Condannata la banca che paga l’assegno al beneficiario apparente

La disciplina sull’assegno non trasferibile è chiara la banca che paga il titolo a persona diversa dal legittimato, non è liberata dalla propria obbligazione finché non ripete il pagamento al prenditore esattamente individuato.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18183/14, depositata il 25 agosto scorso. C’è poco da fare per la banca che ha pagato l’assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore, la condanna alla ripetizione del pagamento al legittimato resta. Poco importa se c’era perfetta identità tra i dati del soggetto portatore dell’assegno e il creditore della somma, quale indicato nel titolo stesso, la banca non è un debitore qualunque e l’assegno non trasferibile segue una disciplina speciale che non libera dal pagamento neppure chi prova di aver agito in buona fede. È mancata la negligenza Lo affermano i Giudici di Cassazione che, con la sentenza n. 18183, confermano quanto già stabilito dalla Corte d’Appello e rigettano il ricorso dell’istituto finanziario. Per gli Ermellini, la fattispecie ricade perfettamente nel secondo comma dell’art. 43 r.d. n. 1736/33 e nulla può essere lamentato circa la decisione di merito, neppure sulla ritenuta colpa grave. La banca, infatti, aveva pagato il titolo che recava una somma ingente” in un’agenzia del centro Italia, quando il beneficiario era di Milano ed aveva aperto solo pochi giorni prima un libretto postale, mediante il deposito di una somma irrisoria” di 30mila lire in contanti. Di fronte a tali circostanze, nonché della conoscenza di altre manifestazioni truffaldine risalenti allo stesso periodo e con modalità analoghe, la banca non avrebbe dovuto limitarsi a chiedere un documento di identificazione, senza indagare nemmeno se il portatore fosse il reale beneficiario, un amministratore di condominio come risultava dal titolo, quando, invece, il libretto postale era intestato in proprio. Così operando, per la Corte, non è stata impiegata la diligenza qualificata richiesta a chi svolge l’attività bancaria. fonte www.fiscopiu.it

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 25 giugno – 25 agosto 2014, n. 18183 Presidente Berruti – Relatore Armano Svolgimento del processo La società Cap Gestione s.p.a. ora AMIACQUE s.r.l, proponeva opposizione al decreto ingiuntivo per l'importo di Euro 16.615,78, emesso su richiesta del Condominio di OMISSIS , deducendo di aver già pagato il debito a mezzo di assegno bancario non trasferibile in favore di P.V. P. Il Condominio di omissis , assegno regolarmente incassato da P.V. , amministratore del condominio, presso l'agenzia di Prato delle Poste Italiane. Si costituiva in giudizio il Condominio di omissis disconoscendo la sottoscrizione del soggetto che aveva incassato l'assegno, quale apparente intestatario dello stesso, e chiedendo il rigetto dell'opposizione. L'opponente Cap Gestione, chiamata in giudizio Poste Italiane s.p.a. che male aveva pagato l'assegno, chiedeva di essere garantita in ipotesi di condanna. Si costituiva in giudizio la società Poste Italiane chiarendo le modalità di pagamento dell'assegno e chiedendo il rigetto della domanda nei suoi confronti. Il Tribunale di Milano ha respinto sia l'opposizione che la domanda nei confronti di Poste Italiane, condannando l'opponente al pagamento delle spese in favore di entrambi. La Corte d'appello di Milano ha accolto l'impugnazione proposta dalla società Cap Gestione solo nei confronti di Poste Italiane ed ha condannato Poste Italiane a corrispondere alla società Cap Gestione la somma di Euro 18. 470,24,oltre spese legali. Avverso detta sentenza propone ricorso Poste Italiane s.p.a. con tre motivi e presenta memoria ex art. 378 c.p.c. e note di replica alle conclusioni del Procuratore Generale. Resiste con controricorso l'AMIACQUE s.r.l, già Cap Gestione S.p.A Motivi della decisione 1. Col primo motivo di ricorso si denunzia violazione falsa applicazione dell'articolo 43 Regio Decreto 21/12/1933 n. 1736 e dell'articolo 1992 c.c Sostiene la società ricorrente che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto la violazione dell'articolo 43 L. A., in quanto l'assegno era stato pagato all'effettivo prenditore, P.V. , identificato mediante carta di identità e tesserino del codice fiscale, essendovi perfetta identità fra i dati del soggetto portatore dell'assegno ed il creditore della somma,quale indicato nel assegno stesso. Non ricorreva quindi, l'ipotesi del secondo comma dell'articolo 43 della L.A, ma l'ipotesi di cui all'articolo 1992 c.c 2. Il motivo è infondato. La Corte d'appello ha fatto corretta applicazione della disciplina prevista in materia di pagamento di assegno bancario con clausola di non trasferibilità in quanto ha ritenuto che nella fattispecie in oggetto ricorresse l'ipotesi del secondo comma dell'articolo 43 L.A., sul rilievo che l'assegno era stato pagato a persona apparentemente corrispondente al beneficiario, ma che tale non era a causa di una sostituzione truffaldina di persona. 