Il conduttore in mora deve pagare solo gli importi stabiliti dalla legge sull’equo canone

Alla scadenza del rapporto di locazione il conduttore messo in mora è tenuto a pagare un importo pari al corrispettivo convenuto nel contratto ed incombe sul locatore la prova di aver subito un danno maggiore rispetto a quello coperto dal canone legale.

La Sesta Sezione Civile della Suprema Corte torna, con l’ordinanza n. 24498 del 30 ottobre 2013, a pronunciarsi in materia di occupazione abusiva ed equo canone, chiarendo che il canone legalmente dovuto dal conduttore messo in mora nella restituzione dell’immobile, resta quello determinato in base alla l. n. 392/1978. Il caso. La vicenda inizia nel 1997 quando la proprietaria di un immobile intima alla conduttrice lo sfratto per finita locazione, sostenendo che il rapporto era scaduto già dal 1994, giusta disdetta ritualmente inviata. Costituitasi in giudizio, la conduttrice contesta le avverse pretese, sostenendo che il rapporto si era rinnovato fino al 1998 e chiedendo, in via riconvenzionale, alla locatrice la restituzione di quanto versato in eccesso. L’adito Tribunale di Messina accoglie le richieste di parte intimata, condanna la locatrice alla restituzione di £. 43.924.713, oltre gli interessi legali dalla data dei singoli pagamenti al soddisfo. Anche la Corte di appello, su istanza della soccombente, conferma la validità degli assunti della conduttrice, pur rideterminando in euro 10.279,50 il suo credito, con gli interessi legali dalla domanda al soddisfo. Per la cassazione della pronuncia di gravame ha interposto ricorso innanzi alla Corte di cassazione la conduttrice, affidato a due motivi di diritto ha contestato la violazione degli artt. 12 e 79 della l. n. 392/1978 in relazione agli artt. 1419 e 1339 c.c., nonché vizi motivazionali ex art. 360, n. 3 e 5 c.p.c. e lamentato un’errata determinazione degli interessi sulle somme riconosciute. La causa, soggetta alla disciplina dettata dall’art. 360 bis c.p.c., è stata trattata in camera di consiglio dalla Corte e decisa in senso favorevole al ricorrente, con ordinanza di accoglimento. Il conduttore che ha pagato importi in eccesso è legittimato a chiederne la restituzione. Più precisamente, con la relazione ex art. 380- bis c.p.c., condivisa e fatta propria dalla Corte, è stata evidenziata la fondatezza delle critiche relative alla quantificazione delle somme da ripetere, in quanto il conduttore in mora nella restituzione della cosa è, indipendentemente dalle prove fornite dal locatore, tenuto a corrispondere un importo pari al corrispettivo convenuto che, nel caso di specie, era quello dovuto ai sensi della l. n. 392/1978. Del tutto irrilevante è la circostanza che, nelle more, siano entrate in vigore le normative liberalizzatrici della locazione d.l. n. 333/1992 e l. n. 431/1998 , trattandosi di disposizioni non idonee a far rivivere il canone originariamente pattuito e sostituito d’imperio ex art. 1339 c.c. Il conduttore che abbia pagato importi in eccesso è, pertanto, legittimato a chiederne la restituzione, salva la facoltà del locatore di dimostrare, soggiacendo ai principi generali in tema di onere della prova, di aver subito un danno maggiore rispetto a quello coperto dal canone legale. Anche la doglianza relativa al calcolo degli interessi è apparsa fondata, poiché sono stati fatti decorrere, in riforma della sentenza di primo grado, dalla data della domanda piuttosto che da quella dei singoli esborsi, senza nulla esplicitare in ordine alle ragioni della scelta adottata. La scelta è risultata in contrasto con i consolidati principi giurisprudenziali della Corte che, in materia, sanciscono come gli interessi decorrano dalla domanda giudiziale, se l’ accipiens era in buona fede, e da quello del pagamento se era in mala fede. Conseguentemente, la pronuncia è stata cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Messina in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 9 - 30 ottobre 2013, n. 24498 Presidente Finocchiaro – Relatore Amendola Svolgimento del processo e motivi della decisione È stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti. 1. Il relatore, cons. Adelaide Amendola esaminati gli atti, osserva Con citazione del 30 settembre 1997 Ca Pa. intimò a G P. sfratto per finita locazione in relazione a un immobile nella cui conduzione la convenuta era subentrata al marito. Sostenne che il rapporto locatizio era scaduto il 30 novembre 1994, avendo ella dato regolare disdetta. Costituitasi in giudizio, la conduttrice contestò le avverse pretese, sostenendo che il contratto si era rinnovato fino al 30 novembre 1998 e proponendo domanda riconvenzionale al fine di ottenere il rimborso delle somme corrisposte in eccedenza, rispetto ai canoni dovuti in base alla legge n. 392 del 1978. 