La caparra confirmatoria non può costituire il quantum del danno: il diritto al risarcimento va integralmente provato

La caparra confirmatoria di cui all’art. 1385 c.c. assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferitole dalla legge e in tal caso, essa è legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata qualora, invece, detta parte abbia preferito agire per la risoluzione o l’esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno dovrà essere provato nell’an e nel quantum, secondo la regola generale prevista dall’art. 1223 c.c

Con la pronuncia n. 18423 del primo agosto 2013, la Corte di Cassazione prende posizione, richiamando la propria pregressa giurisprudenza, sul rapporto tra risoluzione e recesso nell’ambito del contratto preliminare, determinando le modalità di quantificazione del danno in relazione all’importo della caparra conferito alla stipula preliminare, soprattutto sotto il profilo dell’onere probatorio. Il caso. La pronuncia della Cassazione in esame prende le mosse dal giudizio di rinvio disposto, in precedenza, sempre dalla Corte di Cassazione, chiamata all’epoca a pronunciarsi avverso una decisione della Corte di Appello in punto di risarcimento del danno a fronte di un recesso effettuato da una parte contraente da un contratto preliminare non perfezionatosi. In primo e secondo grado i giudici di merito avevano reso sentenze contrastanti, ritenendo entrambi i contraenti il promittente venditore, in primo grado il promissario acquirente, in appello responsabili, a vario titolo, della mancata definizione del contratto definitivo e, quindi, imputabili di inadempimento. Già la Cassazione aveva ritenuto di rimettere gli atti alla Corte di Appello rinvenendo un vizio nella sentenza di secondo grado, per la quale il danno, pur in assenza di specifica domanda, doveva essere definito da altro giudizio, da instaurarsi successivamente. Decisione riformata in sede di rinvio, con rigetto della domanda di risarcimento, in assenza di prova. In questo grado di legittimità, quindi, il promittente venditore sostiene l’erroneità di tale pronuncia, sul rilievo che la sua domanda risarcitoria era fondata sull’art. 1385 c.c. e dovendo, quindi, il risarcimento, essere liquidato secondo l’importo della caparra confirmatoria. Come vedremo, la Corte ha rigettato il ricorso confermando la decisione del giudice di seconde cure. Caparra confirmatoria e preventiva liquidazione del danno. La caparra confirmatoria, in linea di principio, rappresenta quella somma di denaro che, all’atto della conclusione di un contratto preliminare di compravendita, il promissario acquirente consegna al promittente venditore , con la funzione, in caso di successiva risoluzione del contratto per inadempimento, di preventiva liquidazione del danno per il mancato pagamento del prezzo la caparra si differenzia, in particolare, dall’importo derivante dall’illegittima occupazione dell’immobile, che invece discende da un distinto fatto illecito, costituito dal mancato rilascio del bene dopo il recesso dal contratto del promittente e che legittima quest’ultimo a richiedere un autonomo risarcimento. In tale contesto, per richiamare una fattispecie molto frequente, il promittente venditore ha diritto non solo a recedere dal contratto ed ad incamerare la caparra, ma anche ad ottenere dal promissario acquirente inadempiente il pagamento dell’indennità di occupazione dalla data di immissione dello stesso nella detenzione del bene sino al momento della restituzione, attesa l’efficacia retroattiva del recesso tra le parti. Caparra confirmatoria, recesso e risoluzione istituti a confronto. ll recesso di cui all’art. 1385, comma 2, c.c. si muove, secondo la giurisprudenza prevalente, sulla base dei medesimi presupposti ed effetti della risoluzione giudiziale per inadempimento della controparte, configurando una forma di risoluzione negoziale per giusta causa del contratto, da affiancare a quelle di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c. e collegata alla anticipata e convenzionale liquidazione del danno risarcibile come tale, il recesso