Bene danneggiato durante il trasporto? Nel dubbio, meglio prendersela con il vettore

Ai sensi dell’art. 1510, comma 2, c.c., nella vendita di una cosa da trasportare da un luogo all’altro deve considerarsi quale ipotesi normale quella della vendita con spedizione, mentre è necessario un apposito patto contrario da provarsi con elementi precisi ed univoci perché possa ritenersi conclusa una vendita con consegna all’arrivo.

La sez. II Civile della Cassazione, si è occupata, con la sentenza n. 16961, depositata il 24 luglio 2014, di una controversia in tema di vendita di beni mobili nella specie un macchinario per tende . Si è discusso in particolare se la responsabilità del vettore, in caso di danni durante il trasporto, possa essere posta a carico della parte venditrice. Il caso. Una ditta acquistava da una società una macchina occhiellatrice per tende. Tuttavia, a causa di un allegato grave inadempimento, la parte acquirente conveniva in giudizio la parte venditrice, ottenendo la dichiarazione di risoluzione del contratto e la condanna avversaria alla restituzione del prezzo pagato. In sostanza, il grave inadempimento consisteva nella circostanza che il macchinario – evidentemente mal funzionante – era stato sostituito per ben due volte, e, alla terza consegna, lo stesso era stato rifiutato dall’acquirente in quanto gravemente danneggiato durante il trasporto. La parte venditrice proponeva appello ottenendo la riforma della sentenza. La parte acquirente proponeva ricorso per cassazione. L’acquirente doveva prendersela con il vettore e non con la parte venditrice? Secondo la ricorrente parte acquirente , erroneamente il giudice d’appello avrebbe ritenuto che essa si sarebbe al più dovuta lamentare nei confronti del vettore del danneggiamento subito dal macchinario oggetto della vendita tra le parti. Sempre a dire della ricorrente, la Corte d’appello non aveva considerato che la venditrice aveva assunto gli oneri e i rischi del trasporto, e che la consegna era stata pattuita al momento dell’arrivo. Era del resto emerso che la parte venditrice aveva stipulato per ogni trasporto dei macchinari da effettuare una polizza a suo favore con indicazione del valore del bene assicurato su ogni documento di trasporto. Quanto all’ultimo trasporto del macchinario, giunto danneggiato, era stata riscossa la somma di euro 4.000,00 indennizzo e tale circostanza era stata confermata dal corriere. Altresì, le condizioni di vendita prevedevano il pagamento del prezzo in contanti alla consegna, per cui ricorreva una ipotesi di vendita all’arrivo con specifica deroga pattizia all’art. 1510, comma 2, c.c., e non di vendita con spedizione nella quale la consegna si intende avvenuta quando il venditore consegna il bene al venditore. Ipotesi, quest’ultima, erroneamente valorizzata dal giudice d’appello. La corretta ricostruzione della Corte d’appello. Ai sensi dell’art. 1510, comma 2, c.c. luogo della consegna , il venditore, se la cosa venduta deve essere trasportata, si libera della consegna rimettendo la cosa al vettore o allo spedizioniere, in difetto di patto o uso contrario. Su questa premessa la Corte d’appello ha ritenuto meritevole di accoglimento la tesi per cui la parte venditrice si era liberata dell’obbligazione di consegna della cosa rimettendola al vettore, per cui il danneggiamento del macchinario era avvenuto a carico dell’acquirente. Irrilevante, poi, la clausola ‘porto franco’ – sempre secondo i giudici di secondo grado – in quanto quella pattuizione contenuta nel documento di trasporto aveva l’esclusiva efficacia di esonerare l’acquirente dalle spese di trasporto, ma non quella di sollevarlo dai relativi rischi. La regola è la vendita con spedizione e non la vendita con consegna all’arrivo. Secondo la Cassazione, l’art. 1510, comma 2, c.c., pone la presunzione secondo cui, nella vendita di una cosa da trasportare da un luogo all’altro, deve considerarsi quale ipotesi normale quella della vendita con spedizione, mentre è necessario un apposito patto contrario perché possa ritenersi conclusa una vendita con consegna all’arrivo. Essendo quindi la regola quella della vendita con spedizione, perché possa parlarsi di patto contrario, occorre il concorso di elementi precisi ed univoci atti a dimostrare la volontà di deroga. La mancanza della prova del patto derogatorio . Nel caso specifico, secondo gli Ermellini la parte acquirente non aveva dato la prova della effettiva sussistenza