2. Con sentenza n. 907 del 2001 il Tribunale di Messina, per quanto qui interessa, determinò in lire 43.924.713 la differenza tra il canone dovuto e quello effettivamente corrisposto dalla conduttrice, per l'effetto condannando Ca Pa. a restituire alla convenuta la predetta somma, con gli interessi legali dalla data dei singoli pagamenti al soddisfo. Proposto gravame dalla soccombente, la Corte d'appello, in data 6 luglio 2010, ha determinato in Euro 10.279,50 il credito della conduttrice P. , con gli interessi legali dalla domanda al saldo. Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte P.G. , formulando due motivi. Resiste con controricorso Ca Pa. . 3. Il ricorso è soggetto, in ragione della data della sentenza impugnata, successiva al 4 luglio 2009, alla disciplina dettata dall'art. 360 bis, inserito dall'art. 47, comma 1, lett. a della legge 18 giugno 2009, n. 69. Esso può pertanto essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ. per esservi accolto. Queste le ragioni. 4. Con il primo motivo l'impugnante denuncia violazione degli artt. 12 e 79 legge n. 392 del 1978, in relazione agli artt. 1419 e 1339 cod. civ., nonché vizi motivazionali, ex at. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ Sostiene che, nel determinare le somme che la Pa. era obbligata a restituirle, erroneamente il giudice di merito non aveva considerato i canoni locatizi corrisposti dal 30 novembre 1994, giorno in cui si era risolto il contratto di locazione, fino all'effettivo rilascio dell'immobile, laddove anche per il periodo successivo alla scadenza del rapporto il canone non poteva che rimanere quello equo . 5. Le critiche sono fondate. Nel motivare la sua decisione la Corte d'appello di Messina ha osservato che, essendo, nelle more del giudizio, passata in giudicato un'altra sentenza che, tra le stesse parti e con riferimento al medesimo rapporto locativo, aveva riconosciuto che il contratto era scaduto il 30 novembre 1994, le somme corrisposte dalla conduttrice in esubero, rispetto ai canoni legalmente dovuti, andavano computate in relazione al ben più limitato arco temporale intercorrente tra il 1 dicembre 1990 e la scadenza innanzi indicata. Posto allora che tali somme erano state quantificate dal consulente tecnico in Euro 10.279,50, al pagamento del relativo importo, con gli interessi legali dalla domanda, doveva essere condannata Ca Pa. . 6. Ora, la decisione adottata dal giudice di merito ignora il consolidato orientamento di questa Corte Regolatrice, secondo cui, considerato che il conduttore in mora nella restituzione della cosa è, perciò stesso, ossia indipendentemente da qualsiasi prova fornita dal locatore, tenuto a corrispondere un importo pari al corrispettivo convenuto, con ciò intendendosi - in caso di applicabilità della legge 27 luglio 1978 n. 392 — il canone legalmente dovuto, specularmente, il medesimo conduttore ha il diritto di ripetere, nei confronti del locatore, quella parte del corrispettivo che superi la misura stabilita dalla legge sul cosiddetto equo canone, anche se tale corrispettivo si riferisca al periodo successivo alla data stabilita per il rilascio, salva la facoltà del locatore di dimostrare, soggiacendo ai principi generali in tema di onere della prova, di aver subito un danno maggiore rispetto a quello coperto dal canone legale confr. Cass. civ. 27 gennaio 2009, n. 1952 Cass. civ. 19 luglio 2002, n. 10560 Cass. civ. 19 giugno 2002, n. 8913 . In tale contesto di nessun ausilio è la circostanza che, nella fattispecie, la locatrice si è riservata di chiedere in separato giudizio il ristoro di siffatti pregiudizi tale riserva non toglie invero che il conduttore, avendone fatto richiesta, ha per l'intanto diritto di ripetere le somme corrisposte in più di quanto legalmente dovuto. 7. Fondato è anche il secondo motivo di ricorso. Il giudice di merito ha apoditticamente attribuito al solvens gli interessi legali sulle somme indebitamente pagate con decorrenza dalla domanda, laddove il giudice di prime cure li aveva riconosciuti dalla data dei singoli esborsi. L'assoluta mancanza di motivazione, sul punto, non consente di cogliere le ragioni della scelta decisoria operata e di verificarne la correttezza sul piano logico e giuridico. Ne deriva che, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d'appello di Messina in diversa composizione . 