Il cliente che contesta la parcella non rende l’interrogatorio formale? Ammessi i fatti dedotti dal professionista

Ove il cliente intenda contestare la parcella del professionista, le sue obiezioni non possono essere generiche ma devono riguardare specificamente le singole voci, giacché, in caso contrario, queste dovranno ritenersi provate in fatto inoltre, ove il cliente non risponda all’interrogatorio formale o non vi si presenti, ai sensi dell’art. 232 c.p.c. il Giudice potrà ritenere ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio, valutato anche ogni altro elemento di prova, ivi compreso la mancata proposizione di richieste istruttorie in senso contrario, nonostante il termine accordato in tal senso.

La sez. II della Corte di Cassazione con la pronuncia n. 25642, depositata il 4 dicembre 2014, affronta un caso occorso in materia di contratto d’opera professionale conferito ad un commercialista per l’assistenza nelle trattative di compravendita di un immobile. La disputa tra le parti sorge allorché il professionista richiede al cliente la corresponsione della parcella, ritenuta incongrua perché sostanzialmente contemplante anche attività non richieste. Il fatto. Un commercialista citava in Tribunale un cliente onde sentirlo condannare al pagamento della parcella per l’espletata attività di assistenza nelle trattative di compravendita di un immobile, per la quale non gli era stato corrisposto il compenso. Costituitosi in causa il cliente deduceva che il professionista non avesse espletato tutte le attività contemplate nella parcella e che in ogni caso lo stesso avesse anche eseguito prestazioni che esulavano dall’incarico professionale ricevuto, quest’ultimo limitato all’assistenza per la redazione di una convenzione per la vendita di un immobile. La domanda era accolta in primo grado e confermata in appello. La pronuncia della Corte territoriale evidenziava come la mancata risposta del cliente all’interrogatorio formale comportasse il riconoscimento dell’esecuzione di tutte le prestazioni elencate nella parcella, ed inoltre, sulla decisione incideva anche la mancata contestazione della congruità degli importi riferiti alle singole prestazioni. Avverso la pronuncia del Giudice di Appello il soccombente proponeva ricorso per cassazione. Il difetto di autosufficienza del ricorso. Egli contestava i vizi di omessa motivazione in ordine al difetto di corrispondenza tra l’incarico conferito al commercialista, l’attività dallo stesso espletata e la parcella richiesta. L’ulteriore censura riguardava l’accoglimento della domanda sulla scorta dell’art. 232 c.p.c., in ragione del quale i Giudici avevano ritenuto come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio. Gli Ermellini evidenziavano come il ricorrente, di fatto, censurasse il giudizio di fatto. I motivi di gravame erano entrambi rigettati anche sulla scorta del difetto di autosufficienza del ricorso per cassazione il ricorrente non aveva infatti riportato il testo della parcella emessa dal commercialista, il testo delle dichiarazioni dei testi escussi, onde consentire alla Corte di riscontrare le sue prospettazioni, in particolare quella relativa alla mancata emissione di parcella analitica con indicazione degli importi richiesti per ogni singola prestazione, onde consentire di verificare la rispondenza tra l’incarico conferito e l’attività espletata. L’equiparazione della parcella al rendiconto. Inoltre i Giudici di Legittimità evidenziavano come in materia di contratto d’opera la parcella del difensore sia equiparata al rendiconto, ragion per cui le obiezioni del cliente, lungi dall’essere generiche, devono invece riguardare le singole voci, tale che l’obbligo del professionista di provare la fondatezza delle sue pretese, sorge solo in caso di contestazione, giacché, diversamente, restano provate nella loro fondatezza di fatto. L’ammissione dei fatti dedotti nell’interrogatorio formale. Inoltre, la mancata risposta del ricorrente alle domande poste in sede d’interrogatorio formale, ai sensi dell’art. 232 c.p.c. consente al Giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio, valutato ogni altro elemento di prova, che nel caso di specie sussisteva posto che il ricorrente, nel corso delle cause di merito, non aveva proposto prove in senso contrario né formulato, nei termini accordata dal Giudice, istanze istruttorie in tal senso. Concludendo. In questa vicenda la Corte di Cassazione riteneva che nessun elemento impedisse al Giudice di seconde cure di