di un patto contrario, dalla valenza derogatoria, quanto alla regola della vendita con spedizione. E gli elementi individuati a tale proposito le spese di trasporto a carico del venditore la stipula di una polizza, da parte del venditore, per i rischi connessi al trasporto del macchinario e l’avvenuta riscossione del relativo indennizzo non sono stati considerati sufficienti a vincere la presunzione di legge. In particolare, quanto alle spese di trasporto, la Cassazione osserva che il giudice d’appello aveva correttamente ritenuto irrilevante tale profilo, perché, in assenza di altri elementi, non era sufficiente di per sé a dimostrare la volontà delle parti intesa a spostare il luogo della consegna rispetto a quello che è normalmente stabilito per l’ipotesi della vendita con spedizione. Il ricorso è stato quindi rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 maggio – 24 luglio 2014, n. 16961 Presidente Bursese – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Il Tribunale di Ascoli Piceno con sentenza del 6-4-2005, pronunciando sulla domanda introdotta dalla Ditta Arte della Tenda di P.D. nei confronti della s.r.l. ARTECA, dichiarava la risoluzione del contratto di compravendita di una macchina occhiellatrice per tende per inadempimento della venditrice ARTECA, che condannava alla restituzione del corrispettivo pagato dalla acquirente. Il giudice di primo grado rilevava che il grave inadempimento della venditrice consisteva nella circostanza che il macchinario era stato due volte sostituito e che, alla terza consegna, era stato rifiutato dall'acquirente in quanto gravemente danneggiato durante il trasporto. Proposto gravame da parte della società ARTECA cui resisteva la Ditta Arte della Tenda di P.D. la Corte di Appello di Ancona con sentenza del 18-7-2012 ha accolto l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato le domande della ARTECA, ha dichiarato inammissibile la domanda di restituzione di quanto corrisposto dall'appellante alla appellata in base alla sentenza di primo grado ed ha condannato l'appellata al rimborso delle spese di entrambi i gradi di giudizio. Per la cassazione di tale sentenza la Ditta Arte della Tenda di P.D. ha proposto un ricorso affidato a quattro motivi seguito successivamente da una memoria cui la società ARTECA ha resistito con controricorso. Motivi della decisione La ricorrente, trattando unitariamente il primo ed il secondo motivo di ricorso, deduce anzitutto la nullità del procedimento e della sentenza ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c. al riguardo la ricorrente, premesso che l'esponente nel giudizio di secondo grado aveva sollevato l'eccezione di inammissibilità dell'appello per le richieste contraddittorie ivi formulate dalla controparte che invero aveva richiesto la conferma della sentenza di primo grado , eccezione disattesa dalla Corte territoriale, sostiene che in realtà proprio la formulazione contraddittoria dell'atto di appello ha indotto il giudice di appello a formulare il dispositivo, definito Indecifrabile , con il quale erano state rigettate le domande della ARTECA la ricorrente ritiene quindi che tale duplice motivazione integri nullità del procedimento e nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c Gli enunciati motivi, al limite della inammissibilità in quanto di ardua comprensione, sono comunque infondati. Deve anzitutto rilevarsi che il giudice di appello ha disatteso l'eccezione della Ditta Arte della Tenda di inammissibilità dell'appello per avere l'appellante richiesto la conferma della impugnata sentenza, trattandosi di un evidente refuso, a fronte delle espresse richieste, nelle conclusioni, di riforma della decisione impugnata, di rigetto della domanda del P. e di condanna di quest'ultimo al rimborso delle spese di entrambi i gradi di giudizio inoltre tutto il tenore dell'appello deponeva inequivocabilmente per la riforma ed il rigetto della domanda pertanto la Corte territoriale ha proceduto correttamente alla interpretazione delle richieste dell'appellante in relazione a tutte le formulazioni in proposito articolate ed alla natura sostanziale delle censure sollevate. Quanto poi alla asserita nullità del procedimento e della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c., è evidente che il rigetto delle domande della ARTECA contenuto nel dispositivo si pone in contrasto sia con la residua parte del dispositivo stesso, laddove l'appello della ARTECA è stato accolto e la sentenza di primo grado è stata riformata, sia soprattutto con la motivazione, nella quale in modo inequivocabile la censura introdotta dall'appellante è stata ritenuta fondata in proposito è appena il caso di rilevare che nell'ordinario giudizio di cognizione l'esatto contenuto della pronuncia va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione nella parte in cui la medesima rivela l'effettiva volontà del giudice ne consegue che, in assenza di un vero e proprio contrasto tra dispositivo e motivazione, è da ritenere prevalente la statuizione contenuta in una di tali parti del provvedimento che va, quindi, interpretato in base all'unica statuizione che, in realtà, esso contiene Cass. 11-7-2007 n. 15585 ora non vi è dubbio che l'applicazione di tali principi induce a concludere che la sentenza impugnata abbia chiaramente accolto l'appello proposto dalla ARTECA. Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando vizio di motivazione, assume che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la Ditta Arte della Tenda avrebbe dovuto dolersi nel confronti del vettore del danneggiamento subito dal macchinario oggetto della vendita tra le parti in causa, non avendo considerato che la venditrice aveva assunto gli oneri ed i rischi del trasporto, e che la consegna era stata pattuita al momento dell'arrivo infatti dalla documentazione prodotta dall'esponente nel primo grado di giudizio era emerso che l'ARTECA aveva stipulato, per ogni trasporto di macchinari da effettuare, una polizza in suo favore con indicazione del valore del bene assicurato su ogni documento di trasporto, ed aggiunge che in relazione all'ultimo trasporto del macchinario, poi giunto a destinazione danneggiato, aveva riscosso la somma di Euro 4.000,00 tale circostanza era stata confermata dalla teste B.S. , che aveva contattato il corriere Bartolini in quanto il legale rappresentante della ARTECA aveva riferito telefonicamente - dopo il rifiuto di ricezione del macchinario da parte dell'esponente - che detto macchinario era integro invece il corriere Bartolini aveva confermato telefonicamente che il macchinario era risultato danneggiato, e che era stato effettuato il pagamento dell'indennizzo di Euro 4.000,00. La ricorrente aggiunge che, posto che le pattuizioni contrattuali prevedevano il pagamento del prezzo di L. 11.500.000 in contanti alla consegna, da intendersi al momento della effettiva consegna a R. , ricorreva una ipotesi di vendita all'arrivo con specifica deroga pattizia all'art. 1510 secondo comma c.c., e non di vendita con spedizione nella quale la consegna si intende avvenuta quando il venditore consegna il bene al venditore , come invece erroneamente ritenuto dal giudice di appello. La censura è infondata. La Corte territoriale, premesso che ai sensi dell'art. 1510 secondo comma c.c. il venditore, se la cosa venduta deve essere trasportata, si libera della consegna rimettendo la cosa al vettore o allo spedizioniere, in difetto di patto o di uso contrario, ha ritenuto meritevole di accoglimento l'assunto dell'appellante secondo la quale l'ARTECA, quale venditrice, si era liberata dell'obbligazione di consegna della cosa rimettendola al vettore, cosicché il danneggiamento del macchinario era avvenuto a carico dell'acquirente in proposito ha considerato irrilevante la clausola porto franco contenuta nell'ultimo documento di trasporto, in quanto tale pattuizione aveva l'esclusiva efficacia di esonerare l'acquirente dalle spese di trasporto, ma non quella di sollevarlo dai rischi del medesimo, in difetto di elementi precisi ed univoci dai quali potesse desumersi la volontà delle parti di derogare alla previsione in oggetto. Il convincimento espresso dalla Corte territoriale è corretto ed immune dai profili di censura sollevati dalla ricorrente. Occorre anzitutto premettere che l'art. 1510 secondo comma c.c. pone la presunzione secondo cui, nella vendita di una cosa da trasportare da un luogo all'altro, deve considerarsi quale ipotesi normale quella della vendita con spedizione , mentre è necessario un apposito patto contrario perché possa ritenersi conclusa una vendita con consegna all'arrivo la norma in questione è dunque disponibile ma, essendo la regola quella della vendita con spedizione , perché possa ritenersi l'esistenza del patto contrario, occorre il concorso di elementi precisi ed univoci atti a dimostrare la volontà di deroga Cass. 25-3-1999 