legale con diritto alla caparra si sostituisce al risarcimento del danno ed alla facoltà di determinare la risoluzione secondo la disciplina generale, consentendo una composizione agevole e spedita, senza oneri probatori in ordine all’esistenza e al quantum del danno subìto, derivante dall’altrui inadempimento, colpevole e di non scarsa importanza. Risoluzione del contratto e recesso dal contratto rimedi alternativi. Ai fini del risarcimento del danno, i due rimedi previsti dall’art. 1385 e dagli artt. 1453 e 1455 sono tra loro, però, incompatibili in caso di pattuizione di caparra confirmatoria, ai sensi dell’art. 1385 c.c., la parte adempiente, per il risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento della controparte, può scegliere tra due rimedi, alternativi e non cumulabili tra loro o recedere dal contratto e trattenere la caparra ricevuta o esigere il doppio di essa , avvalendosi della funzione tipica dell’istituto, che è quella di liquidare i danni preventivamente e convenzionalmente, così determinando l’estinzione ope legis di tutti gli effetti giuridici del contratto e dell’inadempimento a esso ovvero chiedere, con pronuncia costitutiva, la risoluzione giudiziale del contratto, ai sensi degli artt. 1453, 1455 c.c. e il risarcimento dei conseguenti danni da provare a norma dell’art. 1223 c.c Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che la domanda di risarcimento del danno, essendo intervenuta la risoluzione, non era stata sufficiente provata, secondo il criterio generale dell’art. 1223 c.c. Recesso e risoluzione la diversa prova del danno. Qualora la parte non inadempiente, invece di recedere dal contratto, preferisca domandarne la risoluzione, ai sensi dell’art. art. 1385, comma 3, c.c., la restituzione di quanto versato a titolo di caparra è dovuta dalla parte inadempiente quale effetto della risoluzione stessa, in conseguenza della caducazione della sua causa giustificativa, senza alcuna necessità di specifica prova del danno, essendo questo consistente nella perdita della somma capitale versata alla controparte, maggiorata degli interessi in re ipsa, mentre la prova richiesta alla parte che abbia scelto il rimedio ordinario della risoluzione riguarda esclusivamente l’eventuale maggior danno subito per effetto dell’inadempimento dell’altra parte peraltro, ove nello stesso contratto sia stipulata una clausola penale in aggiunta alla caparra confirmatoria, tale ulteriore danno risulta automaticamente determinato nel quantum previsto a titolo di penale, la quale ha la funzione di limitare preventivamente il risarcimento del danno nel caso in cui la parte che non è inadempiente preferisca, anziché recedere dal contratto, domandarne, come visto in precedenza, l’esecuzione o la risoluzione. Caparra confirmatoria ed assegno bancario. La caparra confirmatoria ben può essere costituita, ad esempio, mediante la consegna di un assegno bancario, perfezionandosi l’effetto proprio di essa al momento della riscossione della somma recata dall’assegno e, dunque, salvo buon fine, essendo, però, onere del prenditore del titolo, dopo averne accettato la consegna, di porlo all’incasso ne consegue che il comportamento dello stesso prenditore, che ometta di incassare l’assegno e lo trattenga comunque presso di sé, è contrario a correttezza e buona fede e tale da determinare l’insorgenza a suo carico degli obblighi propri della caparra, per cui il prenditore, ove risulti inadempiente all’obbligazione cui la caparra si riferisce, sarà tenuto al pagamento di una somma pari al doppio di quella indicata nell’assegno. Multa penitenziale e caparra penitenziale simili ma diversi. L’istituto della c.d. multa penitenziale” previsto dall’art. 1373, comma 3, c.c., assolve - non diversamente dalla caparra penitenziale di cui all’art. 1386 c.c., nella quale il versamento avviene anticipatamente - alla sola finalità di indennizzare la controparte nell’ipotesi di esercizio del diritto di recesso da parte dell’altro contraente ne consegue che in tali casi, poiché non è richiesta alcuna indagine sull’addebitabilità del recesso, diversamente