La rinegoziazione del contratto di locazione può essere effettuata purché non contraria a norme imperative

Incorre nella sanzione di nullità prevista dall'art. 79 L. n. 392/1978 la previsione di una durata inferiore a quella legale - con automatica eterointegrazione del contratto ai sensi dell'art. 1419 c.c

La nullità della singola clausola del contratto di locazione non importa la nullità dell'intero contratto quando essa è sostituita da norme imperative. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 24843/14, depositata il 21 novembre. Il caso. Una persona fisica deteneva in locazione un immobile destinato allo svolgimento di attività artigianale in ragione di contratto. La titolarità-proprietà del locale risultava interessata da successioni inter vivos , cui corrispondeva la volontà del locatore di rinegoziare il contratto. Il contratto di locazione veniva effettivamente rinegoziato e stipulato ex novo con decorrenza retroattiva e con rilascio in favore del locatore di fideiussione bancaria. Il conduttore adiva il Tribunale affinché fosse dichiarata la nullità della retrodatazione nonché la nullità del contratto di fideiussione. Il locatore si difendeva sostenendo la perfetta legittimità del nuovo contratto. Il Tribunale dichiarava illegittima la retrodatazione, rideterminava la durata del contratto richiamando la norma imperativa e dichiarava legittima la garanzia fideissuria. La Corte d'appello confermava la sentenza di primo grado. Il locatore ha proposto ricorso per cassazione. Rinegoziazione e sostituzione del contratto di locazione. Parte convenuta e ricorrente ha sostenuto che le parti possono sempre rinegoziare il contenuto di un contratto prevedendo la risoluzione del vecchio e la stipula di uno nuovo. Tanto corrisponde alla libertà delle parti di disporre dei propri diritti. Nel caso di specie, a dire di parte ricorrente, risultano provate le trattative che hanno preceduto la risoluzione del vecchio e la stipula del nuovo contratto. Con tale argomentazione la convenuta ha chiesto la riforma della decisione nella parte in cui ha dichiarato la nullità della retrodatazione del contratto e disposto la nuova durata dello stesso. La Cassazione sul punto ha statuito che così come posto il quesito chiede che sia effettuata una nuova valutazione nel merito della vicenda che è pacificamente preclusa alla Corte di legittimità. Applicazione dell'art. 79 L. n. 392/1978. L'art. 79 sanziona con la nullità ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge. In tal senso, il giudice territoriale aveva dichiarato la nullità della retrodatazione del contratto. La cassazione, sul punto, ha chiarito che è vero che è legittima la rinegoziazione del contratto ma resta illegittima la condotta finalizzata ad eludere il contenuto di una norma imperativa. Dunque, la corte territoriale ha individuato, con motivazione esente da vizi, detta violazione nella condotta di rinegoziazione finalizzata alla retrodatazione e variazione del canone indirettamente elusiva del prescritto normativo di cui all'art. 79. Errata individuazione della durata del contratto. Parte ricorrente ha sostenuto che la corte d'appello avendo dichiarato la nullità della clausola di durata del contratto avrebbe dovuto dichiarare la nullità dell'intero negozio. La S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito ribadendo che, ex art. 1419, comma 2, c.c., la nullità della singola clausola non importa la nullità del contratto quando essa è sostituita da norme imperative. Sul punto, i giudici di legittimità hanno richiamato costante giurisprudenza a tenore della quale incorre nella sanzione di nullità prevista dall'art. 79 L. n. 392/1978 la previsione di una durata inferiore a quella legale - con automatica eterointegrazione del contratto ai sensi dell'art. 1419 c.c Con queste argomentazioni la S.C. ha rigettato tutti i motivi di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 settembre – 21 novembre 2014, n. 24843 Presidente Russo – Relatore Scrima Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 9 dicembre 2006 presso il Tribunale di La Spezia — sezione distaccata di Sarzana, C.I. e non V. come indicato, per evidente lapsus calami , in alcune parti della sentenza impugnata , titolare dell'omonima ditta, esponeva di esercitare da oltre venti anni attività di ristorazione