n. 2817 . Orbene nella specie la Ditta Arte della Tenda ha invocato, a sostegno dell'asserita deroga alla suddetta presunzione, il fatto che la venditrice avrebbe stipulato una polizza di assicurazione contro i rischi del trasporto della mercé oggetto della vendita ed avrebbe anche riscosso l'indennizzo per i danni subiti dal macchinario durante il trasporto al riguardo deve osservarsi che, come risulta dalla sentenza impugnata, in appello l'attuale ricorrente aveva dedotto la previsione contrattuale circa il carico alla venditrice delle spese di trasporto come elemento contrario alla presunzione di legge sopra richiamata in proposito correttamente la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante tale pattuizione, posto che il diverso regolamento delle spese di trasporto rispetto a quello previsto per la vendita con spedizione dall'art. 1510 secondo comma c.c. non può, senza il concorso di altri elementi, essere interpretato come espressione di una volontà delle parti intesa a spostare il luogo della consegna rispetto a quello che è normalmente stabilito per l'ipotesi di vendita con spedizione, e non costituisce, pertanto, un elemento di per sé solo sufficiente perché debba ritenersi superata la presunzione anzidetta inoltre l'accertamento se sia stata conclusa Cuna o l'altra vendita involge un apprezzamento di fatto riservato alla competenza del giudice di merito, come tale non suscettibile di sindacato in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici Cass. 15-12-1975 n. 4125 , come appunto nella fattispecie. Con riferimento invece alla deduzione della ricorrente in questa sede dell'avvenuta stipulazione di una polizza assicurativa da parte della venditrice per i rischi connessi al trasporto del macchinario suddetto ed alla avvenuta riscossione dell'indennizzo da parte dell'ARTECA per il danneggiamento della mercé, si rileva che la questione prospettata, che implica un accertamento di fatto, non risulta trattata dalla sentenza impugnata pertanto la ricorrente, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l'onere - in realtà non assolto - non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare exactis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa può comunque aggiungersi che la asserita conclusione del predetto contratto di assicurazione non sarebbe di per sé un elemento rilevante ai fini di una diversa decisione, posto che in tema di vendita di cose da trasportare da un luogo all'altro, con la consegna della mercé al vettore o allo spedizioniere, il venditore trasferisce all'acquirente - salvo patto contrario - la proprietà dei beni medesimi e, quindi, il rischio connesso al loro perimento ne consegue che la qualità di assicurato avente diritto all'indennizzo, nel contratto per conto di chi spetta, è rivestita non dal venditore ma dall'acquirente Cass. 9-7-2003 n. 10770 . Con l'ultimo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 92 secondo comma c.p.c. per avere la Corte territoriale condannato l'esponente al rimborso delle spese del secondo grado di giudizio nonostante l'accoglimento solo parziale dell'appello, invece che compensarle. La censura è infondata. Il giudice di appello ha condannato l'appellata al pagamento delle spese di giudizio in favore dell'appellante in puntuale conformità del principio della soccombenza al riguardo è appena il caso di rilevare che il mancato accoglimento dell'appello limitatamente alla domanda di restituzione di quanto pagato dall'ARTECA all'esito della sentenza di primo grado non scalfisce la soccombenza della Ditta Arte della Tenda sulla questione che aveva costituito l'oggetto sostanziale del giudizio di impugnazione. Il ricorso deve quindi essere rigettato le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Infine ai sensi dell'art. 13 comma 1 - quater del D.P.R. 30-5-2002 n. 115 come introdotto dall'art. 1 comma 17 della L. 24-12-2012 n. 228 applicabile nella fattispecie ratione temporis si deve dare atto della sussistenza dei presupposti di legge relativamente all'obbligo della ricorrente, all'esito del rigetto del ricorso, di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione proposta, a norma dello stesso art. 13 comma 1 - bis . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 1.500,00 per compensi oltre spese forfettarie, e da atto ai sensi dell'art. 13 comma 1 - quater dei D.P.R. 30-5-2002 n. 115 della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto.