È violenza solo se la minaccia spinge il contraente a stipulare un contratto che altrimenti non avrebbe concluso

In materia di annullamento del contratto per vizi della volontà, si verifica l'ipotesi della violenza, invalidante il negozio giuridico, qualora uno dei contraenti subisca una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, proveniente dal comportamento posto in essere dalla controparte o da un terzo e risultante di natura tale da incidere, con efficienza causale, sul determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20305/15, depositata il 9 ottobre. Il caso. Un uomo proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti su ricorso di una s.p.a. per il pagamento di un importo determinato sulla base di un lodo irrituale e dovuto per l’acquisto di azioni di una terza società. Dopo una prima pronuncia della Corte di Cassazione, riassunta la causa dinnanzi alla Corte d’appello territoriale, quest’ultima procedette ad una qualificazione della domanda alla stregua degli artt. 1427 Errore, violenza e dolo , 1434 Violenza e 1435 Caratteri della violenza c.c., rilevando che l’uomo aveva chiesto la declaratoria di invalidità del contratto con cui acquistava le zioni della terza società poiché indotto al consenso - per conto della società convenuta - mediante la minaccia di esercitare contro di lui l’azione di responsabilità sociale. Per la corte d’appello, avendo l’uomo escluso la propria responsabilità sociale, non si sarebbe potuto trattare della minaccia di far valere un proprio diritto ex art. 1438 c.c Per la cassazione di tale pronuncia, ricorre l’uomo, lamentando che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente affermato che i pregiudizi che la parte avrebbe subito dall'esercizio dell'azione di responsabilità sarebbero stati solo quelli non patrimoniali, così trascurando la portata afflittiva patrimoniale di detta azione e mal ricostruendo la percezione del c.d. male minore cui egli si sarebbe indotto, pur di non subire la citata iniziativa giudiziale. Sono stati valutati sia il pregiudizio economico che quello psicologico. Sul punto, gli Ermellini hanno precisato che parte ricorrente, pur sottoponendo a critica la latitudine dell'apprezzamento del male minacciato chiedendo il rifacimento di un giudizio di fatto - peraltro non sollecitabile in sede di legittimità – ha trascurato che la corte d'appello nella propria decisione ha fatto riferimento al duplice pregiudizio, economico e psicologico, prospettato mediante la minacciata azione giudiziaria verso l'amministratore. S erve una minaccia tale da indurre a concludere un contratto che altrimenti non si sarebbe concluso. I Giudici di Piazza Cavour, inoltre, hanno rilevato che il contratto può essere annullato ai sensi dell'art. 1434 c.c. qualora la volontà del contraente sia stata alterata dalla coazione, fisica o psichica, proveniente dalla controparte o da un terzo - requisiti che non ricorrono ove la determinazione della parte sia stata provocata da timori meramente interni ovvero da personali valutazioni di convenienza, senza cioè che l'oggettività del pregiudizio risalti - su iniziativa probatoria della parte che promuove la domanda di annullamento - quale idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie scelte . Aderendo ad un consolidato indirizzo interpretativo richiamato dal Supremo Collegio, infatti, la Corte di legittimità, in materia di annullamento del contratto per vizi della volontà, ha ribadito che si verifica l'ipotesi della violenza, invalidante il negozio giuridico, qualora uno dei contraenti subisca una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, proveniente dal comportamento posto in essere dalla controparte o da un terzo e risultante di natura tale da incidere, con efficienza causale, sul determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio. Per tutte le ragioni sopra esposte, pertanto, la Corte ha rigettato il ricorso de quo .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 24 settembre – 9 ottobre 2015, numero 20305 Presidente Rordorf – Relatore Ferro Il processo S.P. impugna la sentenza App. Firenze 22.6.2012, numero 912/2012 con cui, definitivamente pronunciando in sede di rinvio ex articolo 392 cod.proc.civ. ed in reiezione del proprio appello, venne rigettata la sua domanda di opposizione al decreto ingiuntivo numero 1181-95 del 16.2.1995, già emesso su ricorso di T. Sankey s.p.a. e per il pagamento di Lit 749.859.920, importo determinato sulle. base del lodo irrituale del 5.5.1994, oltre interessi legali con decorso da due date corrispondenti a scadenze non rispettate per due tranches di debito e da una terza d ta relativa alla notifica della pronuncia quanto al resto, nonché a spese ed accessori. Aveva ritenuto con una prima sentenza 623/2004 del 13.4.200 la medesima corte d'appello, puntualizzata la causa petendi in punto di compravendita di azioni di una terza società Laser Valfivre Sorgenti e Sistemi s.p.a. , che P. avrebbe assunto l'impegno in confronto della controricorrente ed a suo tempo ingiungente T. Sankey s.p.a. di acquistare il 15.4.1992, che vi era stato, parziale inadempimento della citata scrittura, da ritenersi immune dall'invalidità per vizi del cónsenso quale dedotta dall'acquirente, conseguendone