Non rileva il rapporto tra assicurazione e assicurato: il terzo responsabile deve (sempre) rimborsare l’assicurazione

La surrogazione ex art. 1916, c.c., determina la successione a titolo particolare totale o solo parziale dell'assicuratore nei diritti dell'assicurato verso il terzo responsabile, talché nella relativa azione non viene in considerazione il rapporto assicurativo di carattere pubblicistico concernente gli infortuni sul lavoro, ma soltanto la responsabilità aquiliana dell'autore dell'atto illecito, obbligato a risarcire il danneggiato o, in sua vece, l'assicuratore che gli abbia anticipato l'indennizzo, sicché il responsabile non è legittimato ad opporre all'assicuratore eccezioni concernenti il contenuto del rapporto, salvo che esse incidano sulla misura del risarcimento del danno cui egli sarebbe tenuto nei confronti del danneggiato.

Con la sentenza n. 18304 del 18 settembre 2015, la Cassazione interviene sulle possibili eccezioni opponibili, da parte del danneggiante, alla richiesta di restituzione di quanto corrisposto all’assicurato, escludendo che il danneggiante posso opporre, in particolare, eccezioni inerenti il contenuto del rapporto sussistente tra danneggiato ed assicurazione. Il caso. A seguito di un sinistro stradale, l’INPS, svolti i dovuti accertamenti, riconosce in favore della danneggiata dal sinistro una somma a titolo di assegno di invalidità, in relazione alla lesione della sua capacità lavorativa. Successivamente, chiede ai responsabili di tale sinistro, in forza di surrogazione ex art. 1916 c.c., il pagamento della somma così erogata. Tale domanda viene accolta in primo e secondo grado ma i responsabili del sinistro fanno ricorso in Cassazione, sostenendo che non erano stati provati i presupposti per l’erogazione della prestazione previdenziale. Il S.C. rigetta il ricorso sostenendo, come visto sopra, che il terzo danneggiante non può opporre all’assicurazione eventuali questioni inerenti il rapporto tra assicurazione e danneggiato nel caso di specie, i presupposti per l’erogazione della prestazione previdenziale . La surrogazione dell’assicuratore la regola generale. Secondo la giurisprudenza, la surrogazione dell'assicuratore nel diritto dell'assicurato verso il terzo responsabile, ex art. 1916 c.c., integra un'ipotesi di successione a titolo particolare, che insorge con il pagamento dell'indennizzo e con la manifestazione della volontà di avvalersi della surrogazione stessa. Peraltro, l'eventuale mancanza di tale pagamento e di tale manifestazione di volontà al momento della proposizione della domanda, tuttavia, non osta all'accoglimento della medesima ove l'uno e l'altra intervengano in corso di causa, in quanto, trattandosi di condizione dell'azione, la sussistenza della medesima deve riscontrarsi avuto riguardo alla data della decisione. Surrogazione ed assicurazioni sociali quale disciplina. Il principio fissato dall'art. 1916 c.c., in tema di assicurazione privata contro i danni, in forza del quale la surrogazione dell'assicuratore nei diritti dell'assicurato contro il terzo responsabile consegue al pagamento dell'indennità, subisce nel campo delle assicurazioni sociali - ove gli obblighi assicurativi sono caratterizzati da certezza ed inderogabilità, oltre ad articolarsi in una molteplicità di prestazioni non sempre quantificabili immediatamente in danaro - i necessari adattamenti, nel senso che per il verificarsi dell'indicato subingresso dell'istituto assicuratore nel caso di specie, l’INPS basta la semplice comunicazione al terzo responsabile dell'ammissione del danneggiato all'assistenza prevista dalla legge, accompagnata dalla manifestazione della volontà di esercitare il diritto di surroga. Le eccezioni opponibili dal terzo danneggiante. Il responsabile dell'infortunio non è legittimato ad opporre all'ente pubblico di assistenza la insussistenza dei presupposti di fatto considerati dall'Ente per l'erogazione della rendita all'infortunato, attenendo tale eccezione al contenuto del rapporto assicurativo, di rilievo pubblicistico, al quale è estraneo il soggetto responsabile dell'evento dannoso. L'esercizio del diritto di surroga, previsto dall'art. 1916 c.c., come visto in precedenza, consiste in una forma di successione a