L’associazione in partecipazione non è un contratto associativo con comunione di scopo

L’associazione in partecipazione si caratterizza per il carattere sinallagmatico tra l’attribuzione da parte dell’associante di una quota degli utili derivanti dalla gestione di una sua impresa o di un suo affare all’associato e l’apporto, da quest’ultimo conferito, di qualsiasi natura e con carattere strumentale per l’esercizio di quell’impresa o di quell’affare.

Questo il principio espresso dalla Prima Sezione Civile della Suprema Corte, con la sentenza n. 8955 del 17 aprile 2014, nel giudizio avente ad oggetto l’esecuzione di un contratto biennale di partecipazione alla pubblicazione di calendari interregionali del gioco del golf. La fattispecie. In forza di apposita clausola compromissoria le parti intraprendevano giudizio arbitrale conclusosi con lodo del 2005, con il quale la concessionaria veniva condannata a pagare il compenso pattuito per il primo anno, nonché quello relativo al secondo, ancorché il contratto non avesse avuto esecuzione, per essersi venuta a trovare in una situazione di mora credendi . Con atto di citazione notificato nell’ottobre dello stesso anno, la concessionaria impugnava il lodo, deducendone la nullità per aver errato gli arbitri nel qualificare il lodo come rituale, nonché per l’inesatta applicazione degli artt. 1206 e 1217 c.c Anche controparte impugnava il lodo in via incidentale, deducendone la parziale nullità con riferimento alle domande inerenti ai ricavi ottenuti con i cartelloni pubblicitari. La Corte di merito territoriale, ribadita la natura rituale del lodo, accoglieva solo la domanda relativa ai compensi per l’anno in cui il contratto non era stato eseguito, in considerazione dell’inapplicabilità al negozio sottoscritto dalle parti, di associazione in partecipazione nella forma della cointeressenza, in quanto privo di sinallagmaticità. Conseguentemente, l’offerta della prestazione non dava diritto a pretendere l’adempimento da parte dell’altro. Per la Cassazione di detta pronuncia è stato interposto ricorso, affidato a 6 motivi di diritto. La Corte, tuttavia, ha accolto solo il secondo, ritenendo i restanti in parte inammissibili ed in parte infondati o, comunque, assorbiti dall’accoglimento parziale del secondo motivo. In particolare, i giudici della legittimità hanno condiviso la censura riguardante la violazione e falsa applicazione degli artt. 2554, 1460 e 1220 c.c. e l’erronea esclusione del carattere sinallagmatico del contratto reso inter partes . Associazione in partecipazione non assimilabile ai contratti con comunione di scopo. La Corte, definendo l’associazione in partecipazione come quel rapporto con il quale si crea un carattere sinallagmatico tra l’attribuzione da parte dell’associante di una quota degli utili derivanti dalla gestione di una sua impresa o di un suo affare all’associato e l’apporto, da quest’ultimo conferito, di qualsiasi natura e con carattere strumentale per l’esercizio di quell’impresa o di quell’affare, ha statuito quanto segue. Detto rapporto non è assimilabile ai contratti con comunione di scopo, così come fatto dalla Corte di appello, in quanto, a prescindere dalle assonanze fonetiche, nel primo caso non si forma un patrimonio comune, né una comune assunzione di rischi o di responsabilità. Né a diverse conclusioni può pervenirsi in relazione al rapporto di cointeressenza, laddove è prevista una partecipazione agli utili ma non alle perdite. In conseguenza, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione, con rinvio alla stessa Corte di merito, in diversa composizione, anche per le spese.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 16 ottobre 2013 – 17 aprile 2014, n. 8955 Presidente Salmè – Relatore Campanile Svolgimento del processo 1 - Insorta controversia fra la S.p.a. Mediavip e la S.a.s. Seconds Out in merito all'esecuzione di un contratto biennale concluso in data 28 settembre 2000, avente ad oggetto la partecipazione alla pubblicazione di calendari interregionali del gioco del golf, da distribuire unitamente all'annuario del calendario ufficiale della Federazione Italiana Golf, edito in concessione dalla Mediavip, veniva intrapreso, in forza di apposita clausola compromissoria, giudizio arbitrale, conclusosi con lodo emesso in data 18 luglio 2005, con il quale la Mediavip veniva condannata a pagare le somme di Euro 5.555,71 e 2.041,20 per l'anno 2001, in cui il contratto aveva avuto esecuzione, Euro 23.351,93, per l'anno 2002, attribuite - ancorché il contratto non avesse avuto esecuzione - per essersi venuta detta società a trovare in una situazione di mora credendi. Veniva altresì rigettata la domanda proposta dalla Se-conds Out di ottenere la parte di utili rivendicata in relazione alle annualità 2003 e 2004. 