da quanto avviene in tema di caparra confirmatoria o di risoluzione per inadempimento, il giudice deve limitarsi a prendere atto dell’avvenuto esercizio di tale diritto potestativo da parte del recedente e condannarlo al pagamento del corrispettivo richiesto dalla controparte. Recesso e risoluzione strumenti alternativi anche in giudizio. L’art. 1385 c.c. prevedendo, nei casi di contratti in cui sia stata consegnata una caparra confirmatoria ed a fronte dell’inadempimento dell’altra parte, l’alternatività dei rimedi del recesso e della risoluzione, ne esclude implicitamente la cumulabilità nello stesso giudizio. In un caso, ad esempio, il giudicante ha rilevato che, avendo l’attore chiesto fin dall’atto di citazione che fosse riconosciuto il proprio diritto a trattenere la caparra ricevuta, ha escluso che la sua domanda diretta allo scioglimento del contratto andava qualificata come esercizio del diritto di recesso, nell’ambito della facoltà prevista dal 2º comma del citato art. 1385 c.c. In altri termini, i rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento integrale da una parte, e azione di recesso e di ritenzione della caparra dall’altro si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale proposta la domanda di risoluzione volta al riconoscimento del diritto al risarcimento integrale dei danni asseritamente subìti, non può ritenersene consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra perché verrebbe così a vanificarsi la stessa funzione della caparra, quella cioè di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, consentendosi inammissibilmente alla parte non inadempiente di scommettere” puramente e semplicemente sul processo, senza rischi di sorta.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 aprile - 1° agosto 2013, n. 18423 Presidente Oddo – Relatore Scalisi Svolgimento del processo D.R.C. con atto di citazione del 6 luglio 1992 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma S.A. e S.P. , premesso di aver stipulato il omissis un preliminare di vendita con il quale aveva promesso di acquistare un appartamento in omissis per il prezzo di un miliardo e 500 milioni di lire che aveva corrisposto L.700.000.000 e si era obbligato al pagamento del residuo alla stipulazione dell'atto notarile nel termine di sei mesi, con possibilità di proroga di altri sei mesi, previa corresponsione degli interessi del 12%, che i convenuti non si erano presentati davanti al notaio il giorno 2 luglio 1992 per la stipulazione dell'atto definitivo di compravendita chiedeva il trasferimento coattivo ex art. 1932 cod. civ. e il risarcimento del danno. Si costituivano S.A. , il quale eccepiva la sua estraneità al contratto preliminare e S.P. , la quale sosteneva l'inadempimento della D.R. , inutilmente da lei diffidata alla stipulazione del contratto definitivo entro il OMISSIS e chiedeva, pertanto il rigetto della domanda attorca e in via riconvenzionale che accertato l'inadempimento della D.R. si dichiarasse la legittimità del suo recesso e il suo diritto di ritenzione della caparra o in subordine la risoluzione del contratto con condanna della D.R. al risarcimento del danno attraverso la ritenzione della caparra ovvero con pagamento di una somma da determinarsi nel corso di causa. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 5 giugno 1995, rigettava la domanda della D.R. nei confronti di S.A. e la accoglieva nei confronti di S.P. risolvendo il preliminare in inadempimento di quest'ultima S.P. che condannò alla restituzione della caparra con gli interessi legali, rigettava la domanda risarcitoria della D.R. per mancanza di prova. Avverso questa sentenza, proponeva appello S.P. e la Corte di Appello di Roma con sentenza del 7 luglio 1978 riformava la sentenza di primo grado, ritenendo che la diffida della S. avesse prodotto la risoluzione ai sensi dell'art. 1454 c.c. e dichiarava il contratto risolto di diritto, confermava la restituzione dei 700.000.000 di lire, fissando la decorrenza degli interessi dalla domanda e condannava la D.R. al risarcimento del danno alla S. da liquidarsi