titolo particolare dell'assicuratore, nei diritti dell'assicurato verso il responsabile del danno, ed opera fino alla concorrenza dell'ammontare dell'indennizzo. Tale azione implica l'opponibilità all'assicuratore delle eccezioni invocabili contro l'assicurato alla suddetta data, per effetto del subingresso dell'uno nella stessa posizione dell'altro. Il credito oggetto di rimborso di valore o di valuta? Il credito dell'ente pubblico di assistenza INAIL o INPS, nel caso di specie per il rimborso delle prestazioni erogate in favore dell'infortunato, fatto valere - in via di surrogazione - nei confronti del terzo responsabile del fatto illecito, ha natura di credito di valore e non di valuta, di talché esso include la svalutazione monetaria sopravvenuta dopo il pagamento effettuato dall'ente previdenziale, in conformità con la natura di successione a titolo particolare nel diritto controverso propria del fenomeno surrogatorio, e senza alcuna incidenza dell'avvenuta pagamento dell'indennizzo, che opera sul piano del rapporto assicurativo. Come provare il diritto di surroga? Ai fini della surroga ex art. 1916 c.c., l'assicuratore può adempiere all'onere di provare la sua qualità di assicuratore ed il danno risarcito con la produzione della quietanza, se essa contiene la prova del contratto d'assicurazione e l'individuazione del danno risarcito. Surroga e regresso quali differenze. Il diritto di regresso costituisce un diritto proprio dell'assicuratore, analogo a quello che compete al condebitore solidale ai sensi dell'art. 1299 c.c. Esso si distingue dal diritto di surroga previsto dall'art. 1916 c.c., spettante all'assicuratore che abbia pagato l'indennizzo che comporta la sostituzione dello stesso nei diritti dell'assicurato verso i responsabili del danno non presuppone l'avvenuto esperimento dell'azione dell'assicurato ed il suo termine di prescrizione decorre dalla data dell'esborso dell'intero indennizzo.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 marzo – 18 settembre 2015, numero 18304 Presidente Petti – Relatore Frasca Svolgimento del processo § 1. Con sentenza del 18 ottobre 2011 la Corte d'Appello di Ancona ha rigettato, salvo che per un motivo attinente alla mancata compensazione delle spese giudiziali, l'appello proposta da P.S. ed P.E. contro la sentenza del febbraio 2001, con cui il Tribunale di Macerata in accoglimento parziale della domanda proposta dall'I.N.P.S. nell'agosto del 2006 per ottenere, in forza di surrogazione, il pagamento della somma di Euro 61.271,74 erogata a titolo di assegno ordinario di invalidità ex art. 1 l. numero 222 del 1984 a favore di Q.C. , in relazione alla lesione della sua capacità lavorativa, sofferta in occasione di un sinistro occorso nell' OMISSIS fra l'autovettura del marito, su cui si trovata trasportata e quella condotta da P.S. e di proprietà di P.E. aveva, all'esito di una c.t.u., condannato i P. al pagamento della somma di Euro 25.000,00 oltre interessi legali dal gennaio del 2006. § 2. Avverso la sentenza della Corte anconetana hanno proposto ricorso i P. affidandolo a tre motivi. § 3. L'I.N.P.S. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione § 1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 1 Legge 222/1984, art. 1916 c.c. e art. 14 Legge 222/1984 in relazione all'art. 360, numero 3 c.p.c. . L'illustrazione del motivo si diffonde dalla pagina 7 sino alle prime sei righe della pagina 14 e si articola con le seguenti deduzioni a l'art. 1 della l. numero 222 del 1984 esige per il riconoscimento dell'assegno di invalidità nell’ambito dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti che l'assicurato abbia visto ridotta la propria capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale a meno di un terzo b nella specie l'I.N.P.S. aveva riconosciuto alla Q. l'assegno e glielo aveva erogato, in quanto aveva reputato raggiunta la percentuale necessaria secondo il disposto legislativo, mentre i qui ricorrenti avevano contestato detta valutazione ma senza entrare nel merito del rapporto assicurativo, cioè senza contestare la possibilità per la Q. di conseguire il detto assegno, bensì, molto più specificamente” quanto alla sussistenza, in capo alla medesima, di una misura di invalidità tale, in termini strettamente quantitativi, da rendere accoglibile la sua istanza” c i ricorrenti non avrebbero mai negato che la Sig.ra Q.C. sia una lavoratrice dipendente dell'industria calzaturiera e che sia soggetta all'assicurazione obbligatoria per invalidità vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, gestita dall'INPS”, bensì che le pur gravi lesioni da essa patite fossero tali da giustificare la concessione dell'assegno ordinario di invalidità da parte dell'Istituto assicuratore” d detta contestazione era giustificata per il fatto che la c.t.u espletata in primo grado aveva accertato una perdita della capacità lavorativa soltanto di 1/6 e, dunque, ben lontana dalla percentuale ritenuta necessaria dal citato art. 1 della l. numero 222 del 1984 e la Corte territoriale avrebbe travisato il senso della contestazione così prospettata dai ricorrenti, ritenendo erroneamente che essi avessero inteso contestare l'esistenza, l'efficacia ed il contenuto del rapporto assicurativo” f la Corte territoriale avrebbe, inoltre, frainteso la sentenza di questa Corte numero 6797 del 2003, ai cui principi ha dichiarato di conformarsi infatti, ad avviso dei ricorrenti, in essa sarebbe stata in contestazione l'esistenza stessa del rapporto assicurativo, che invece nel caso in esame i ricorrenti non avevano messo in discussione. § 1.1. Il motivo è manifestamene infondato. Va premesso che il primo giudice pur avendo agito l'I.N.P.S. in surrogazione per l'intero ammontare della prestazione erogata all'assicurata ai sensi della l. numero 222 del 1984, all'esito della c.t.u. espletata, che aveva accertato una perdita della capacità lavorativo pari ad un sesto e, dunque, inferiore a quella giustificativa dell'erogazione previdenziale aveva considerato fondata la domanda dell'I.N.P.S. solo nei limiti della perdita e, quindi, del danno, accertati dalla c.t.u La Corte territoriale, di fronte alla prospettazione degli appellanti e qui ricorrenti, che si sostanziava nell'assunto ora ribadito con il motivo in esame che la domanda dovesse invece rigettarsi totalmente per difetto dei presupposti di erogazione della prestazione previdenziale, ha condiviso l'avviso della sentenza di primo grado, sicché nella specie la surroga dell'I.N.P.S. è stata riconosciuta solo nei limiti di quanto corrispondente al danno da perdita della capacità lavorativa specifica accertato in giudizio. § 1.2. Tanto rilevato, il motivo in disparte il rilievo che assume che la Corte anconetana abbia fondato la sua decisione sulla sola evocazione del principio di diritto di cui a Cass. numero 6797 del 2003, mentre, prima di essa la sentenza impugnata ha richiamato Cass. numero 9469 del 2004 e Cass. numero 4688 del 2003 della quale ha riportato il seguente passo motivazionale l'ambito oggettivo del diritto di surrogazione previsto in generale dall'art. 1916 c.c. incontra di regola un duplice limite da un lato, l'importo della somma corrisposta a titolo di indennizzo, dall'altro l'entità del risarcimento dovuto dal responsabile all'assicurato. Ciò significa che di regola l'assicuratore non può ottenere più di quanto abbia pagato e il responsabile non è tenuto a corrispondergli, in via di surrogazione, più di quanto dovrebbe all'assicurato danneggiato. Per quanto concerne il primo di questi limiti obiettivi, è tuttavia la stessa legge a disporre espressamente che, per tutte le prestazioni da essa previste, senza esclusione alcuna, il relativo ammontare sia rapportato, in sede di surroga, al valore capitale e non agli importi in concreto corrisposti, per un periodo più o meno lungo, all'assicurato danneggiato” si risolve in una prospettazione del tutto contraria ai principi così correttamente evocati dalla sentenza impugnata, giacché pretende di leggerli nel senso che, allorquando agisca in surrogazione l'ente previdenziale, sia vietato al danneggiale di contestare l'esistenza del rapporto assicurativo quella che i ricorrenti chiamano esistenza, efficacia e contenuto del rapporto assicurativo per così dire in astratto , ma non invece l'esistenza in concreto, cioè come prestazione che l'ente, procedendo alle valutazioni di sua competenza, in base alla legge regolatrice della provvidenza in favore del danneggiato, ha ritenuto di erogare