3. L'articolo 43 Regio Decreto 21/12/1933 n. 1736 prevede che l'assegno bancario emesso con la clausola non trasferibile non può essere pagato se non al prenditore o, a richiesta di costui, accreditato nel suo conto corrente. Questi non può girare l'assegno se non ad un banchiere, per l'incasso, il quale non può ulteriormente girarlo. Le girate apposte nonostante il divieto si hanno per non scritte. La cancellazione della clausola si ha per non avvenuta. Il secondo comma precisa poi che colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal giratario per l'incasso risponde del pagamento. 4. Questa Corte ha ripetutamente affermato che tale norma disciplina in modo autonomo l'adempimento dell'assegno non trasferibile, derogando sia alla disciplina generale del pagamento dei titoli di credito a legittimazione variabile, sia alla disciplina di diritto comune racchiusa nell'art. 118, 9 c.c., a norma del quale il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede. E invero la banca, ove paghi a persona diversa dal legittimato, non è liberata dalla propria obbligazione, finché non ripeta il pagamento al prenditore esattamente individuato o al banchiere giratario per l'incasso , e tanto a prescindere dalla sussistenza dell'elemento della colpa nell'errore sulla identificazione di chi abbia presentato il titolo, derivando la responsabilità della banca, che paghi al giratario senza osservare la clausola di non trasferibilità, dalla violazione dell'obbligazione ex lege, posta a suo carico dal menzionato art. 43 confr. Cass. civ., 25 agosto 2006, n. 18543 Cass. civ. 13 maggio 2005, n. 1.0118 Cass. civ., 12 marzo 2003, n. 3654 . 5. Così ricostruito il contesto normativo di riferimento, si osserva che la Corte di merito ha inquadrato la fattispecie concreta nella esatta normativa che la disciplina. Né la società Poste Italiane può giovarsi, per sfuggire alle proprie responsabilità, alle modalità asseritamente diligenti con le quali l'assegno è stato pagato, sul rilievo che la Corte di merito ha ritenuto,al di là della previsione di responsabilità più severa prevista dalla normativa di riferimento, che comunque la società aveva pagato l'assegno con colpa grave, a fronte dell'obbligo di diligenza qualificata richiesta a chi di professione svolge attività bancaria. 6. Con il secondo motivo si denunzia violazione falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'articolo 43 Regio Decreto 21/12/1933 n. 1736. Sostiene la società ricorrente che non le può essere imputata alcuna negligenza, avendo dimostrato di aver fatto tutto quello che era necessario e possibile per adempiere alla propria obbligazione ed in particolare avendo effettuata attività di controllo per l'identificazione del soggetto. 7. Con il terzo motivo si denunzia omessa motivazione su fatti decisivo e controversi, quali la ritenuta colpa delle poste italiane con riferimento all'identificazione del soggetto prenditore, alla circostanza che Poste Italiane avrebbe dovuto sapere che P.V. era amministratore del Condominio di OMISSIS , alla circostanza che Poste Italiane era a conoscenza dell'esistenza di altri episodi truffatine simili. 8. I due motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico-giuridica che li lega e sono inammissibili. Si osserva che sotto l'apparente denunzia di vizio di violazione di legge del secondo motivo e vizio di omessa motivazione del terzo motivo, la ricorrente richiede a questa Corte un riesame del merito della controversia con una valutazione delle risultanze probatorie diversa da quella motivatamente fatta propria dai giudici di merito,in relazione alla sussistenza della colpa grave nel pagamento dell'assegno in oggetto. 9. La Corte di merito ha ritenuto la colpa grave della società Poste Italiane nell'aver pagato il titolo che recava una somma ingente in un'agenzia di XXXXX, quando il beneficiario era soggetto che risiedeva a ed aveva aperto solo pochi giorni prima un libretto postale, mediante il deposito di una somma irrisoria L. 30.000 in moneta contante. A fronte di tali circostanze, nonché della conoscenza di altre manifestazioni truffatine in quel periodo di tempo con modalità analoghe la società, Poste Italiane si era limitata a chiedere un documento di identificazione del richiedente il pagamento,senza peraltro indagare nemmeno sul fatto che questi fosse realmente l'amministratore del condominio, come risultava dal titolo, e senza considerare che il libretto postale era intestato al signor P.V. in proprio e non già quale amministratore del condominio. 10. Si ricorda che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. 11. Nel caso di specie la Corte di Appello ha operato una valutazione completa e coerente delle risultanze probatorie, dando rilievo all'omissione di controllo di alcune rilevanti circostanze, che la diligenza qualificata richiesta a chi svolge l'attività bancaria, avrebbe imposto. 12. Della linea argomentativa così sviluppata, logica e non contraddittoria, la ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità, mentre l'impugnazione si risolve nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella del giudice di merito il che non può trovare sdazio nel giudizio di legittimità. Le spese del giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.000,00 di cui Euro 200,00 per gli esborsi oltre le spese generali ed accessori come per legge.