in separata sede. Avverso questa sentenza proponeva ricorso per cassazione la D.R. , cui resisteva la S. . La Corte Suprema di Cassazione con sentenza del 26 marzo 2002 rigettò tutti i motivi ad eccezione del quarto relativo alla statuizione sul risarcimento, rimettendo alla Corte di Appello di Roma per un nuovo esame della questione. La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza di rinvio, ha affermato che il giudice d'appello non poteva emanare una condanna generica e rimettere ad un separato giudizio la liquidazione, se non violando il principio prescritto dall'art. 112 cpc, ma doveva liquidare il danno in base agli elementi acquisiti, oppure rigettare per difetto di prova. Il processo veniva riassunto, separatamente dalla D.R. e dalla S. il 26 e 27 marzo 2003. I processi venivano riuniti. La Corte di appello di Roma con sentenza n. 153 del 2006 riformava la sentenza del Tribunale di Roma e rigettava la domanda di risarcimento del danno proposta da S.P. . Compensava le spese sia del giudizio di secondo grado e sia del giudizio di legittimità. La Corte romana ha ritenuto opportuno, anzitutto, precisare che la S. correlò, alla domanda di risoluzione del contratto, la richiesta di condanna della D.R. al risarcimento da soddisfare alternativamente attraverso la ritenzione della caparra, ovvero nel pagamento della somma da accertare e la sentenza parzialmente annullata statuì sulla prima delle richieste alternative quella, cioè, tendente all'affermazione del diritto della S. di ritenere la caparra e la rigettò in applicazione dell'art. 1385 terzo comma, secondo il quale nell'ipotesi in cui la parte non inadempiente non eserciti il recesso, ma agisca per la risoluzione del contratto il diritto al risarcimento rimane regolata dalle norme generali e va, quindi, dimostrato nell'an e nel quantum. Tale statuizione non è stata censurata e non ha, quindi, formato oggetto di esame da parte della cassazione, limitato esclusivamente alla decisione sulla domanda alternativa di risarcimento quella volta all'effettivo risarcimento del danno e alla sua liquidazione. Ora nella fase di rinvio la S. non ha invero formulato la domanda di risarcimento nella forma della liquidazione del danno, né la S. ha dimostrato o ha chiesto di dimostrare il danno subito, né ha allegato alcuna specificazione e, dunque, la domanda della S. va rigettata. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da S.P. con atto di ricorso affidato ad un unico motivo, illustrato con memoria. D.R.C. , in questa fase non ha svolto alcuna attività giudiziale. Motivi della decisione 1.- Con l’unico motivo di ricorso S.P. lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi vigenti in tema di risarcimento e liquidazione dei danni derivanti da risoluzione del contratto, artt. 1385, 1453, 1452, 1455 e ss. cc. in relazione all'art. 360 n. 3 cpc, nonché la violazione dei principi in sede di giudizio di rinvio e d'interpretazione e qualificazione della domanda, anche in rapporto alla funzione del giudicato art. 392 e ss. cpc. art. 163 e ss. cpc. in relazione all'art. 360 n. 3 e 4 cpc. Avrebbe errato la Corte romana, secondo la ricorrente, nell'aver rigettato le domande avanzate con l'atto di riassunzione dalla S. e, cioè sia la domanda di risarcimento del danno con liquidazione in separato giudizio sia la domanda subordinata di liquidazione del danno nella forma della ritenzione della caparra perché ritenendo che la prima la domanda di risarcimento del danno con liquidazione in separato giudizio non potesse essere accolta atteso che, in sostanza, avrebbe disapplicato la statuizione della Corte Suprema espressa con la sentenza di rinvio e oggetto del presente giudizio, mentre la seconda la domanda subordinata di liquidazione del danno nella forma della ritenzione della caparra non poteva essere accolta atteso che il diritto alla ritenzione della caparra a titolo di risarcimento escluso dalla Corte di Appello con la sentenza del 7 luglio 1998, ormai divenuta definitiva, non avrebbe tenuto conto dell'intera vicenda processuale. La Corte romana, secondo la ricorrente non avrebbe tenuto conto che la sig.ra S. con l'atto di appello aveva chiesto contestualmente all'annullamento e/o alla riforma della sentenza di primo grado l'accoglimento di tutte le domande proposte in primo grado che venivano a tal fine integralmente ed espressamente richiamate pertanto, sia pure in torma gradata e alternativa, la sig.ra S. aveva ritualmente proposto sia la domanda di recesso ex art. 1385 secondo comma cc. con conseguente ritenzione della caparra sia in via subordinata la risoluzione del contratto per grave ed incolpevole inadempimento della D.R. con richiesta di risarcimento danni commisurato e riferito o alla perdita della caparra confirmatoria, già versata, ovvero alla somma che sarebbe stata accertata in corso di causa o in separato giudizio. Se, dunque questa era la realtà degli atti di causa, specifica la ricorrente, assume rilievo determinante proprio in rapporto alla decisione emessa dalla Corte Suprema di rinvio che la liquidazione del danno fosse stata espressamente ancorata dall'attuale ricorrente alla misura della caparra versata all'atto del preliminare. Come affermato dalla Corte di Cassazione, specifica ancora la ricorrente, non sarebbe precluso nemmeno alla parte che si sia avvalsa della risoluzione stragiudiziale ex art. 1454 cc, richiedere giudizialmente il risarcimento, utilizzando la caparra nella sua funzione di preventiva liquidazione del danno, atteso che il diritto alla caparra può essere fatto valere, anche, nell'ambito della domanda di risoluzione quale entità del danno da risarcire. Insomma, ritiene la ricorrente, qualora la parte non inadempiente chiede la risoluzione del contratto ex art. 1453 cc, la stessa, conserva il diritto di ritenere la caparra ricevuta con questa conseguenza a che se il danno accertato è superiore all'importo della caparra a questo importo deve essere aggiunta la differenza fra lo stesso danno e l'importo della caparra b se il danno accertato è inferiore all'importo della caparra, il danno da risarcire viene a corrispondere non al minore importo accertato nel giudizio, ma all'importo della caparra, che costituisce, perciò, la misura minima del danno risarcibile derivante dall’inadempimento. Pertanto, conclude la ricorrente, sulla base delle considerazioni svolte apparirebbe del tutto illegittimo sostenere che la domanda di riconoscimento del diritto alla ritenzione definitiva della caparra, a titolo di risarcimento, risulterebbe preclusa dalla statuizione sul punto della Corte di Appello nella sentenza n. 2396 del 1998. Piuttosto, tale domanda non incontrava alcun tipo di preclusione nel giudicato formatosi, viceversa, esclusivamente in relazione alla domanda di recesso ex art. 1385 cc. La ricorrente conclude formulando il seguente quesito di diritto Il risarcimento del danno derivante dalla pronuncia di risoluzione del contratto può essere liquidato a tale titolo e ferma restando la sua autonomia e diversità rispetto alla domanda di recesso ex art. 1385 cc. in favore della parte adempiente con riferimento ed in misura pari all'importo della caparra confirmatoria versata dalla parte inadempiente? 1.1.- Il motivo è infondato. È giusto il caso di evidenziare che la Corte romana, intanto, ha correttamente richiamato i principi espressi dalla Corte di Cassazione con la sentenza di rinvio ed, ad un tempo, ha correttamente evidenziato le esigenze di fatto e di diritto che il Giudice del rinvio avrebbe dovuto soddisfare. In particolare, la Corte romana ha chiarito che la Corte di Cassazione, avendo accertato che la S. sia in primo che in secondo grado aveva chiesto la condanna della D.R. al risarcimento dei danni nella misura della caparra versata o in quella che sarebbe stata accertata in corso di causa, ha affermato che il giudice di appello non poteva emanare una condanna generica e rimettere ad un separato giudizio la liquidazione se non violando il principio prescritto dall'art. 112 cpc, ma doveva liquidare il danno in base agli elementi acquisiti, oppure rigettare per difetto di prova. Pertanto, la Corte di Cassazione demandava al Giudice del rinvio di