altresì la validà del lodo, ciò sul presupposto dell'inammissibilità della domanda, posto che l'attore aveva censurato come affetto da vizio della volontà il negozio in sé della vendita e non l'accordo compromissorio. Questa Corte, con sentenza numero 10353/2009, convenne con il ricorrente di dare risposta positiva alla questione sul se l'annullamento del contratto coinvolgesse anche il negozio nella sua interzza ivi comprese le singole clausole', per cui con l'eccepita invalidità del consenso prestato per la stipula del contratto di compravendi a di adoni esso ricorrente ha eccepito evidentemente anche l'invalidità della clausola arbitrale. . Affermò così la corrispondente sentenza di cassazione con rinvio che il principio dei 'autonomia della clausola compromissoria rispeáto al negozio di riferimento vale in relazione all'arbitrato rituale, che si attua, per volontà delle parti compromettenti, mediante l'esercizio di una potestà decisoria alternativa rispetto a quella del giudice istituzionale e si risolve in un lodo ave te tra le parti la stessa efficacia di sentenza, ma non può essere invocato in relazione all'arbitrata irrituale, avente natura negoziale e consistente nell'adempimento del mandato, conferito dalle p all'arbitro, di integrare la volontà delle parli stesse dando vita ad un negozio di secondo grado, i quale trae la sua ragione d'essere dal negozio nel quale la clausola è inserita e non può sopravvivere a dffirenza dell'arbitrato rituale secondo quanto disposto dall'articolo 808 a p. c., comma 3 alle cause di nullità che facciano venir meno la fonte stessa del potere degli arbitri. Riassunta la causa avanti alla corte di appello, quest'ultima procedette ad una qualificazione della domanda alla stregua degli articolo 1427, 1434 e 1435 cod.civ., rilevando che P. aveva chiesto la declaratoria di invalidità del contratto con cui acquistava le azioni della Laser Valfivre Sorgenti e Sistemi s.p.a., di cui egli era amministratore delegato nel 1992, poiché indotto al consenso dall'intimidazione rivoltagli da G.P.T. per conto della società convenuta mediante la minaccia di esercitare contro P. l'azione di responsabilità sociale, dopo che il c.d.a. della società amministrata aveva chiesto chiarimenti, con una nuova riunione volta a deliberare sulla permanenza nella carica e tutto ciò avendo riguardo ad una società che qualche mese dopo nel gennaio 1993 sarebbe in realtà stata messa in liquidazione, per fallire nel dicembre dello stesso 1993 e dunque traducendosi la compravendita in un esborso per valori pressoché inesistenti. Per la corte d'appello, avendo P. escluso la sua responsabilità sociale ai sensi dell'articolo 2392 cod.civ., non si 'sarebbe potuto trattare della minaccia di far valere un diritto ex articolo 1438 cod.civ., sul punto peraltro il ricorrente non avendo dedotto o provato il conseguimento di vantaggi ingiusti in capo alla controparte, né essendo stati specificati i comportamenti contestati al medesimo come amministratore. Sull'altro versante, richiamato l'articolo 1435 cod.civ., il male prospettato come pregiudizio economico [per] appannamento dell'immagine professionale e pregiudizio psicologico di dovere ingiustamente subire un processo non apparve al collegio fiorentino di gravità tale da sovrastare il pregiudizio conseguente alla conclusione del negozio, trattandosi quanto alle circostanze elevate a 'minaccia e per le condizioni di avvocato esperto di diritto societario della parte di pregiudizi meramente transeunti' ovvero destinati a cessare con l'accertamento dell'infondatejRa della domanda ex articolo 2932 c.c. ovvero risarcibili nel processo ex articolo 96 cod.proc.civ. Il ricorso è affidato a due motivi e ad esso resiste la società con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. I fatti rilevanti della causa e le ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge ai sensi degli articolo 1427, 1434 e 1438 cod.civ. e vizio di motivazione, avendo erroneamente la corte d'appello ravvisato l'inconfigurabilità della minaccia di far valere un diritto senza però procedere ad un accertamento negativo circa la sussistenza del diritto a promuovere l'azione di responsabilità da parte della società, essendosi limitata a riportarsi alle difese di inevitabile negazione di detta responsabilità del ricorrente e poi addossando a questi l'onere, pretesamente non assolto, di specificare i comportamenti contestati ex articolo 2392 cod.civ., cosìì pretermettendo l'ingiustizia del vantaggio che il minacciante intendeva ottenere, perché esorbitante rispetto a quello conseguibile con il mero esercizio del diritto. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge, rispetto agli articolo 1427, 1434 e 1435 cod.civ., avendo la sentenza affermato che i pregiudizi che la parte avrebbe subito dall'esercizio dell'azione di responsabilità sarebbero stati solo quelli non patrimoniali, così trascurando la portata afflittiva patrimoniale di detta azione e per di più anche transeunti e risarcibili , mal ricostruendo la percezione del cd. male minore cui si sarebbe indotto P., pur di non subire la citata iniziativa giudiziale. 