Buona fede: un principio che non può mai mancare … anche in pendenza della condizione contrattuale

Il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all’art. 1358 c.c., che impone alle parti l’obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione e l’omissione di un’attività può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo.

Il caso. Una ditta di autotrasporti stipulava con una s.p.a. venditrice di automobili un contratto di compravendita avente ad oggetto un autocarro, ma tale acquisto, per il quale era stato versato un anticipo a titolo di caparra, veniva sottoposto alla condizione sospensiva della concessione di un finanziamento da parte di una società di leasing. La ditta però, non otteneva il finanziamento. L’acquirente quindi, citava in giudizio la venditrice per sentirla condannare alla restituzione della caparra previa declaratoria di risoluzione o inefficacia della richiamata condizione. La convenuta si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle avverse pretese, proponendo domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento di parte attrice con condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni. Secondo la convenuta la società finanziaria cui si era rivolta l’acquirente aveva confermato la sua disponibilità ad erogare la somma richiesta subordinatamente all’acquisizione, da parte del soggetto finanziato, della documentazione fiscale che l’acquirente aveva omesso di fornire, con la conseguente mancata erogazione del fondo per fatto imputabile a parte attrice. Il Tribunale sulla base delle argomentazioni della s.p.a. rigettava la domanda attorea. In appello però, la pronuncia veniva modificata completamente. I giudici di merito infatti, accertavano che nelle more della definizione della pratica, le condizioni per ottenere il finanziamento erano mutate in quanto era stata richiesto all’acquirente una fideiussione da prestarsi a cura di un soggetto terzo, nonché soggetto obbligato a reperire la documentazione necessaria. Chiarito ciò, la corte territoriale dichiarava l’inefficacia del contratto di compravendita con conseguente restituzione della caparra, stante il mancato avveramento della condizione non per colpa dell’acquirente, ma del terzo. Avverso la sentenza, la venditrice proponeva ricorso per cassazione. Nel caso di specie si è di fronte ad una condizione potestativa mista. La ricorrente contestava la sentenza impugnata nella parte in cui qualificava la condizione apposta al contratto come condizione causale anziché risolutiva e nella parte in cui riteneva che il mancato buon fine del contratto fosse dipeso da un terzo. In realtà, a dire della venditrice, la mancata conclusione del contratto sarebbe dipesa dalla compratrice che non si era attivata per consegnare la necessaria documentazione, in quanto, a causa delle sue capacità lavorative e finanziarie, non aveva più interesse alla conclusione del contratto. La Suprema Corte, nel condividere le censure di parte ricorrente, osserva come la condizione vada correttamente qualificata come condizione potestativa mista, il cui avveramento dipende in parte dal caso o dal terzo ed in parte dalla volontà di uno dei contraenti. Anche durante lo stato di pendenza della condizione la buona fede non può mancare. Peraltro, sempre a dire della ricorrente, l’acquirente non si sarebbe comportato secondo buona fede, essendo l’unica responsabile della mancata conclusione del contratto. Anche questa censura viene accolta dalla Suprema Corte in quanto come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all’art. 1358 c.c. che impone alle parti l’obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione. Inoltre la Suprema Corte ha precisato che l’omissione di un’attività può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico. Siffatto obbligo sussiste anche per il segmento” non causale della condizione mista, in quanto gli obblighi di correttezza e buona fede impongono una serie di comportamenti di contenuto atipico che assumono la consistenza di standard integrativi di tali principi generali, e sono individuabili mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge. Il contratto sottoposto a condizione mista è soggetto alla disciplina ex art. 1358 c.c In ottemperanza la principio di buona fede il comportamento del contraente dalla cui volontà dipende l’avveramento della condizione