liquidare il danno in base agli elementi acquisiti, oppure rigettare per difetto di prova. Ora, la Corte romana ha riscontrato che con l'atto di riassunzione la S. ha riformulato la domanda di risarcimento riproponendo a in via principale, la domanda di liquidazione del danno in separato giudizio b in subordine, la domanda di liquidazione del danno nella forma di ritenzione della caparra. Epperò, come correttamente ha evidenziato la Corte romana, la domanda in via principale non poteva esser accolta perché avrebbe comportato una disapplicazione della statuizione della Suprema Corte, espressa con la sentenza di rinvio e oggetto del presente giudizio. D'altra parte, era del tutto evidente che l'accoglimento di quella domanda avrebbe comportato lo stesso errore in cui era incorsa la sentenza che era stata cassata. Tale affermazione - come pure è stato evidenziato dalla stessa Corte romana - risponde pienamente al principio più volte espresso da questa Corte secondo cui nei casi in cui il Giudice di legittimità decida questioni di fatto o di diritto che si presentano come necessarie ed inderogabili rispetto alla valutazione dei criteri in procedendo e in iudicando di cui è stata assunta la violazione il giudice del rinvio, non potrà discostarsi non solo da questa, ma anche dall'accertato presupposto, il cui riesame tenderebbe a porre nel nulla o a limitare l'effetto della sentenza della Cassazione. 1.1.a .- Non merita alcuna censura neppure l'affermazione della Corte romana con la quale ha ritenuto preclusa l'altra domanda avanzata dalla S. con l'atto di riassunzione e, cioè, la domanda di riconoscimento del diritto alla ritenzione definitiva della caparra a titolo di risarcimento del danno, perché sulla stessa si era formato il giudicato. A ben vedere, la Corte romana ha correttamente evidenziato che la domanda di risoluzione del contratto proposta dalla S. era stata accompagnata dalla richiesta di condanna della D.R. al risarcimento da soddisfare alternativamente attraverso la ritenzione della caparra versata, ovvero nel pagamento della somma da accertare. Sennonché la domanda al risarcimento da soddisfare con la ritenzione della caparra era stata esclusa dalla sentenza parzialmente annullata dalla Corte di cassazione e tale statuizione non era stata censurata e non aveva formato oggetto di esame da parte della stessa Corte di Cassazione, con l'ineludibile conseguenza che quella statuizione era divenuta definitiva. Pertanto, tale domanda non poteva essere riproposta, neppure con l'atto di riassunzione. Né quella domanda, di ritenere la caparra a titolo di risarcimento del danno, integrava gli estremi di una domanda volta al concreto ed effettivo accertamento del danno e alla sua liquidazione non fosse altro perché la richiesta di trattenere la caparra a titolo di risarcimento del danno darebbe per affermato ma, non dimostrato che il danno subito fosse eguale all'ammontare della caparra. Piuttosto, correttamente la sentenza impugnata ha evidenziato che la S. avrebbe dovuto - ma non lo ha fatto - riformulare la domanda di risarcimento del danno nella forma della liquidazione con l'impegno della stessa S. di dimostrare l'an e il quantum del danno di cui chiedeva la liquidazione, che però, come afferma la sentenza impugnata non sembra lo abbia fatto né abbia dimostrato o abbia chiesto di dimostrare il danno subito. 1.1.b .- Per altro è convincimento di queste Sez. Un. che del tutto destituita di fondamento benché suggestivamente sostenuta in dottrina e motivatamente fatta propria da una recente giurisprudenza di legittimità e di merito risulti la teoria della caparra intesa quale misura minima del danno risarcibile da riconoscersi, comunque, alla parte non inadempiente, benché questa si sia avvalsa, in sede di introduzione del giudizio, dei rimedi ordinari di tutela Cass. n. 553 del 2009 . In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere al regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione atteso che D.R.C. , in questa fase non ha svolto alcuna attività giudiziale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.