1.1 - Con atto di citazione notificato in data 27 ottobre 2005 la S.p.a. Mediavip d'ora in poi, per brevità, MV conveniva in giudizio davanti alla Corte di appello di Torino la S.a.s Seconds Out d'ora in poi, SO per ottenere la declaratoria di nullità del lodo sopra indicato, per aver errato gli arbitri nel qualificare il lodo come rituale e nell'individuare la durata del contratto, nonché nell'applicazione degli artt. 1206 e 1217 c.c. in merito al corrispettivo inerente all'anno 2002. 1.2 - Il lodo veniva impugnato in via incidentale anche da SO, che ne deduceva la nullità parziale in relazione al rigetto delle domande inerenti ai ricavi ottenuti con i cartelloni pubblicitari totem e agli utili degli anni 2003 e 2004. 1.3 - Per quanto qui maggiormente interessa, la Corte di appello, rigettati i primi due motivi di impugnazione, e ribadita la natura rituale dell'arbitrato e la validità della statuizione degli arbitri secondo cui il vincolo non si sarebbe risolto in via transattiva nel dicembre del 2011, accoglieva il terzo motivo dell'impugnazione principale, ritenendo che la decisione relativa all'attribuzione dei compensi per l'anno 2002 non fosse condivisibile, soprattutto in considerazione dell'inapplicabilità al contratto concluso fra le parti, di associazione in partecipazione nella forma delle cointeressenza, in quanto privo di sinallagmaticità, della norma contenuta nell'art. 1460 c.c Conseguentemente doveva escludersi che l'offerta, formale o informale, della prestazione, attribuisse all'offerente, ovvero a SO, il diritto di pretendere l'adempimento della prestazione da parte dell'altro contraente. 1.3 - Venivano inoltre dichiarati inammissibili i primi tre motivi dell'impugnazione incidentale, inerenti, il primo, alla pretesa correlata ai cartelloni pubblicitari, il secondo ai compensi per gli anni 2003 e 2004, e il terzo la determinazione dei compensi per l'anno 2002, osservandosi che l'interpretazione effettuata dagli arbitri e la relativa motivazione non fossero state adeguatamente censurate. 1.4 - Veniva infine dichiarato inammissibile anche il quarto motivo dell'impugnazione incidentale, concernente il regolamento delle spese del procedimento arbitrale, in quanto tendente, ad avviso della Corte della d'appello, ad ottenere una diversa valutazione nel merito delle circostanze poste alla base della decisione arbitrale. 1.5 - Pronunciando in sede rescissoria limitatamente alla questione oggetto della pronuncia di nullità parziale, la Corte rigettava la domanda di SO inerente ai compensi per l'anno 2002 ed, infine, poneva le spettanze degli arbitri a carico delle parti nella misura del cinquanta per cento ciascuna e condannando MV al pagamento delle spese del giudizio di impugnazione del lodo. 1.6 - Per la cassazione di tale decisione SO propone ricorso, affidato a sei motivi, cui MV resiste con controricorso. Motivi della decisione 2 - Con il primo motivo - previa integrale riproduzione della scrittura privata intercorsa fra le parti, di alcuni documenti nonché dell'intero lodo, si denuncia vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in relazione al diritto di SO di ottenere il riconoscimento del diritto alla percezione degli utili derivanti dalla pubblicazione dell'annuario interregionale dell'anno 2002. 2.1 - Il motivo è inammissibile, in considerazione della formulazione in forma estremamente ellittica dell'indicazione del fatto controverso. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni unite, in relazione al vizio di motivazione l'illustrazione del motivo, ai sensi dell'abrogato art. 366 bis c.p.c., nella specie applicabile ratione temporis , deve contenere cfr., ex multis Cass. S.U. n. 20603/2007 Sez. 3 n. 16002/2007 n. 8897/2008 un momento di sintesi, omologo del quesito di diritto, nella specie assolutamente carente, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 3 - Con il secondo motivo - formulandosi idonei quesiti di diritto - si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2554, 1460 e 1220 c.c., sostenendosi che, avendo gli arbitri qualificato il contratto concluso fra la parti in termini di associazione in partecipazione, nella speciale figura definita come cointeressenza, erroneamente la Corte territoriale ne avrebbe escluso il carattere sinallagmatico, con conseguente inapplicabilità degli artt. 1460 e 1220 c.c 3.1 - La censura è fondata. Come già rilevato da questa Corte Cass., 24 giugno 2011, n. 13968 Cass., 28 