1. Il primo motivo é inammissibile, ove non appare colta la doppia ratio decidendi sia pur a motivazione gradata , su cui si impernia il quadro giustificativo della reiezione dell'appello. La sentenza impugnata, infatti, con chiarezza opera una qualificazione dell'azione di P. siccome condotta alla stregua di domanda di annullamento del contratto di compravendita in ogni sua parte , viziato da minaccia secondo i tratti configurati agli articolo 1427, 1434 e 1435 cod.civ., con esplicitazione delle ragioni che escludevano il ricorso alla figura speciale della minaccia di far valere un diritto, ai sensi dell'articolo 1438 cod.civ. Pur tuttavia, anche tale seconda potenziale causa di annullamento è stata ex professo affrontata dalla decisione del collegio fiorentino e così per negarne la ricorrenza, stante la drastica esclusione sostenuta in giudizio da parte dell'appellante circa una sua responsabilità verso la società, ma avendo in particolare egli altresì omesso di dedurre e provare, come sarebbe stato suo onere, l'ingiustizia dei vantaggi che la società avrebbe ritratto piegando il P. ad acquistare le azioni e solo minacciandogli l'esercizio dell'azione, pur destituita, a suo dire, di ogni fondamento. Appare allora evidente che un apprezzamento critico sull'esito selettivo dell'azione, per come operato dalla corte d'appello, si sarebbe potuto dare solo offrendo in questa sede la restituzione degli elementi, innanzitutto fattuali, mal considerati o trascurati da parte del giudice di merito nella comparazione, del tutto necessaria all'interno del perimetro di cui all'articolo 1438 cod.civ., tra il vantaggio indiretto ed obliquo ottenuto con l'imposizione dell'acquisto delle azioni e quello diverso, per così dire ordinario ed attendibile ma ingiusto, all'esito dell'esercizio di quel diritto ad agire giudizialmente. Per comprendere poi la esorbitanza o eccessività del descritto vantaggio, sarebbe stato allora necessario, ancor prima, indicare all'accertamento del giudicante le condotte amministrative in concreto utilizzate dalla società per prospettare, ove vi avesse dato corso ed in alternativa alla compravendita di azioni, la responsabilità ex articolo 2392 cod.civ., adempimento del tutto omesso la corrispondente stigmatizzazione operata dalla corte d'appello ha invero coerentemente retto -altresì un finale apprezzamento di infondatezza dell'azione quand'anche assunta ai sensi dell'articolo 1438 cod.civ., ratio decidendi non idoneamente sottoposta a censura avanti a questa Corte, perché solo genericamente avversata. Sul punto, -la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio, cui questo Collegio intende dare continuità, per cui la minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione di un contratto, ai sensi dell'articolo 1438 cod. civ., soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto il che si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l'esercizio del diritto medesimo, sia anche esorbitante ed iniquo rispetto all oggetto di quest ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall'ordinamento Cass. 17523/2011, 28260/2005 . 2. Né parte ricorrente, all'altezza del secondo motivo, individua una più pertinente censura, inammissibile laddove sottopone a critica la latitudine dell'apprezzamento del male minacciato chiedendo il rifacimento di un giudizio di fatto, non sollecitabile in questa sede ed in ogni caso trascurando che la corte d'appello ha comunque fatto riferimento al duplice pregiudizio, economico oltre che psicologico, prospettato mediante la brandita azione giudiziaria verso l'amministratore, non potendo perciò l'esito svalutativo della relativa gravità, motivata per il suo basso indice persuasivo, trovare riconsiderazione avanti al giudice di legittimità, oltre tutto adito in modo generico. E d'altronde, il contratto può essere annullato ai sensi dell'articolo 1434 cod. civ. qualora la volontà del contraente sia stata alterata dalla coazione, fisica o psichica, proveniente dalla controparte o da un terzo, requisiti che non ricorrono come nella ratio del caso di cui a Cass. 7394/2008 ove la determinazione della parte sia stata provocata da timori meramente interni ovvero da personali valutazioni di convenienza, senza cioè che l'oggettività del pregiudizio risalti su iniziativa probatoria della parte che promuove la domanda di annullamento quale idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie scelte. Secondo un consolidato indirizzo, invero, cui si presta adesione, in materia di annullamento del contratto per vizi della volontà, si verifica l'ipotesi della violenza, invalidante, il negozio giuridico, qualora uno dei contraenti subisca una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, proveniente dal comportamento posto in essere dalla controparte o da un terzo e risultante di natura tale da incidere, con efficienza causale, sul determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe.concluso il negozio Cass. 235/2007,12484/2007, 6044/2010 . Il rigetto del ricorso determina la liquidazione delle spese del procedimento secondo il criterio della soccombenza e con liquidazione come meglio da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dei compensi, liquidate in euro 13.200 di cui 200 euro per spese , oltre al 15% forfettario sui compensi per spese e gli accessori di legge.