8. Il collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione. A integrazione delle stesse, tenuto anche conto delle deduzioni hinc et inde svolte nelle depositate memorie illustrative, osserva quanto segue. Rispetto all'affermazione giurisprudenziale secondo cui il canone determinato in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, resta quello legalmente dovuto anche nel periodo di c.d. occupazione abusiva, con quanto ne consegue in termini di estensione degli obblighi restitutori a carico del locatore che abbia percepito un corrispettivo superiore, affermazione alla quale qui si intende dare continuità, del tutto irrilevante è la circostanza che, nelle more, siano entrate in vigore le normative liberalizzatrici in materia di locazione di immobili urbani, costituite dal decreto legge n. 333 del 1992, convertito nella legge n. 359 dello stesso anno, e dalla legge n. 431 del 1998. Trattasi, invero, di discipline che hanno consentito e consentono, sia pure entro determinati limiti, la conclusione di accordi in cui il corrispettivo della locazione è liberamente determinato dalle parti, ma che non sono certo idonee a far rivivere il canone originariamente pattuito e sostituito d'imperio ex art. 1339 cod. civ., posto che tale elemento è stato ormai del tutto espunto dal tessuto negoziale. Del resto, ragionando in ordine alla portata normativa dell'art. 14, comma 5, della legge n. 431 del 1998, nonché alla vigenza, e agli effetti della vigenza, dell'art. 79 della legge n. 392 del 1978, questa Corte ha già avuto modo di affermare che, allorché viene abrogata con gli effetti di cui all'art. 11 delle preleggi, una norma dispositiva della nullità di clausole convenzionali contrarie ad una norma, . l'abrogazione comporta soltanto che, a far tempo da essa, una pattuizione possa avere corso senza che si debba rispettare la norma abrogata, ma non l'elisione della nullità delle pattuizioni pregresse , di talché, in presenza di un contratto di durata, in difetto di una previsione di retroattività dell'abrogazione, . l'azione tendente a far valere la nullità della pattuizione pregressa . resta possibile con l'ulteriore e decisivo corollario che, in ipotesi di pendenza alla data di entrata in vigore della legge n. 431 del 1998 di un contratto di locazione ad uso abitativo con canone convenzionale ultralegale, rispetto a quello previsto della legge n. 392 del 1978, art. 12 e ss., qualora sia intervenuta la sua rinnovazione tacita ai sensi della stessa legge n. 431 del 1998, art. 2, comma 6, il conduttore, nonostante l'abrogazione della legge n. 392 del 1978, . può esercitare l'azione diretta a rivendicare l'applicazione fin dall'origine al contratto del canone legale e la sostituzione imperativa di esso al canone convenzionale. Tale sostituzione, ove l'azione sia accolta, dispiega i suoi effetti anche con riferimento al periodo successivo alla rinnovazione tacita avvenuta nella vigenza della legge n. 431 del 1998 confr. Cass. civ. 5 giugno 2009, n. 12996 v. anche Cass. civ. 20 febbraio 2013, n. 4242 . 9. Infine, quanto agli interessi, la decisione impugnata, facendoli decorrere dalla data della domanda, piuttosto che da quella dei singoli esborsi, riconosciuta dal giudice di prime cure, senza nulla esplicitare in ordine alle ragioni della scelta decisoria adottata, ha violato il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, per cui in tema di locazione di immobili urbani, ove venga proposta, e accolta, la domanda di restituzione delle somme corrisposte dal conduttore in eccedenza, rispetto a quelle consentite dalla legge, gli interessi sugli importi da restituire decorrono dal giorno della domanda giudiziale, se l’ accipiens era in buona fede, e da quello del pagamento, se era in mala fede, con la precisazione che alla violazione della norma imperativa che stabilisce il canone per un immobile adibito ad uso di abitazione, non consegue automaticamente la mala fede del locatore, di talché grava pur sempre sul conduttore l'onere di dimostrare di essere stato indotto alla corresponsione del canone in misura superiore a quella legale, nonostante la sua volontà contraria confr. Cass. civ. 8 maggio 2013, n. 10815 Cass. civ. 31 ottobre 2005, n. 21113 . 10. Consegue da quanto sin qui detto che, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Messina in diversa composizione. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Messina in diversa composizione.