maggio 2010, n. 13179 , l'associazione in partecipazione, secondo la nozione che ne viene data dall'art. 2549 c.c. e la disciplina cui essa viene assoggettata negli articoli successivi, si qualifica proprio per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente assodante di una quota degli utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all'altro associato e l'apporto, da quest'ultimo conferito, che può essere di qualsiasi natura purché avente carattere strumentale per l'esercizio di quell'impresa o per lo svolgimento di quell'affare. Nell'associazione in partecipazione non si ha la formazione di un soggetto nuovo, né la costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunanza dell'affare o dell'impresa l'affare o l'impresa rimangono di esclusiva pertinenza dell'assodante così come a lui soltanto continuano ad appartenere tutti i mezzi per la conduzione dell'uno o dell'altra e tutti i relativi poteri di gestione e di decisione art. 2552 c.c. . 3.2 - L'assimilazione di detta figura ai contratti associativi con comunione di scopo, effettuata dalla Corte territoriale, non può essere condivisa, in quanto -ove naturalmente si prescinda da mere assonanze sul piano fonetico - le diverse connotazioni sul piano delle conseguenze giuridiche, anche rispetto ai fenomeni societari, sono rilevanti, ove si considerino la mancata formazione, nell'associazione in partecipazione, di un patrimonio comune, nonché l'assenza di una comune assunzione di rischi e di responsabilità Cass., 11 giugno 1991, n. 6610 . 3.3 - Né a diverse conclusioni può pervenirsi in relazione al rapporto di cointeressenza, quale delineato dall'art. 2554 c.c. e ravvisato nel caso di specie, in quanto, non dubitandosi, come emerge dalla stessa ricostruzione contenuta nella sentenza impugnata, della necessità di un apporto da parte di SO, verrebbe comunque in considerazione una cointeressenza c.c. impropria , parimenti non priva di carattere sinallagmatico, laddove è prevista una partecipazione agli utili, ma non alle perdita, pur sempre in corrispettivo di un determinato apporto cfr. Cass., 8 giugno 1985, n. 3442 . 3.4 - L'affermazione contenuta nella sentenza e nel controricorso, secondo cui si sarebbe formato il giudicato sulla natura propria della cointeressenza, in quanto desumibile dal lodo, non appare condivisibile, sia perché nella decisione arbitrale, interamente riprodotta, come già evidenziato, nel ricorso, si fa anche esplicito riferimento alle reciproche obbligazioni delle parti, sia perché la mera riproduzione dell'art. 2554 c.c. non può da sola costituire una statuizione sulla qualificazione giuridica del rapporto suscettibile di cosa giudicata, ove la qualificazione giuridica stessa non abbia formato oggetto di contestazione fra le parti Cass., 24 aprile 2013, n. 10053 . L'esclusione del carattere sinallagmatico del rapporto, in sé considerato, ha poi comportato l'erronea affermazione dell'inapplicabilità dell'invocata disciplina di cui all'art. 1220 c.c 4 - Il terzo motivo, con il quale si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., risente negativamente - e ne va rilevata l'inammissibilità – del mancato rispetto delle prescrizioni dell'art. 366 bis c.p.c., nei termini sopra evidenziati. 5 - Il quarto motivo - attinente alle valutazioni compiute dalla corte territoriale nella fase rescissoria - è evidentemente assorbito dall'accoglimento della seconda censura. 6 - Correttamente la corte territoriale ha rilevato l'inammissibilità dell'impugnazione incidentale del lodo, ponendo in evidenza come - a prescindere da un generico richiamo alle norme di legge asseritamente violate - veniva in realtà proposta una diversa lettura delle risultanze processuali, inibita nella fase rescindente. Il quinto ed il sesto motivo di ricorso, con il quali si deduce vizio motivazionale e violazione degli artt. 829, 112 e 118 c.p.c., 1362 e 2967 c.c., e da esaminarsi congiuntamente in quanto sostanzialmente sovrapponi-bili, non scalfiscono quindi - anche all'esito dell'esame della richiamata impugnazione incidentale - la validità dei rilievi della corte territoriale, a tacere dell'assoluta astrattezza dei quesiti di diritto e della mancata formulazione, quanto al dedotto vizio motivazionale, del momento di sintesi conclusivo. 7 - In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all'unico motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Torino che, in diversa composizione, applicherà il principio di diritto sopra indicato, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso, che rigetta nel resto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione.