Trattativa tra le società per il mandato ad un consorzio: per la convenzione di arbitrato non serve una firma speciale

In base al testo dell’art. 1341 c.c., un contratto è qualificabile per adesione solo quando sia destinato a regolare una serie indefinita di rapporti e sia stato predisposto unilateralmente da un contraente. Perciò, questa ipotesi non ricorre se risulta che il negozio sia stato concluso mediante trattative intercorse tra le parti.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 7605, depositata il 15 aprile 2015. Il caso. La Corte d’appello di Milano rigettava l’impugnazione proposta da una s.r.l. contro il lodo arbitrale che, in accoglimento della domanda di un consorzio con attività esterna, aveva condannato la s.r.l. al pagamento di una somma di denaro. Secondo i giudici territoriali, la convenzione di arbitrato contenuta nel contratto di mandato conferito dalla società al consorzio non richiedeva una specifica approvazione per iscritto ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. il mandato commerciale era destinato ai soggetti consorziati ed era stato da loro elaborato ed approvato, anche se muovendo da un modello predisposto dal consorzio. A dimostrarlo erano le concrete modalità di svolgimento di una riunione fissata proprio per la discussione, nonostante il testo iniziale non avesse subito modifiche ed alcune imprese consorziate non avessero partecipato alla riunione. Inoltre, la Corte riteneva che la disciplina degli artt. 1341 e 1342 c.c. presuppone un contrasto di interessi non ravvisabile nel caso di specie, in quanto il mandato commerciale era attuativo di un sottostante rapporto consortile caratterizzato dalla comunione di scopo. La s.r.l. ricorreva in Cassazione, deducendo l’invalidità e l’inefficacia della clausola compromissoria, per difetto di specifica approvazione. Trattative tra le parti. La Corte di Cassazione ricorda che, secondo l’art. 1341 c.c., un contratto è qualificabile per adesione solo quando sia destinato a regolare una serie indefinita di rapporti e sia stato predisposto unilateralmente da un contraente. Perciò, questa ipotesi non ricorre se risulta che il negozio sia stato concluso mediante trattative intercorse tra le parti. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano basato la propria decisione sul fatto che il testo contrattuale del mandato commerciale contenente la clausola compromissoria non era il risultato di una predisposizione unilaterale da parte del consorzio, in quanto esprimeva il frutto di un’analisi, di discussione o negoziazione tra le parti. Questo accertamento era fondato sulla documentata pluralità di testi contrattuali non definitivi e sull’esistenza di una riunione organizzata proprio per la discussione della regolamentazione negoziale. A fronte di questa ricostruzione, non emergevano dati contrastanti. Comunanza di interessi. Inoltre, sottolineano gli Ermellini, questa ricostruzione è corroborata proprio dall’esame della natura dei rapporti economici esistenti tra il consorzio e le imprese consorziate che, al di là degli schemi giuridici adoperati , si traduce in una comunanza di interessi rispetto all’operazione realizzata la limitazione negoziale della libertà delle imprese per il conseguimento di vantaggi derivanti dal maggiore potere contrattuale del consorzio rispetto ai terzi, derivante dall’unitaria gestione dei rapporti. Nessuna imposizione. Proprio la comunanza di interessi veniva valorizzata dai giudici di merito per rilevare come fosse arduo ipotizzare che il testo del mandato commerciale sia stato frutto di imposizione dal consorzio mandatario ai propri consorziati mandanti . Per la Cassazione, si tratta di una valutazione che non si pone in contrasto con quanto disposto dagli artt. 1341 e 1342 c.c., in quanto il carattere concordato del testo presuppone una fase libera di trattative sul contenuto dell’accordo, quale che sia l’autore dello schema di lavoro e quali che siano poi le concrete scelte negoziali assunte dalle parti e lo specifico attivismo nell’attuazione delle stesse. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 14 gennaio – 15 aprile 2015, n. 7605 Presidente Salvago – Relatore De Marzo Svolgimento del processo Per quanto ancora rileva, con sentenza depositata in data 12 maggio 2011 la Corte d'appello di Milano ha rigettato l'impugnazione proposta dalla C. O s.r.l. avverso il lodo arbitrale che, accogliendo la domanda proposta da C., consorzio con attività esterna, aveva condannato la società al pagamento della somma di euro 90.000. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha ritenuto che la convenzione di arbitrato contenuta nel contratto di mandato conferito dalla società al consorzio non richiedesse una specifica approvazione per iscritto, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 cod. civ., in quanto a il mandato commerciale era destinato ai soggetti consorziati ed era stato da loro elaborato ed approvato, sia pure muovendo da un modello predisposto da C., come dimostrato dalle concrete modalità di svolgimento della riunione fissata il 25 febbraio 2005 per la discussione e ciò a prescindere dal fatto che il testo iniziale non avesse subito modifiche o che qualche impresa consorziata non avesse ritenuto di partecipare alla riunione b la disciplina dettata dagli artt. 1341 e 1342 cod. civ., presuppone un contrasto di interessi non ravvisabile nel caso di specie, giacché il mandato commerciale era attuativo di un sottostante rapporto consortile caratterizzato dalla comunione di scopo. Quanto al profilo di censura, con il quale si lamentava la violazione del principio del contraddittorio, per avere il collegio arbitrale trascurato le risultanze delle prove testimoniali tendenti ad escludere l'esistenza di danni, per fondare la decisione su un fatto per nulla notorio l'ineludibilità del discredito commerciale sofferto dal consorzio per il recesso, contemporaneo e anticipato, di più imprese consorziate , la Corte territoriale ha rilevato che si trattava di doglianze concernenti la valutazione delle risultanze istruttorie e non di un error in iudicando. 2. Avverso tale sentenza la C. O s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste con controricorso il Consorzio C La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ. Motivi della decisione 1. Con i primi due motivi, che la stessa ricorrente tratta unitariamente, si denunciano, rispettivamente a la violazione e falsa applicazione degli artt. 829, comma primo, n. 1, cod. proc. civ., 1341, 1342, 2697 cod. civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio b la violazione delle regole sulla competenza. In particolare, la ricorrente torna a sostenere l'invalidità e l'inefficacia della clausola compromissoria, per difetto di specifica approvazione, rilevando a che alla riunione del 25 febbraio 2005, nella quale si esaminarono le richieste di modifica che il consorzio aveva ricevuto rispetto a due delle clausole riportate nel testo originario, le imprese parteciparono come consorziate e non come mandanti, al fine di individuare la regolamentazione che il consorzio avrebbe adottato per la disciplina dei propri futuri rapporti con le imprese aderenti b che la tesi della contrapposizione di ruoli rivestiti dalle imprese, consorziate e mandanti, era stata immotivatamente disattesa dalla Corte territoriale, nonostante la chiara distinzione sul piano giuridico e il fatto che una decisione a maggioranza avrebbe avuto senso solo in relazione ad una questione interna al consorzio c che tale conclusione era corroborata dal fatto che, all'esito della riunione, erano stati cambiati tutti i moduli proposti dal consorzio, ivi incluso quello relativo alla società C. O, che all'indicata riunione non aveva partecipato d che la tesi recepita dalla Corte territoriale, secondo la quale gravava sulla società ricorrente l'onere di dimostrare che la discussione riguardava soltanto alcune clausole e non l'intero testo contrattuale non era rispondente al dettato normativo, giacché, una volta appurato che si è di fronte, come nel caso di specie, ad un modulo predisposto da una parte per regolare in modo uniforme più rapporti, spetta a colui che intenda avvalersi di tale clausola di provare il fatto impeditivo dell'intervenuta negoziazione e che comunque nessuna implicita volontà di rinuncia alle trattative poteva essere attribuita alla ricorrente, che non risultava fosse stata invitata a partecipare alla riunione e la cui contraria volontà sarebbe comunque stata superata da quella della maggioranza f che, infine, la Corte territoriale, ritenendo inapplicabili gli artt. 1341 e 1342 cod. civ., in quanto il mandato del quale si tratta era attuativo di un sottostante rapporto consortile caratterizzato dalla comunione di scopo, aveva, per un verso, omesso di considerare che il collegamento negoziale lascia inalterata l'autonomia causale dei singoli negozi e, per altro verso, contraddittoriamente negato l'esistenza di un contrasto di interessi, salvo poi applicare gli istituti della risoluzione del contratto e del risarcimento del danno, che tale contrasto presuppongono. Il motivo di ricorso è infondato. Come risulta inequivocamente dal testo dell'art. 1341 cod. civ. e come riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, un contratto è qualificabile per adesione solo quando sia destinato a regolare una serie indefinita di rapporti e sia stato predisposto unilateralmente da un contraente. Ne consegue che tale ipotesi non ricorre quando risulta che il negozio è stato concluso mediante trattative intercorse tra le parti Cass., sez. 3, sentenza del 19 maggio 2006, n. 11757 Cass., sez. 3, sentenza del 30 gennaio 2008, n. 2110 . Il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale muove appunto dalla premessa rappresentata dal fatto che il testo contrattuale del mandato commerciale contenente la clausola compromissoria non era il risultato di una unilaterale predisposizione da parte del Consorzio, in quanto esprimeva il frutto di un'analisi, discussione o negoziazione tra le parti. Tale accertamento si fonda sia sulla documentata pluralità di testi contrattuali non definitivi, sia sull'esistenza di una riunione destinata dalla discussione della regolamentazione negoziale. In tale prospettiva, il rilievo secondo il quale non risultava l'esistenza di prova contraria a tale conclusione, va apprezzato, al di là del riferimento alla distribuzione degli oneri probatori, esattamente nei termini in cui è formulato, ossia nel senso che non emergevano dati contrastanti con la ricostruzione operata. Del resto, quest'ultima è corroborata, nel complesso motivazionale della sentenza impugnata, proprio dall'esame della natura dei rapporti economici esistenti tra il consorzio e le imprese consorziate, che, al di là degli schemi giuridici adoperati, si traduce in una comunanza di interessi rispetto alla operazione realizzata limitazione negoziale della libertà delle imprese al fine di conseguire i vantaggi derivanti dal maggiore potere contrattuale del consorzio rispetto ai terzi, derivante dall'unitaria gestione dei rapporti . Quest'ultimo rilievo è, infatti, valorizzato dalla Corte d'appello proprio per rilevare come fosse arduo ipotizzare che il testo del mandato commerciale sia stato frutto di imposizione dal consorzio mandatario ai proprio consorziati mandanti . Siffatta unitaria valutazione, per un verso, non si espone ad alcuna censura di insufficienza o contraddittorietà motivazionale e, per altro verso, non collide in alcun modo con il dettato degli artt. 1341 e 1342 cod. civ., in quanto, all'evidenza, il carattere concordato del testo presuppone una fase libera di trattative sul contento dell'accordo, quale che sia l'autore dello schema di lavoro e quali che siano poi le concrete scelte negoziali assunte dalle parti e lo specifico attivismo nell'attuazione delle stesse. Deve aggiungersi, con riferimento alla specifica posizione della ricorrente, che il mancato invito alla riunione del 25 febbraio 2005 è questione che non è dedotta come prospettata in sede di merito e che, del pari, la deduzione relativa alla necessaria soccombenza rispetto alla contraria volontà della maggioranza muove da una premessa in fatto che è puramente assertiva, non emergendo alcun dissenso della C. O s.r.l. 2. Con il terzo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 829, comma primo, n. 9, 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sottolineando che la prova dell'esistenza e dell'entità del danno era stata ritenuta raggiunta dal collegio arbitrale attraverso l'introduzione, sottratta al principio del contraddittorio, di un elemento nuovo, rappresentato dal fatto notorio dell'evidenza del discredito commerciale sofferto dal consorzio, che, tuttavia, non possedeva i necessari caratteri di ineludibilità e incontestabilità, secondo quanto era emerso da tutte le risultanze istruttorie acquisite. Il motivo è infondato. Le massime o nozioni di comune esperienza, da intendersi come proposizioni di ordine generale tratte dalla reiterata osservazione dei fenomeni naturali o socioeconomici, costituiscono regole di giudizio di carattere generale, derivanti dall'osservazione reiterata di fenomeni naturali e socioeconomici di cui il giudice è tenuto ad avvalersi, in base all'art. 115 cod. proc. civ., come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove che l'argomentazione di tipo presuntivo Cass., sez. 2, sentenza dei 4 ottobre 2011, n. 20313 nello stesso senso, v. Cass., sez. 3, sentenza del 28 ottobre 2010, n. 22022, la quale ha precisato che il mancato ricorso, da parte dei giudice del merito, a dette massime, in quanto interferente sulla valutazione del fatto, è suscettibile di essere apprezzato sotto il profilo del vizio della motivazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. . Nella specie, le considerazioni svolte dal lodo, quanto al fatto che la capacità contrattuale, ossia il potere negoziale di una centrale di acquisti, come il consorzio C., si pone in relazione all'entità del fatturato aggregato esprime un principio desunto dall'analisi della realtà economica e, può aggiungersi confermato proprio dalle modalità negoziali che i vari consorziati avevano scelto per garantire uniformità di gestione nei rapporti con i produttori e gli altri fornitori il dato è rilevato dalla stessa ricorrente che richiama il punto 4.1., lett. b secondo trattino dello statuto consortile che la medesima ricorrente riconosce esistente, sia pure come macro - principio, limitandosi a contestare che una modesta variazione dei fatturato comporti sicuramente una variazione di immagine o di trattamento. Ma proprio questa puntualizzazione dimostra che, attraverso il mezzo di gravame proposto dinanzi alla Corte territoriale, la ricorrente aspirava appunto a censurare la valutazione delle risultanze istruttorie, condotta dal collegio arbitrale alla luce dell'indicata massima d'esperienza, ossia inammissibilmente a introdurre, attraverso la formale doglianza della violazione dei principio del contraddittorio, motivi di nullità non previsti dall'art. 829 cod. proc. civ. 3. In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese dei giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie e accessori di legge.