e bar rivendita generi di monopolio all'interno della stazione ferroviaria di Sarzana, in virtù del contratto stipulato il 26 febbraio 1993, di durata novennale, con decorrenza 1 gennaio 1991 e scadenza 31 dicembre 1999, contratto che si era rinnovato per la successiva scadenza del 31 dicembre 2005. Deduceva altresì il C. che il 10 gennaio 2001 la società Metropolis S.p.a., cui la società Ferrovie dello Stato S.p.a., poi Rete Ferroviaria Italiana S.p.a., aveva affidato la gestione del proprio patrimonio, e ANRAF avevano raggiunto un accordo per la definizione di un contratto tipo da proporre ai singoli caffè ristoratori con lettera dell'8 maggio 2001 la Metropolis aveva proposto al ricorrente la stipula di un nuovo contratto, ma le trattative non avevano avuto esito positivo in data 16 novembre 2004 la Metropolis aveva inviato al ricorrente formale disdetta del contratto del 1993 per la data del 31 dicembre 2005 in data 30 dicembre 2005 tra il C. e la Ferservizi S.p.a. già Metropolis S.p.a , mandataria con rappresentanza della Rete Ferroviaria Italiana S.p.a., era stato concluso il contratto n. 115/2005, avente durata esennale, con decorrenza 1 aprile 2001 e scadenza 31 marzo 2007, il quale prevedeva un canone determinato in percentuale del fatturato annuo conseguito dal conduttore con un minimo annuo di Euro 21.312,00 + IVA a garanzia dell'adempimento, Ferservizi S.p.a. aveva richiesto una fideiussione bancaria pari a 15 mensilità + IVA per Euro 27.565,00 e aveva, quindi, preteso la decorrenza del contratto retroattiva dal 1 aprile 2001, oltre alla somma di Euro 41.908,24, quale differenza tra le somme corrisposte nel periodo 1 aprile 2001 - 30 dicembre 2005 e il canone retroattivo del contratto n. 115/2005. Tanto premesso, il C. chiedeva dichiararsi la nullità del contratto retroattivo, l'inefficacia della retrodatazione in quanto contraria a norma di legge inderogabile ex articolo 79 della legge n. 392 del 1978 ed eccepiva la nullità della garanzia fideiussoria. Si costituiva la convenuta sostenendo che il nuovo contratto era da ritenersi valido e non in contrasto con l'articolo 79 citato, ben potendo il conduttore rinunciare ai diritti una volta sorti, e che era pienamente valida la fideiussione nel caso di accoglimento dell'avversa domanda di nullità parziale del contratto n. 115/05, con riferimento alle clausole relative alla durata e al canone dal 1 aprile 2001, chiedeva dichiararsi la nullità o annullarsi l'intero detto contratto ai sensi e per gli effetti degli articolo 1419, 1427, 1428, 1429 e 1431 c.c., accertarsi che il precedente contratto n. 210/93 era venuto meno a far data dal 31 dicembre 1999 o, in ogni caso, dal 31 dicembre 2005 e per l'effetto accertarsi e dichiararsi che la ditta C. occupava gli immobili sine titulo e condannarsi quest'ultima all'immediato rilascio degli stessi. Il Tribunale adito, con sentenza emessa in data 4 dicembre 2007, accertava la nullità della clausola n. 4 del contratto di locazione concluso in data 30 dicembre 2005 tra le parti, in quanto tesa ad eludere la norma imperativa dell'articolo 27 citato durata minima del contratto di sei anni , riteneva non legittima, come conseguenza della retrodatazione, la risoluzione del precedente contratto alla data del 31 marzo 2001 ed evidenziava che, con la retrodatazione, il conduttore avrebbe dovuto pagare una differenza tra nuovo e vecchio canone ingiustificata secondo il sinallagma contrattuale riteneva altresì il Tribunale che alla nullità parziale conseguiva l'automatica integrazione del contratto ai sensi dell'articolo 1419 c.c. e che la clausola prevedente la garanzia fideiussoria fosse legittima compensava le spese. Avverso tale decisione Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. e Ferservizi S.p.a. proponevano gravame, cui resisteva il C. . La Corte di appello di Genova, con sentenza depositata il 4 dicembre 2009, rigettava l'appello e condannava le appellanti alle spese di quel grado. Avverso la sentenza della Corte di merito Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. e Ferservizi S.p.a. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Ha resistito con controricorso C.I. . Motivi della decisione 1. Con il primo motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio articolo 360, primo comma, n. 5 c.p.c. nonché violazione e falsa applicazione degli articolo 1362 c.c. e 79 legge n. 392 del 1978 articolo 360 primo comma, n. 3, c.p.c. . Assumono le ricorrenti che la Corte di merito avrebbe erroneamente omesso di considerare e/o erroneamente valutato le prove dalle stesse addotte a supporto della dedotta valida e legittima contrattazione tra le parti che aveva portato alla risoluzione del precedente contratto ed alla sottoscrizione di un nuovo contratto avente effetto retrodatato ed avrebbe disatteso gli effettivi principi di diritto sottesi agli articolo 1362 c.c. e 79 della legge n. 392 del 1978. In particolare assumono le ricorrenti che la tesi della Corte di merito, secondo cui non sarebbe stata formalizzata alcuna proposta contrattuale, contrasterebbe con la documentazione prodotta e con il comportamento complessivo delle parti posteriore alla conclusione del contratto. Alla luce della documentazione depositata, sostengono le ricorrenti che il controricorrente ha accettato il contratto tipo predisposto in accordo con le associazioni sindacali, manifestando piena disponibilità a perfezionare il relativo contratto anche in virtù della richiesta, da parte del conduttore, di un ampliamento, rispetto al precedente contratto, della superficie oggetto di locazione. Censurano altresì le ricorrenti la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che le proposte contrattuali di cui si discute in causa siano da considerare tamquam non esset in quanto mancanti dell'elemento essenziale costituito dall'ammontare del canone e rappresentano al riguardo che sia il protocollo di intesa che il contratto tipo contenevano tutti gli elementi oggettivi per la determinazione del canone di locazione. Conseguentemente, ad avviso delle ricorrenti, non può accettarsi la tesi della Corte di merito secondo cui dal protocollo di intesa, dal contratto tipo e dal modulo di adesione della ditta C. non emergono elementi tali da far ritenere che ci sia stato un incontro di volontà tra le parti. Sostengono le ricorrenti che le trattative per la stipula del nuovo rapporto contrattuale in corso, quanto all'ammontare del canone e alla durata sono avvenute consensualmente in adesione allo schema negoziato dalle associazioni sindacali di categoria e in armonia al principio secondo cui in materia di contratti di locazione di immobili urbani destinati ad uso non abitativo la normativa vigente, di cui alla legge n. 392 del 1978, consente ai contraenti la libera determinazione del canone. Quanto poi alla retrodatazione del nuovo contratto, le ricorrenti censurano le argomentazioni addotte al riguardo dalla Corte di merito, secondo cui l'indicazione della data di decorrenza 1 aprile 2001 comporta la violazione dell'articolo 79 della legge n. 392/78, né vale ad escludere detta violazione la pretesa risoluzione del contratto 210/93 in ipotesi con efficacia retroattiva, rispetto alla sottoscrizione della scrittura del 30 dicembre 2005. Ad avviso delle ricorrenti non sussisterebbe alcun impedimento di ordine logico a che le parti, nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, ridefiniscano il rapporto sinallagmatico tra le rispettive prestazioni, anche se già eseguite, attribuendo alla già eseguita prestazione del locatore un valore maggiore rispetto a quello originariamente convenuto e che troverebbe il suo bilanciamento nell'aumento della controprestazione del conduttore godimento dell'immobile per un periodo maggiore . L'autonomia negoziale, secondo le ricorrenti, non troverebbe alcun limite nell'articolo 79 della legge n. 392 del 1978, atteso che, secondo la prevalente giurisprudenza, detta norma è diretta ad evitare una elusione di tipo preventivo dei diritti del locatario, ma non esclude la possibilità di disporne una volta che i diritti siano sorti . Deducono le ricorrenti che il C. , titolare di un rapporto che gli consentiva di detenere l'immobile alle condizioni economiche accordate con il contratto n. 210/93 fino al 31 dicembre 2005, avrebbe legittimamente rinunciato al diritto, già acquisito, di far durare il contratto fino a quella data, e così espressamente avrebbe fatto nel momento in cui ha accettato di aderire al Protocollo d'intesa. Conseguentemente, accettando di sottoscrivere un nuovo contratto che ha determinato una libera e nuova negoziazione del corrispettivo e una nuova durata del rapporto