la stessa sentenza il Tribunale condannava la convenuta al risarcimento del danno in favore dell'attrice, quantificati in Euro 16.005,00 ed inteso come limitato al valore della merce restituita ed alle spese di restituzione, oltre che di ATP, con esclusione invece del maggior danno preteso dall'attore per discredito commerciale, ritenuto non provato. Avverso la predetta decisione proponevano appello principale la s.r.l. Ma. e appello incidentale M.M. e Ma.Ma. , quali eredi di M.S. , titolare della ditta Calzaturificio M.S. . Con sentenza in data 2-9-2010 la Corte di Appello di Ancona rigettava il gravame principale in accoglimento dell'appello incidentale, condannava la convenuta al pagamento in favore degli eredi M. dell'ulteriore somma di Euro 10.000,00, oltre interessi legali dalla data di tale pronuncia, a titolo di risarcimento del danno da discredito commerciale. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la s.r.l. Ma. , sulla base di sei motivi. M.M. e Ma.Ma. , quali eredi di M.S. , titolare della ditta Calzaturificio M.S. , hanno resistito con controricorso. In prossimità dell'udienza le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1 Con il primo motivo la ricorrente lamenta l'insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce che la Corte di Appello, nel ritenere certo che la merce resa era stata fabbricata con il tessuto fabbricato dalla s.r.l. Ma. , non ha tenuto conto delle gravi incertezze emerse al riguardo in sede di ATP e di CTU. Il motivo è privo di fondamento. La Corte di Appello ha motivatamente disatteso la deduzione dell'appellante, secondo cui non sarebbe stato dimostrato che i materiali esaminati in sede peritale, e ritenuti gravemente difettosi, provenissero effettivamente da una fornitura effettuata dalla s.r.l. Ma. . Essa ha spiegato che tale assunto appariva di per sé contraddittorio, dal momento che Io stesso appellante aveva affermato, in principalità, che i materiali in questione avevano dato Luogo a difetti non dovuti alle loro caratteristiche intrinseche, bensì ad errore di lavorazione da parte dell'acquirente a causa del taglio nel senso della trama anziché nel senso dell'ordito il che presupponeva come ammesso e scontato che i materiali di cui trattasi fossero quelli forniti dalla società appellante, e non da altri. Si tratta di argomentazione sufficiente e congrua, che vale a sorreggere la valutazione espressa sul punto dal giudice del gravame, rendendola immune dai vizi denunciati. 2 Con il secondo motivo la ricorrente, dolendosi ancora dell'insufficiente e contraddittoria motivazione, sostiene che il giudice di appello, nel dare per scontata l'apodittica affermazione del C.T.U. circa l'inidoneità del materiale fornito dalla s.r.l. Ma. ad assolvere la sua funzione, e cioè ad essere utilizzato per Le tomaie delle scarpe, non ha considerato che il materiale reso dall'attore rappresenta una minima parte del materiale fornito dal calzaturificio M. ai propri clienti e del quantitativo di tessuto acquistato dalla ditta Ma. , che è servito per fabbricare circa 5.500 paia di scarpe. Il motivo deve essere disatteso, proponendo meri assunti in fatto, basati su una elencazione riassuntiva del quantitativo di tessuto asseritamente fornito e reso, senza nemmeno specificare se i dati esposti siano stati desunti da documenti ritualmente prodotti nel corso del giudizio di merito. 3 Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1490 c.c Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, nella specie non ricorre un'ipotesi di aliud pro alio , non potendosi parlare né di cosa di genere diverso né di cosa totalmente inservibile né di inidoneità della stessa ad assolvere la sua funzione economico-sociale, in quanto il tessuto è stato utilizzato per fabbricare scarpe e il Calzaturificio M. ha contestato un minimo quantitativo di merce rispetto alle paia di scarpe vendute e di quelle realizzate con il quantitativo di tessuto acquistato. Il motivo è infondato. Secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di compravendita, vizi redibitori e mancanza di qualità le cui relative azioni sono soggette ai termini di decadenza e di prescrizione ex art. 1495 c.c. si distinguono dall'ipotesi della consegna di aliud pro alio - che da luogo ad un'ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di cui al citato art. 1495 c.c. -, la quale ricorre quando la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull'individualità, consistenza e destinazione di quest'ultima, sì da potersi ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione dell'acquirente di effettuare l'acquisto, o che presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziali dalle parti c.d. inidoneità ad assolvere la funzione economico-sociale , facendola degradare in una sottospecie dei tutto diversa da quella dedotta in contratto Cass. 19-12-2013 n. 28419 Cass. n. 10916 del 2011 Cass. n. 26953 del 2008 Cass. n. 9227 del 2005, Cass. n. 13925 del 2002 Cass. n. 2712 del 1999 . Lo stabilire se si versi in tema di consegna di aliud pro alio o di cosa mancante di qualità, di cosa affetta da vizi redibitori, involge un giudizio di fatto devoluto al giudice del merito pertanto, in sede di legittimità, il controllo della Corte deve limitarsi a stabilire se il giudice di appello, nell'esprimere il proprio giudizio di fatto, si sia attenuto ad un corretto criterio di distinzione tra le accennate diverse ipotesi Cass. 19-12-2013 n. 28419 . Nella specie, la Corte di Appello, nel ritenere che non si era in presenza di un vizio della cosa venduta, ma di un'ipotesi di vendita di aliud pro alio , non si è discostata dagli enunciati principi, avendo accertato, con motivazione immune da vizi logici, basata sulle risultanze delle indagini tecniche esperite, la radicale ed assoluta inidoneità dei tessuti forniti dalla ditta Ma. , per la loro intrinseca struttura, ad essere utilizzati per l'uso contrattuale convenuto, cioè la fabbricazione delle tomaie tant'è che, come evidenziato in sentenza, le tomaie stesse, per la intrinseca incompatibilità con le sollecitazioni flessive caratteristiche dell'uso delle calzature, si laceravano in pochi giorni. 4 Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 1495 c.c., sostiene che il giudice di primo grado ha erroneamente ritenuto irrilevante la prova testimoniale articolata dalla convenuta, dapprima ammessa e poi revocata, volta a dimostrare il mancato rispetto dei termini di prescrizione e di decadenza. Il quinto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 1224 c.c., per avere il Tribunale, in assenza di prova, quantificato in Euro 24.914,60 il danno per calzature rese e in lire 5.000.000 le spese di spedizione, e riconosciuto il risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c Entrambi i motivi sono inammissibili, in quanto le censure mosse investono le statuizioni adottate dal Tribunale e non quelle rese dal giudice di appello. Con il ricorso per cassazione, infatti, non possono essere proposte censure rivolte direttamente contro la sentenza di primo grado, anziché contro quella di appello, che costituiscono l'unico oggetto del giudizio di legittimità cfr. Cass. 21-3-2014 n. 6733 Cass. 15-3-2006 n. 5637 Cass. 20-6-1996 n. 5714 . 5 Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 1226 c.c. e la mancanza di motivazione, per avere la Corte di Appello liquidato in via equitativa il danno da discredito commerciale in Euro 10.000,00, in assenza di prova dell'esistenza di tale danno. Anche tale motivo non è meritevole di accoglimento. La Corte di Appello ha ritenuto certa l'esistenza dei danno da discredito commerciale sulla base di argomenti logici, legati al notorio ed all' id quod plerumque accidit , spiegando, con motivazione sufficiente e non incongruente, che la commercializzazione di prodotti radicalmente inidonei alla usuale funzione delle calzature le tomaie si rompevano in pochi giorni , quale conseguenza dell'impiego di tessuti assolutamente inadatti alla funzione della tomaia, non poteva non determinare un grave discredito commerciale del calzaturificio M. di fronte alla propria clientela e di fronte a segmenti di mercato in fase di acquisizione discredito con conseguente necessità di cambiare il marchio che, pertanto, ha sentenza impugnata ha ritenuto in rapporto di causa-effetto con la disfunzionalità del prodotto fornito dalla ditta Ma. . Il giudice del gravame ha altresì fornito adeguata giustificazione dei parametri utilizzati nella quantificazione del danno in questione in via equitativa in Euro 10.000,00, avendo tenuto conto del volume di affari attuale e virtuale della ditta acquirente e della colpa concorrente, ex art. 1227 c.c., di quest'ultima, che avrebbe potuto accorgersi per tempo delle radicali deficienze qualitative del materiale fornito, ed astenersi dal commercializzare i prodotti realizzati con quel materiale. Si tratta di apprezzamenti in fatto che, in quanto sorretti da argomentazioni immuni da vizi logici, si sottraggono al sindacato di questa Corte. E, in realtà, le deduzioni svolte dalla ricorrente per negare la configurabilità di un danno da discredito commerciale subito dalla controparte, attraverso la formale denuncia di violazione di legge e di vizi di motivazione, si risolvono in sostanziali censure di merito, che mirano ad ottenere, sul punto, una diversa e più favorevole valutazione delle risultanze probatorie rispetto a quella compiuta dal giudice territoriale. In tal modo, peraltro, viene sollecitato a questa Corte l'esercizio di poteri di cognizione che non le competono, rientrando nei compiti istituzionali del giudice di merito l'accertamento dei fatti oggetto della controversia e la valutazione delle prove. 6 Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dai resistenti nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.