Valida la transazione fatta su un titolo nullo se la parte conosce la causa di nullità

La nullità del contratto non può essere invocata da chi con la transazione abbia posto fine ad una controversia vertente proprio sulla eccepita nullità del titolo.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella pronuncia n. 9229 del 23 aprile 2014. Il caso. Il titolare di una ditta di costruzioni adiva l’Autorità Giudiziaria per sentir dichiarare la nullità di un contratto d’appalto per indeterminatezza della prestazione. La società convenuta si costituiva in giudizio eccependo l’esistenza di una transazione nella quale l’attore dichiarava di non avere nulla a pretendere. La convenuta svolgeva altresì domanda riconvenzionale deducendo l’inadempienza dell’attore al pagamento di una penale. Il Giudice di primo grado rigettava la domanda attrice ed accoglieva la riconvenzionale, mentre la Corte d’appello, in riforma della sentenza, rigettava la riconvenzionale e confermava il rigetto delle domande attoree richiamando la transazione intervenuta tra le parti. L’attore si rivolgeva quindi alla Corte di Cassazione. Regole di interpretazione del contratto. Preliminarmente, la Suprema Corte fornisce alcuni chiarimenti in merito all’applicazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c. In particolare, osservano gli Ermellini come il legislatore abbia attribuito rilevanza assorbente al criterio indicato nel comma 1 dell’art. 1362 c.c., che impone all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti. Ne consegue che, qualora il giudice di merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicché non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti – ciò che è stato fatto nella specie dalla Corte territoriale – detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario del comma 2 dell’art. 1362 c.c., che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione. Transazione su atto nullo. Ciò posto, la questione principale sottoposta all’esame dei Giudici di legittimità attiene alla verifica della possibilità di sanare un contratto nullo attraverso una transazione che ne affermi la validità. Al fine di fornire soluzione al quesito, la Suprema Corte richiama la distinzione invalsa in dottrina tra gli istituti della convalida e della ratifica, quali rimedi per l’atto annullabile, e gli istituti della conversione, della conferma e dell’esecuzione volontaria consapevole, quali rimedi per l’atto nullo. Ebbene, la previsione dell’art. 1423 c.c., secondo cui il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente, ha posto il problema dell’esistenza di una generale figura di sanatoria dell’atto quale estensione della convalida alla conferma ed alla esecuzione volontaria. Invero, sulla scorta di quanto disposto dall’art. 1972 c.c., per il quale nei casi in cui la transazione è stata fatta relativamente ad un titolo nullo l’annullamento di essa può chiedersi solo dalla parte che ignorava la causa di nullità del titolo, la Suprema Corte giunge alla conclusione che non può dichiararsi la nullità del contratto in ragione dell’effetto preclusivo della transazione. In altri termini, la nullità non può essere invocata da chi con la transazione abbia posto fine ad una controversia vertente proprio sulla eccepita nullità del titolo.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 5 marzo – 23 aprile 2014, n. 9229 Presidente Piccialli – Relatore Corrente Svolgimento del processo Con citazione 19.5.2004 R.M. conveniva davanti al Tribunale di Monza, sezione di Desio, Stella costruzioni srl per sentir dichiarare nullo ex art. 1346 cc il contratto inter partes per indeterminatezza della prestazione dell'attore ed in subordine dichiarare che aveva subito modifiche con maggiore onerosità della prestazione dell'appaltatore, con condanna della convenuta al pagamento dei lavori eseguiti in relazione al contratto di appalto 20.7.2002 relativo alla costruzione di sei villette al rustico per il corrispettivo a corpo di Euro 309.880. La convenuta chiedeva il rigetto della domanda, eccependo l'esistenza di una transazione e l'inadempienza dell'attore al pagamento di una penale di Euro 10.000 per la quale svolgeva riconvenzionale oltre il danno ex art. 96 cpc. Con sentenza n. 582/2005 il tribunale rigettava la domanda attrice ed accoglieva la riconvenzionale mentre la Corte di appello, in riforma, con sentenza 13.6.2008, rigettava la riconvenzionale e confermava il rigetto delle domande del R. richiamando la transazione tra le parti. Ricorre R. con nove motivi, illustrati da memoria, non svolge difese controparte. Motivi della decisione Si denunzia col primo motivo violazione degli art. 1965, 1362, 1363, 1364, 2725, 2729 cc in quanto la Corte di appello ha ritenuto che la scrittura 10.1.2004 sia una transazione col quesito una scrittura è transazione se indica l'ambito della lite, le vicendevoli rinunzie, etc. Col secondo motivo si lamenta violazione dell'art. 1972 II cc col quesito qualora si affermi la nullità di un contratto non è consentito sanare lo stesso attraverso una scrittura che ne affermi la validità. Col terzo motivo si deduce violazione degli artt. 1346, 1347, 1348, 1349 cc per avere la sentenza affermato che l'indeterminatezza dell'oggetto attiene alla cosa od al prezzo e non alla prestazione dedotta in contratto, con relativo quesito. Col quarto motivo A - B si lamenta violazione dell'art. 1655 cc per la qualifica implicita di contratto a forfait e non a misura, e per l'affermazione che l'appaltatore è tenuto solo alle prestazioni previste. Col quinto motivo si denunzia violazione degli artt. 1427, 1428, 1429 n. 2, 1431, 