locativo, il conduttore non avrebbe fatto altro che disporre di un proprio diritto, senza per ciò violare alcuna norma e/o incorrere in una qualsivoglia sanzione di nullità ai sensi del richiamato articolo 79 sarebbe quindi legittima la retrodatazione del nuovo contratto al 1 aprile 2001 perché consensualmente stabilita dalle parti e non imposta, peraltro in adesione agli accordi siglati dalle associazioni sindacali di categoria. La clausola che sancisce la retrodatazione sarebbe valida sia rispetto al contratto n. 210/93 sia rispetto a quello avente n. 115/2005, essendo volta non a limitare la durata legale del contratto ma a definire il periodo storico di applicazione del contratto, ferma restando la durata legale dello stesso, e non sarebbe diretta ad attribuire alcun vantaggio al locatore ma sarebbe stata concordata nell'interesse di entrambe le parti, se non in quello preminente della parte conduttrice, sicché sarebbe legittima la domanda di corresponsione del maggior canone negoziato in relazione agli anni 2001-2006. Sostengono, inoltre, le ricorrenti che, pur a voler accedere alla tesi della nullità ex articolo 79 citato, gli effetti risolutivi investirebbero non il primo ma il secondo periodo di validità del contratto n. 210/93, il quale non potrebbe essere interessato da detta sanzione, che è comminata solo per le pattuizioni dirette a limitare la durata legale del contratto primo sessennio e, quindi, sarebbe rinunciabile dalle parti sin dal momento della stipula del contratto. Assumono, infine, le ricorrenti che la volontà del C. di aderire al nuovo contratto sarebbe desumibile da fatti concludenti sicché l'illogica motivazione della Corte di merito non potrebbe valere a negare l'applicabilità, nella specie, del principio che consente alle parti di concordare l'attribuzione di efficacia retroattiva, nei limiti della non ripetibilità delle prestazioni già eseguite, alla risoluzione dei contratti di durata e non si potrebbe negare il potere delle parti di regolare rapporti anteriormente disciplinati da un diverso contratto. 1.1. Il motivo va rigettato. Con le doglianze volte a censurare vizi motivazionali della sentenza impugnata, le ricorrenti tendono inammissibilmente ad una rivalutazione del merito. Sul punto si osserva che, come già affermato da questa Corte e come va ribadito in questa sede, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti salvo i casi tassativamente previsti dalla legge . Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non già quando — come nel caso all'esame - il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte Cass. 20 ottobre 2005, n. 20322 Cass. 9 agosto 2007, n. 17477 . Ritiene poi questa Corte che nella specie non risulta efficacemente censurata l'interpretazione del contratto operata dalla Corte di appello, che è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di emeneutica contrattuale, di cui agli articolo 1362 e seguenti c.c. o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d'interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi - come nel caso di specie - sull'asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536 . Neppure sono fondate le censure proposte dalle ricorrenti avverso la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l'indicazione della data di decorrenza al 1 aprile 2001 nel contratto sottoscritto il 30 dicembre 2005 comporta violazione dell'articolo 79 della legge n. 392 del 1978. Come già evidenziato dalla Corte di merito, non è al riguardo conferente il richiamo al precedente di questa Corte n. 15530 del 2000, riferendosi questo ad un caso in cui le parti avevano inteso regolare una situazione di fatto, laddove nella fattispecie all'esame, prima della stipulazione del predetto contratto, il C. deteneva l'immobile in virtù di altro contratto. Se é pur vero che non sussiste nell'ordinamento un divieto per le parti di un contratto di attribuire ad esso efficacia retroattiva, va tuttavia evidenziato che le stesse non possono in tal modo comunque violare norme inderogabili. Va evidenziato che la retrodatazione, nella specie, oltre a non sanare una situazione di fatto, finisce per incidere ex novo su un rapporto già contrattualmente disciplinato, sovrapponendosi ad esso, ed influisce sulla durata del nuovo contratto - che indica come scadenza la data del 31 marzo 2007 - da cui verrebbero sostanzialmente, con rinuncia preventiva da parte del conduttore ai suoi diritti, decurtati tre anni, incidendosi così sulla durata legale dello stesso inoltre, in base a tale retrodatazione, viene richiesto al conduttore un canone ulteriore rispetto a quanto originariamente pattuito con riferimento agli anni 2001 - 2005. Alla luce di quanto evidenziato risulta evidente la violazione del citato articolo 79 sotto un duplice profilo. 2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 1421, primo comma, c.c. e degli articolo 1427,1428 e 1429 c.c Le società ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui viene rigettata la loro domanda, proposta in via subordinata, per l'ipotesi di accertamento della nullità della clausola relativa alla legittima retrodatazione del contratto n. 115/2005, volta alla declaratoria di nullità dell'intero contratto, ai sensi dell'articolo 1419, primo comma, c.c., sul presupposto che tale pattuizione dichiarata nulla avrebbe importanza determinante e che il locatore non avrebbe concluso il contratto senza di essa. Assumono le ricorrenti che le parti avevano inteso - successivamente alla prima scadenza del contratto n. 210/93 - modulare il rapporto secondo i criteri nuovi termini di durata e canone dei contratti di locazione stabiliti dalle associazioni di categoria e definiti nel protocollo di intesa del 10 gennaio 2001, con conseguente piena legittimità del contratto n. 115/05. Ad avviso delle ricorrenti dalla nullità ritenuta dalla Corte di merito doveva conseguire l'annullamento dell'intero contratto per errore di diritto ai sensi degli articolo 1427 e 1429 c.c. e/o comunque la nullità dello stesso ex articolo 1419 c.c. e, travolto l'intero contratto, non potrebbe valere a legittimare il rapporto in essere il contratto n. 210/93, venuto a scadere sin dal 2001 in forza dell'atto consensuale di risoluzione o al più il 31 dicembre 2005 perché validamente disdettato per tale data, sicché il controricorrente occuperebbe allo stato gli immobili sine titulo . 2.1. Il motivo va rigettato. Va evidenziato che, pur riferendosi la rubrica del mezzo all'esame soltanto a violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nella illustrazione del motivo si lamenta pure genericamente che la motivazione della sentenza impugnata non sarebbe convincente e si lamenta che la stessa sarebbe contraddittoria. La sentenza impugnata resiste alle censure sollevate. Con motivazione immune da vizi logici e giuridici, la Corte di merito ha deciso la causa facendo corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di locazione, la nullità della clausola che limita la durata di un contratto soggetto alle disposizioni dell'articolo 27 della legge n. 392 del 1978, ad un tempo inferiore al termine minimo stabilito dalla legge determina l'automatica eterointegrazione del contratto, ai sensi del secondo comma dell'articolo 1419 c.c., con conseguente applicazione della durata legale prevista dal quarto comma del citato articolo 27, risultando irrilevante l'avere le parti convenuto che l'invalidità anche di una sola clausola contrattuale comporti il venir meno dell'intero negozio nonché del principio in base al quale la disposizione dell'articolo 1419, secondo comma, c.c., a norma della quale la nullità di singole clausole contrattuali non importa la nullità del contratto, quando le clausole mille sono sostituite di diritto da norme imperative, impedisce che al risultato dell'invalidità dell'intero contratto possa pervenirsi in considerazione della sussistenza di un vizio del consenso cagionato da errore di diritto essenziale, avente ad oggetto la clausola nulla in rapporto alla norma imperativa destinata a sostituirla, poiché l'essenzialità di tale clausola rimane esclusa dalla stessa prevista sua sostituzione con una regola posta a tutela di interessi collettivi di preminente interesse pubblico. Tali principi, già affermati da questa Corte rispettivamente da Cass. 26 aprile 2004, n. 7927 e da Cass. 29 settembre 2005, n. 19156 Cass. 23 gennaio 1999, n. 645 , vanno ribaditi in questa sede. 3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. 4. Alla luce della particolarità delle questioni esaminate, sussistono giusti motivi per compensare per intero tra le parti le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.