all'esito del positivo riscontro delle condizioni di legge. Tale prospettazione non trova riscontro nella giurisprudenza di questa Corte e non potrebbe trovarla per l'assorbente ragione che, una volta erogata la prestazione previdenziale, l'ente si surroga nella pretesa creditoria del danneggiato-assicurato verso il danneggiante nella sola dimensione in cui quella pretesa esiste, di modo che, essendo tale dimensione relativa al rapporto in cui è avvenuta la surroga e limitata ad essa, diventa assolutamente irrilevante e non deducibile come ragione di difesa contro la pretesa dell'ente la circostanza che esso abbia erroneamente riconosciuto la prestazione previdenziale al danneggiato ed in ragione di tale riconoscimento si sia surrogato. Invero, la contestazione che il danneggiante, di fronte alla pretesa dell'ente surrogatosi, può svolgere riguarda oltre naturalmente all'essere avvenuta la surrogazione solo il rapporto oggetto di surroga, con la conseguenza che, se quanto pagato dall'ente previdenziale ecceda il danno effettivamente subito tale circostanza avrà rilievo per delimitare il quantum del diritto oggetto di surrogazione. Ciò, non diversamente da come il danneggiarne avrebbe potuto far valere tale l'effettività di tale quantum contro una pretesa eccessiva dello stesso danneggiato. Questi principi trovano piena corrispondenza nella giurisprudenza della Corte. Infatti, Cass. numero 6797 del 2003 ha così statuito La surrogazione ex art. 1916, cod. civ., determina la successione a titolo particolare totale o solo parziale dell'assicuratore nella specie, INAIL nei diritti dell'assicurato verso il terzo responsabile, talché nella relativa azione non viene in considerazione il rapporto assicurativo di carattere pubblicistico concernente gli infortuni sul lavoro, ma soltanto la responsabilità aquiliana dell'autore dell'atto illecito, obbligato a risarcire il danneggiato o, in sua vece, l'assicuratore che gli abbia anticipato l'indennizzo, sicché il responsabile non è legittimato ad opporre all'assicuratore eccezioni concernenti il contenuto del [detto] rapporto, salvo che esse incidano sulla misura del risarcimento del danno cui egli sarebbe tenuto nei confronti del danneggiato.”. In senso conforme, antecedentemente, si era statuito che La surrogazione ex art. 1916 cod. civ. determina la successione a titolo particolare totale o solo parziale dell'assicuratore nei diritti dell'assicurato verso il terzo responsabile, talché nella relativa azione non viene in considerazione il rapporto assicurativo di carattere pubblicistico concernente gli infortuni sul lavoro, ma soltanto la responsabilità aquiliana dell'autore dell'atto illecito, obbligato a risarcire il danneggiato o in sua vece l'assicuratore che gli abbia anticipato l'indennizzo, sicché il responsabile non è legittimato ad opporre all'assicuratore eccezioni concernenti il contenuto del rapporto del rapporto assicurativo, salvo che esse incidano sulla misura del risarcimento del danno cui egli sarebbe tenuto nei confronti del danneggiato.” così Cass. numero 6688 del 1997 . Ancora in precedenza si era espressamente e perfettamente in termini rispetto all'argomentare del ricorso affermato che Il responsabile del danno non è legittimato ad opporre all'I.N.A.I.L., che abbia corrisposto la rendita all'assicurato, l'inesistenza dei presupposti di fatto di tale erogazione, attenendo tale eccezione al contenuto, di rilievo pubblicistico, del rapporto assicurativo, cui è estraneo il soggetto responsabile dell'evento dannoso.” Cass. numero 3667 del 1996 si vedano, ancora prima Cass. numero 2616 del 1995 e numero 6734 del 1991 In fine, si rileva che, a seguito di decisione anteriore alla decisione del presente ricorso, Cass. sez. unumero numero 8620 del 2015, pubblicata nelle more, ha ribadito i su esposti principi, così statuendo La surrogazione ex art. 1916 costituisce una peculiare forma di successione a titolo particolare nel diritto al risarcimento dell'infortunato, che si realizza nel momento in cui l'assicuratore abbia comunicato al terzo responsabile che l'infortunato è stato ammesso ad usufruire dell'assistenza e degli indennizzi previsti dalla legge, al contempo manifestando la volontà di avvalersi della surroga. Nella conseguente azione non ha pertanto rilievo il rapporto assicurativo di carattere pubblicistico concernente gli infortuni sul lavoro, ma soltanto la responsabilità aquiliana dell'autore dell'atto illecito, obbligato a risarcire il danneggiato o l'assicuratore che ne abbia anticipato l'indennizzo, sicché il responsabile non è legittimato ad opporre all'assicuratore eccezioni concernenti il contenuto del rapporto, salvo che esse incidano sulla misura del risarcimento del danno cui egli sarebbe tenuto nei confronti del danneggiato”. Le Sezioni Unite hanno affermato il riportato principio proprio nel rispondere a due quesiti di diritto che suonavano in questi termini a se in caso di azione di surrogazione di cui all'art. 1916 c.c. esperita da un assicuratore, anche sociale, il danneggiante ovvero l'assicuratore di quest'ultimo convenuto per il risarcimento possa validamente proporre, come fatto dall'odierna ricorrente nel presente giudizio, nei confronti del predetto eccezioni relative all'esistenza, validità ed efficacia del rapporto assicurativo in forza del quale è stata esercitata la surroga con particolare riferimento alla circostanza che l'evento per cui è stato corrisposto l'indennizzo non è coperto da garanzia in quanto non compreso tra i rischi assicurati b nonché se sull'assicuratore che agisce in surrogazione ex art. 1916 c.c., incombe ex art. 2697 c.c., l'onere probatorio di dimostrare in giudizio la sussistenza dei presupposti per l'esperimento dell'azione surrogatoria costituiti dal pagamento di un indennizzo in virtù di un rapporto assicurativo esistente, valido ed efficace e relativo ad un evento coperto da garanzia . In modo che, in quanto evocativo proprio di Cass. numero 6797 del 2003, evidenzia l'assoluta mancanza di qualsiasi consistenza del motivo in esame e di validità dell'accusa alla Corte territoriale di avere letto male detta decisione, le Sezioni Unite si sono così espresse È appena il caso di osservare che contrariamente a quanto profilato dalla ricorrente non c'è alcuna contraddizione logico giuridica tra l'escludere che il danneggiante e per esso nel caso di azione ex art. 28 cit. l'assicuratore della R.C.A. possa opporre all'assicuratore che abbia anticipato l'indennizzo al danneggiato eccezioni concernenti il contenuto del rapporto di assicurazione e, nel contempo, nell'ammettere, che la stessa parte possa opporre quelle eccezioni che incidano sulla misura del risarcimento del danno cui essa sarebbe tenuto nei confronti del danneggiato cfr. Cass. numero 6797/2003 cit. . Siffatta affermazione appare, invero, perfettamente congruente con la ricostruzione dell'istituto in termini di successione nel rapporto risarcitorio, con la conseguenza che le eccezioni che il danneggiante o il suo assicuratore per la R.C.A. può opporre all'assicuratore sociale che agisce in surroga sono tutte e sole le eccezioni inerenti al rapporto di danneggiamento che avrebbe potuto far valere nei riguardi del danneggiato ovvero quelle attinenti ai presupposti dell'azione di surroga, come nel caso di non coincidenza dell'oggetto della surroga rispetto al credito che l'assicurato poteva far valere nei confronti del responsabile. È per questa ragione che la ricorrente non ha alcun diritto di porre in discussione l'efficacia ed il contenuto del rapporto assicurativo pubblicistico .”. Il motivo, alla luce di quanto osservato che vale a metter i rilievo la pretestuosità della lettura di Cass. numero 6797 del 203 nel senso che, poiché in essa sarebbe stata in contestazione l'esistenza stessa del rapporto assicurativo, che invece nel caso in esame i ricorrenti non avevano messo in discussione, il principio da essa affermata non riguarderebbe il caso della contestazione nell'an della prestazione previdenziale dev'essere, dunque, rigettato, perché appare manifestamente infondato. Ciò alla stregua della formula decisoria indicata da Cass. sez. unumero numero 19051 del 2010 per l'inammissibilità formale di cui all'art. 360-bis numero 1 c.p.c. § 2. Con il secondo motivo si prospetta contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, numero 5, c.p.c. . § 2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto dichiara di evocare un paradigma dell'art. 360 c.p.c. che non è quello applicabile al ricorso infatti vi si fa riferimento ad una contraddittorietà di motivazione circa un punto decisivo della controversia, così evocandosi l'art. 360 numero 5 nel testo anteriore alla modifica di cui al d.lgs. numero 40 del 2006, che, com'è noto, introdusse in esso il riferimento invece al fatto controverso . Ebbene, l'accesso alla Corte di cassazione con la formale prospettazione di un motivo che non corrisponde al paradigma normativo con cui la Corte può essere sollecitata ad intervenire per ciò solo evidenzia secondo un principio di comune esperienza per cui, se si dichiara di voler illustrare un vizio secondo una certa norma, l'attività argomentativa dovrebbe corrispondere ad esso una ragione di inammissibilità, perché il motivo proposto è dichiaratamente privo di riscontro nella norma che regola l'impugnazione in sede di legittimità. § 2.2. Peraltro, se si superasse tale rilievo e si procedesse alla sua lettura come se il motivo avesse inteso alludere ad una contraddittorietà della motivazione riguardo ad un fatto controverso nei termini del numero 5 introdotto dal d.lgs. numero 40 del 2006 , il motivo non rivelerebbe alcuna direzione effettiva riguardo ad un fatto di tal genere. Vi si denuncia, infatti, una pretesa contraddittorietà della motivazione della sentenza d'appello, perché nel rispondere alla critica che i ricorrenti avevano rivolto alla decisione di primo grado per essersi basata sulla c.t.u., là dove essa, dopo aver dato atto che i criteri adoperati dall'I.N.P.S. per il riconoscimento della prestazione previdenziale si basavano su principi medico legali e c.d. baremes diversi da quelli applicabili alla fattispecie in sede civilistica, aveva proceduto all'accertamento secondo questi ultimi della perdita di capacità lavorativa dando rilievo alla valutazione alla stregua di essi della c.t.u. avrebbe ritenuto corretta la valutazione del primo giudice che aveva riconosciuto la fondatezza della domanda dell'I.N.P.S. nei limiti della perdita accertata dal c.t.u. proprio in base ai criteri de quibus . La contraddittorietà viene motivata p. 31 del ricorso in questi termini orbene, delle due l'una o la CTU espletata viene accolta nelle conclusioni della Corte territoriale e allora non vi è perdita di capacità lavorativa superiore ai 2/3 e quindi la domanda dell'INPS deve essere rigettata oppure tali conclusioni non possono essere accolte perché l'elaborato è stato redatto sulla base di principi disomogenei rispetto alla peculiare fattispecie, ma allora in tal caso, la Corte di Appello avrebbe dovuto spiegare in che modo l'elaborato risultasse comunque idoneo a fondare la pretesa dell'INPS. Ciò non è affatto accaduto ed anzi la Corte di Appello, pur ritenendo per un verso che i principi medico legali sulla base dei quali è stata redatta la CTU non siano paragonabili a quelli da utilizzare nel caso di assegno di invalidità, ha poi utilizzato le risultanze della medesima CTU per calcolare le somme che i Sigg.ri P. dovrebbero versare all'INPS”. § 2.2.1. La lettura di questo che dovrebbe costituire il riassunto del motivo, che pure si estende dalla pagina 14 sino alle prime due righe della 33, è sufficiente non solo per confermare che non si tratta di motivo evocante un fatto controverso, ma anche e comunque per evidenziare l'assoluta inconsistenza della pretesa contraddittorietà motivazionale di apprezzamento della c.t.u. ed il tentativo di recuperare in definitiva la stessa doglianza svolta con il primo motivo, in quanto è palese che si addebita alla Corte territoriale di avere utilizzato, ribadendo l'avviso del primo giudice, le risultanze della c.t.u. per l'individuazione della perdita della capacità lavorativa per riconoscere in proporzione la fondatezza della domanda di surroga, ancorché la stessa c.t.u. avesse ritenuto che, sul piano civilistico, la perdita della capacità apprezzata dall'I.N.P.S. ai fini del riconoscimento della prestazione non fosse corretta. In tal modo si vorrebbe dire che quest'ultima valutazione avrebbe dovuto ritenersi decisiva per rigettare la domanda in toto e, dunque, si torna alla prospettazione del primo motivo. Tanto è sufficiente per rigettare il secondo motivo non senza che si debba rilevare che in esso non si coglie alcuna critica alla valutazione della perdita di capacità specifica effettuata dalla c.t.u. secondo i criteri civilistici. § 3. Con il terzo motivo si fa valere contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 numero 5 c.p.c. . § 3.1. Anche tale motivo, non evocando il fatto controverso , bensì il punto , è inammissibile perché non corrisponde al paradigma dell'art. 360 numero 5 c.p.c. applicabile al ricorso. § 3.2. In ogni caso, nella prima parte presenta una illustrazione che nuovamente ripropone il problema di come, sulla base della c.t.u., si siano potuti ritenere esistenti i parametri della l. numero 222 del 1984, assumendo che la Corte territoriale avrebbe disatteso la c.t.u., là dove essa aveva negato che essi sussistessero si veda la pag. 33 e la seguente. In tal modo il motivo, non solo attribuisce alla sentenza impugnata la responsabilità di avere disatteso la c.t.u. riguardo a quella valutazione, mentre essa, come il primo giudice, ha fatto il contrario, ma nuovamente ripropone in modo del tutto pretestuoso la stessa manifestamente infondata questione prospettata con il primo motivo e già riproposta sotto diverse spoglie nel secondo motivo . Nella seconda parte dell'illustrazione, dopo aver premesso una serie di considerazioni su quelli che sarebbero i parametri per il riconoscimento della prestazione ai sensi della l. numero 22 del 1984, così nuovamente mostrando di collocarsi su un piano argomentativo privo di rilevanza, fa, a pag. 39, un generico riferimento alla c.t.u. senza rispettare l'art. 366 numero 6 c.p.c. cioè senza riprodurre la parte di essa cui intende riferirsi e nemmeno indicandola nel documento, riprodotto nell'illustrazione del motivo precedente, così costruendo la Corte a ricercarla di sua iniziativa, con il rischio di non trovare quello cui i ricorrenti intenderebbero riferirsi e, quindi, riproduce con la premessa malgrado ciò , assumendo che la Corte territoriale lo avrebbe fatto proprio, un passo della motivazione della sentenza di primo grado che effettivamente si trova riprodotto nella sentenza di appello, facendolo poi seguire da altro direttamente enunciato da essa. In tal modo, l'argomentare si basa sulla sentenza di primo grado, ma non indica se e dove essa sarebbe esaminabile in questo giudizio di legittimità, con ulteriore violazione dell'art. 366 numero 6 c.p.c Non solo dopo la riproduzione svolge rilievi critici evocando del tutto genericamente il materiale probatorio dell'istruttoria svoltasi nei precedenti gradi di giudizio, nuovamente in violazione della detta norma. Inoltre, omette di riprodurre direttamente od indirettamente il motivo di appello cui si correlerebbe il vizio motivazionale. Ancora dopo la parte riprodotta della motivazione della sentenza impugnata, la Corte territoriale ha svolto ampia argomentazione a condivisione dell'avviso del primo giudice, tra l'altro riproducendo un ampio passo della sua motivazione e, quindi, argomentando le ragioni della condivisione. Il motivo ignora totalmente tutto ciò. Ed a pagina 41 evoca nuovamente la c.t.u. senza indicare, in ulteriore violazione dell'art. 366 numero 6 c.p.c., senza riprodurre le parti di essa cui intenderebbe riferirsi ed anzi nuovamente evocando la prospettiva di un inammissibile apprezzamento ai sensi della l. numero 22 del 1984. V'è poi da rilevare che nella penultima pagina la sentenza impugnata si è ampiamente soffermata su un motivo di appello con cui gli appellanti e qui ricorrenti si erano doluti che il c.t.u avesse espresso le sue valutazioni senza poter visitare la Q. . Dell'ampia argomentazione svolta dalla sentenza -ancorché ad abundantiam dato che la stessa sentenza aveva sostanzialmente rilevato la violazione da parte del motivo esaminato dell'art. 342 c.p.c., come emerge dall'affermazione della mancanza di specifica doglianza . in ordine alla valutazione espressa dall'ausiliare sulla base degli elementi dallo stesso illustrati i ricorrenti si disinteressano completamente. Il motivo risulta dunque inammissibile anche per le ragioni così aggiuntivamente esposte. § 4. Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. numero 55 del 2014. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro quattromiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.