1439 cc per non essere stati esaminati i presupposti per l'annullamento del contratto. Col sesto motivo di deduce violazione dell'art. 1440 cc. con l'indicazione del seguente principio di diritto quella regolamentazione contrattuale non sarebbe stata accettata o conclusa da una delle parti per dare origine al dolo incidente ex art. 1440 cc. Tale ipotesi deve riscontrasi quando il contratto si fonda su presupposti di fatto rivelatisi successivamente errati. Col settimo motivo A - B si lamenta l'errata interpretazione della domanda in contrasto col suo contenuto letterale. Con l'ottavo motivo si denunzia violazione degli artt. 183 e 345 cpc in quanto la domanda di condanna a pagare il residuo corrispettivo del contratto di appalto come integrato dalla scrittura 12.1.2004 non realizza una causa petendi ed un petitum diversi. Col nono motivo si denunzia violazione dell'art. 112 cpc in quanto la sentenza non ha pronunziato sull'an debeatur. Osserva questa Corte Suprema La sentenza impugnata ha fondato la decisione sulla transazione tra le parti, che, peraltro, il ricorrente riporta integralmente e si conclude con l'affermazione che l'impresa del R. nulla ha a pretendere dalla Stella costruzioni. L'opera dell'interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d'ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. CC, oltre che per vizi di motivazione nell'applicazione di essi pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di conseguenza, ai fini dell'ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea - anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente - la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d'una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d'argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753 . Né può utilmente invocarsi, come sembra, la mancata considerazione del comportamento delle parti. Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d'ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell'ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nel primo comma dell'art. 1362 CC - eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 CC per il caso di concorrenza d'una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito -onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d'una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicché non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l'intento effettivo dei contraenti - ciò che è stato fatto nella specie dalla corte territoriale, con considerazioni sintetiche ma esaustive - detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario del secondo comma dell'art. 1362 CC, che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389 . Nella specie le plurime censure sono precedute da una operazione di assemblaggio di atti del processo in parte riprodotti e fotocopiati che contravvengono al necessario requisito di una sommaria esposizione del fatto, costringendo la Corte ad una lettura in gran parte non consentita, e si concludono con la indicazione di norme violate e la indicazione di principi di diritto assertivi e tautologici. Contravviene alla necessaria specificità dell'impugnazione il motivo che indichi la violazione di plurime disposizioni a prescindere dalle specifiche argomentazioni contenute nella sentenza mentre i quesiti di diritto non osservano il disposto del d.lgs. n. 40/2006, applicabile ratione temporis, trattandosi di sentenza pubblicata il 13.6.2008, non sostanziandosi in un interrogativo positivo o negativo concretamente funzionale all'accoglimento della censura S.U. 20603/2007, 16528/2008, Cass. 823/2009, 446/2009, 321/2009, 4309/2008, 24255/2011, 4566/2009 , ma in una affermazione astratta, assertiva e tautologica come dedotto. Nella specie non solo la transazione era stata formalmente eccepita ma la stessa era idonea a determinare la cessazione della materia del contendere Cass. 24.10.2012 n. 18195 anche in presenza di preclusioni processuali Cass. 8.9.2008 n. 22650 in ogni caso era rilevabile di ufficio Cass. 7.3.2006 n. 4883 . La vicenda può essere, peraltro, inquadrata nella fattispecie a formazione successiva e valutata in relazione al principio di conservazione degli atti giuridici. In dottrina si sono da tempo distinti gli istituti della convalida e della ratifica come rimedi per l'atto annullabile e della conversione, della conferma e della esecuzione volontaria consapevole come rimedi per l'atto nullo. La previsione dell'art. 1423 cc, secondo il quale il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente, ha posto il problema della esistenza di una generale figura di sanatoria dell'atto quale estensione della convalida alla conferma ed alla esecuzione volontaria, non ravvisandosi una contrapposizione ontologica tra nullità ed annullabilità con la conseguente contrapposizione logica tra insanabilità della prima e sanabilità della seconda. In definitiva l'effetto preclusivo della transazione e la solo affermata nullità del contratto determinano il rigetto delle prime due censure e l'assorbimento delle altre, tenuto anche conto che la denunziata violazione delle norme processuali omette la analitica esposizione delle domande ed eccezioni proposte in primo grado o riproposte in appello. Peraltro la nullità non può essere invocata da chi con la transazione abbia posto fine ad una controversia vertente proprio sulla eccepita nullità del titolo Cass. 2.11.1992 n. 11871, Cass. n. 1834/1977, Cass. n. 1356/1977 . Il ricorso va, pertanto, rigettato, senza pronunzia sulle spese in assenza di attività difensiva di controparte. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.