ritenere corretta la parcella riflettente appieno, in virtù del ragionamento logico giuridico seguito, l’ambito dell’incarico ricevuto dal professionista. Per queste ragioni il ricorso era rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 ottobre – 4 dicembre 2014, n. 25642 Presidente Bursese - Relatore Abete Svolgimento del processo Con atto notificato in data 27.1.1994 il dottore commercialista Z.G. citava a comparire innanzi al tribunale di Verona G.E. . Esponeva che nel periodo compreso tra il 26.1.1989 ed il 30.6.1990 aveva svolto in favore del convenuto attività professionale di assistenza nelle trattative di compravendita di un immobile sito in S. Pietro in Cariano che nondimeno il convenuto non aveva provveduto alla corresponsione del compenso. Chiedeva pertanto che G.E. fosse condannato a corrispondergli l'importo di L. 7.851.085 a titolo di corrispettivo come da parcella pro forma n. 243 del 10.12.1990. Costituitosi, il convenuto invocava il rigetto dell'avversa pretesa. Deduceva, tra l'altro, che non erano state eseguite dal professionista tutte le attività elencate nella parcella, o comunque queste esulavano o non erano pertinenti all'incarico conferitogli , giacché limitato a l'assistenza per la redazione di una convenzione per la vendita di un immobile così sentenza d'appello, pag. 3 . All'esito dell'istruttoria, con sentenza n. 3250/2002 il tribunale di Verona accoglieva la domanda e condannava il convenuto a pagare all'attore la somma di Euro 4.101,66, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, nonché a rimborsargli le spese di lite. Interponeva appello G.E. . Resisteva Z.G. . Con sentenza n. 138/2008 la corte d'appello di Venezia rigettava il gravame e condannava l'appellante a rimborsare all'appellato le spese del grado. Esplicitava la corte distrettuale che, in considerazione degli esiti della prova testimoniale e della mancata risposta dell'appellato all'interrogatorio formale a lui deferito, doveva ritenersi ammessa l'esecuzione da parte dello Z. di tutte le prestazioni elencate nella parcella così sentenza d'appello, pag. 5 pro forma n. 243 del 10.12.1990 che, quanto alla misura del compenso, in primo grado il convenuto, dopo la produzione analitica della parcella, non ha contestato la congruità degli importi riferiti alle singole prestazioni, avendo contestato soltanto il numero e l'effettuazione di tali prestazioni ed incontri così sentenza d'appello, pag. 5 . Avverso tale sentenza G.E. ha proposto ricorso a questa Corte di legittimità ne chiede la cassazione sulla scorta di tre motivi con ogni susseguente statuizione in ordine alle spese di lite. Z.G. ha depositato controricorso ha chiesto rigettarsi l'avverso ricorso con il favore delle spese del grado di legittimità. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente deduce omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. omessa valutazione della mancata corrispondenza tra l'incarico affidato, l'attività espletata dal Dott. Z. e la parcella esposta così ricorso pag. 4 . Adduce che ha sempre contestato la rispondenza tra l'incarico conferito e la asserita attività professionale espletata così ricorso pag. 5 che propriamente intendeva avere dal Dott. Z. unicamente una consulenza in merito alla fattibilità di un'operazione commerciale, mentre non ha mai chiesto che il Dott. Z. procedesse alla concreta predisposizione di una o più bozze di convenzione, né che venissero interessati alla questione dei collaboratori esterni così ricorso pag. 6 che nessuna delle due sentenze rese nel merito ha speso alcuna motivazione, neppure implicita, in merito a tale aspetto così ricorso pag. 5 che non è stata raggiunta alcuna prova in merito alla rispondenza tra l'attività svolta dal Dott. Z. e l'incarico conferito dall'odierno ricorrente così ricorso pag. 5 , che, del resto, dai documenti allegati dalla medesima controparte risultava che l'immobile di sua proprietà era oggetto di procedure esecutive che tale circostanza, pacifica, non contestata, era idonea sin dall'origine a precludere la possibilità di addivenire alla cessione del bene e, pertanto, rendeva inutile sin dall'inizio qualsiasi trattativa e così la predisposizione delle bozze dei contratti delle quali il Dott. Z. ha richiesto il pagamento così ricorso pag. 8 che, pertanto, le varie voci indicate nella parcella pro forma n. 243 del 1990 relative ad asserite sedute e scambi di corrispondenza avrebbero dovuto essere considerate unicamente come frutto di una autonoma iniziativa da parte del Dott. Z. ed il cui pagamento di certo non poteva e non doveva esser richiesto così ricorso pag. 8 che la partecipazione del Dott. Z. , indicata nella nota pro forma analitica in n. 8 sedute, di fatto si è esaurita in complessivi tre incontri così ricorso pag. 9 . Con il secondo motivo il ricorrente deduce insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione ex art. 360 n. 3 in riferimento alla falsa ed errata applicazione delle norme fondamentali in ordine all'onere probatorio ex art. 2697 c.c. e dell'art. 232 c.p.c. così ricorso pag. 10 . Adduce che la corte di merito ha ritenuto di accogliere la domanda di parte attrice, richiamandosi al disposto dell'art. 232 c.p.c. così ricorso pag. 10 che, nondimeno, non si può certo sostenere che sia stata raggiunta la prova in merito alla specifica circostanza, sempre contestata che al Dott. Z. sia stato conferito specifico mandato per l'espletamento dell'attività che assume di aver compiuto così ricorso pag. 11 . Con il terzo motivo il ricorrente deduce richiesta di pronunciato ex art. 384 c.p.c. così ricorso, pag. 12 . Adduce che si ritiene altresì che il presente ricorso, in caso di accoglimento, non richiedendo ulteriori accertamenti, possa essere deciso nel merito, trattandosi di mera decisione di diritto, e riguardando esclusivamente l'interpretazione di norme di diritto così ricorso pag. 12 . Si giustifica la disamina simultanea dei primi due motivi. E ciò tanto più che pur il secondo motivo si specifica e si qualifica essenzialmente - se non esclusivamente - in relazione alla previsione del n. 5 del 1 co. dell'art. 360 c.p.c Invero, con esso il ricorrente censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso il giudice di seconde cure, pur in assenza di elementi certi di valutazione, vuoi prove, vuoi indizi oggettivamente accertati e considerati, ha ciononostante richiamato l'art. 232 c.p.c., per fondare un convincimento, che tuttavia appare una motivazione che rimane disancorata dal materiale probatorio in atti così ricorso, pag. 10 d'altro canto, è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360, 1 co., n. 5 , c.p.c. che concerne l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054 cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un 'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l'allegazione di un 'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo dette risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione lo scrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa . Entrambi i motivi, in ogni caso, sono immeritevoli di seguito. Si rileva, ante omnia, che difetta del tutto l'assolvimento dell'onere di cui alla seconda parte dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al caso di specie cfr. Cass. sez. un. 1.10.2007, n. 20603, secondo cui, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l'entrata in vigore del dec. lgs. 2.2.2006, n. 40, ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiché secondo l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall'art. 360 n. 5 c.p.c., l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi omologo del quesito di diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità nella specie, la S.C. ha ritenuto che il motivo non era stato correttamente formulato, in quanto la contraddittorietà imputata alla motivazione riguardava punti diversi della decisione, non sempre collegabili tra di loro e comunque non collegati dal ricorrente . Si rileva, inoltre, che, in ossequio al canone di cosiddetta autosufficienza del ricorso per cassazione, quale positivamente sancito all'art. 366, 1 co., n. 6 , c.p.c. al riguardo cfr. Cass. 20.1.2006, n. 1113, secondo cui il ricorso per cassazione – in forza del principio di cosiddetta autosufficienza - deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito , ben avrebbe dovuto il ricorrente riprodurre più o meno pedissequamente il testo della parcella emessa dal Dott. Z. e depositata, con la specifica indicazione delle attività, solo in corso di causa così ricorso, pag. 6 , il testo delle dichiarazioni rese dai testimoni escussi così ricorso, pag. 6 e, segnatamente, delle dichiarazioni rese dal teste Za. , il testo dei documenti dimessi da controparte così ricorso, pag. 6 , onde consentire a questa Corte il puntuale vaglio e riscontro delle sue prospettazioni, propriamente dell'assunto della mancata emissione di una parcella che indicasse e specificasse gli importi richiesti per ogni singola attività espletata così ricorso, pag. 4 e, comunque, che fosse tale da consentire la verifica della rispondenza dell'attività che si assume essere stata compiuta rispetto all'incarico conferito così ricorso, pag. 4 . L'inottemperanza, in particolare, al canone dell' autosufficienza tanto più riveste valenza se si tiene conto, per un verso, che la corte di merito ha dato esplicitamente atto che Z.G. in corso di causa ha prodotto la parcella con l'elencazione degli importi specifici applicati per ogni singola prestazione parcella poi esaminata in sede di assunzione delle prove orali così sentenza d'appello, pag. 6 . Se si tiene conto, per altro verso, che questa Corte di legittimità da tempo spiega che la parcella del difensore è assimilabile ad rendiconto in relazione al quale le contestazioni del cliente non possono essere generiche, ma devono riguardare specificamente le singole voci esposte, sorgendo solo in caso di contestazione l'obbligo del professionista di fornire una più appropriata dimostrazione delle sue pretese, le quali, in caso contrario, devono ritenersi provate nel loro fondamento di fatto cfr. Cass. 11.1.1997, n. 242 Cass. 23.7.1979, n. 4409 . A tal riguardo va debitamente posto in risalto che il controricorrente ha rimarcato che G.E. ha lasciato inutilmente decorrere i termini accordati dal giudice di prime cure ai fini dell'articolazione di istanze istruttorie cfr. controricorso, pag. 6 . Se si tiene conto, per altro verso ancora, in tema di interrogatorio formale, che l'inciso contenuto nell'art. 232 c.p.c. - secondo il quale il giudice può ritenere ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio se la parte non si presenta o si rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, valutato ogni altro elemento di prova - va interpretato nel senso che la mancata risposta, benché non equivalga ad una confessione, può assurgere a prova dei fatti dedotti secondo il prudente apprezzamento del giudice art. 116 c.p.c. , il quale può trarre elementi di convincimento in tal senso non solo dalla concomitante presenza di elementi di prova indiziaria dei fatti medesimi, ma anche dalla mancata proposizione di prove in contrario cfr. Cass. 19.10.2006, n. 22407 . Altresì, che gli ulteriori vagliandi elementi di prova non devono esser ex se idonei a fornire la prova del fatto contestato - poiché in tal caso, risultando assolto l'onere della prova, sarebbe superflua la considerazione della mancata risposta all'interrogatorio - ma devono soltanto fornir elementi integrativi di giudizio, atti a determinare il convincimento del giudice sui fatti dedotti nell'interrogatorio medesimo cfr. Cass. 22.7.2005, n. 15389 Cass. 29.4.1993, n. 5089 . Infine, che la vantazione del giudice non può essere censurata in sede di legittimità né per violazione di legge né per vizio di motivazione cfr. Cass. 22.7.2005, n. 15389 Cass. sez. lav. 15.4.2004, n. 7208 Cass. ord. 26.4.2013, n. 10099 . In questo quadro, conseguentemente, nulla ostava - tanto più al cospetto delle dichiarazioni rese dai testi B.G. e Za.Da. - non solo a che la corte di merito reputasse eseguite le prestazioni di cui alla parcella pro forma n. 243 del 10.12.1990, ma, ancor prima, a che reputasse che la medesima parcella riflettesse esattamente l'ambito e la portata oggettiva dell'incarico da G.E. conferito al Dott. Z.G. e, su tale scorta, a che disattendesse la prospettazione dell'allora appellante - attuale ricorrente - secondo cui le prestazioni descritte nella parcella pro forma erano state poste in essere su iniziativa unilaterale del Dott. Z. , senza autorizzazione o richiesta del Dott. G. così ricorso, pag. 6 . Si rappresenta, in ogni caso, che questa Corte spiega che nel contratto d'opera la prestazione di colui che si è obbligato a compiere l'opera, non comprende solo lo svolgimento di un'attività lavorativa, ma anche la produzione del risultato utile promesso cfr. Cass. 29.2.1988, n. 2123 , sicché essa non può ritenersi adempiuta ove l'indicata attività non sia valsa a conseguire il preciso risultato contemplato dalla convenzione cfr. Cass. 18.1.1982, n. 316 . Il rigetto dei primi due motivi, evidentemente, giustifica ex se il rigetto del terzo. Il ricorrente, giacché soccombente, va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del grado di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente, G.E. , a rimborsare al controricorrente, Z.G. , le spese del presente grado, che si liquidano in Euro 1.600,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e cassa come per legge.