non può essere considerato privo di ogni carattere doveroso per due ragioni. In primo luogo perché tale comportamento finirebbe per risolversi in una forma di mero arbitrio, contrario quindi all’art. 1355 c.c. In secondo luogo perché aderendo a tale indirizzo si verrebbe ad introdurre nel precetto dell’art. 1358 c.c. una restrizione che questo non prevede e che, anzi, condurrebbe ad un sostanziale svuotamento del contenuto della norma, limitandolo all’elemento causale della condizione mista, cioè ad un elemento sul quale la condotta della parte la cui obbligazione è condizionata ha ridotte possibilità di incidenza, mentre la posizione giuridica d’altra parte resterebbe in concreto priva di ogni tutela. Assenza dell’interesse all’avveramento della condizione può anche subentrare successivamente alla stipula del contratto! Inoltre, la Suprema Corte ribadisce un principio già in precedenza affermato secondo cui alla condizione potestativa mista è pure applicabile l’art. 1359 c.c., a mente del quale la condizione si considera avverata qualora sia mancata per fatto imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa. A ciò si aggiunga che secondo l’orientamento della giurisprudenza, l’art. 1359 c.c., anche se riguarda la parte che aveva interesse contrario all’avveramento della condizione, non intende riferirsi soltanto a coloro che, per contratto, apparivano avere interesse al verificarsi della condizione, ma anche ai comportamenti di chi, in concreto ha dimostrato con una successiva condotta, di non aver più interesse al verificarsi della condizione ponendo in essere atti tali da contribuire a fare acquistare al contratto un elemento modificativo dell’iter attuativo della sua efficacia. In conclusione la Suprema Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 3 ottobre - 14 dicembre 2012, n. 23014 Presidente Rovelli – Relatore Scrima Svolgimento del processo Con atto notificato il 1 giugno 1999, la Autotrasporti Bombasini di Espedito Bombasini esponeva di avere stipulato con la Arena Car S.p.A. un contratto di compravendita di un autocarro Iveco sottoposto alla condizione sospensiva della concessione di un finanziamento da parte della società di leasing E.D.S. S.r.l. e che aveva versato l'importo di L. 5.000.000 a titolo di caparra. Deduceva l'attrice che, non avendo ottenuto il finanziamento, era illegittima la ritenzione della caparra da parte della venditrice. Tanto premesso la Autotrasporti Bombasini di Espedito Bombasini conveniva in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Verona, la Arena Car S.p.A. per sentirla condannare alla restituzione della detta caparra, previa declaratoria di risoluzione o inefficacia del contratto di compravendita per la mancata verificazione della richiamata condizione. Si costituiva la convenuta chiedendo il rigetto delle avverse pretese e proponendo domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento di parte acquirente e di condanna di quest'ultima al risarcimento dei danni, quantificati in L 151.256.202. A fondamento delle istanze proposte, la Arena Car S.p.A. deduceva che il contratto concluso tra le parti era stato risolutivamente condizionato all'ottenimento, da parte dell'acquirente, di un finanziamento la venditrice aveva provveduto ad acquistare il veicolo ed aveva sostenuto una serie di spese la società finanziaria, cui si era rivolta l'acquirente, aveva confermato la sua disponibilità ad erogare le somme richieste subordinatamente all'acquisizione, da parte del soggetto finanziato, della documentazione fiscale relativa al 1995 e che, tuttavia, la Autotrasporti Bombasini di Espedito Bombasini aveva omesso di fornire la documentazione richiesta, con la conseguente mancata erogazione del finanziamento per fatto e colpa dell'attrice. Con sentenza del 2 luglio 2002, il Tribunale di Verona - davanti al quale la causa era stata riassunta dopo che il giudice per primo adito si era dichiarato incompetente per valore - rigettava la domanda attorca e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarava la risoluzione del contratto in questione per fatto imputabile all'attrice e la condannava al pagamento, in favore della convenuta, della somma di Euro 4.131,66, oltre interessi legali dal 22 luglio 1996 nonché alle spese di causa. Riteneva il Tribunale che l'inadempimento dell'attrice si desumeva dalle prove testimoniali e dalla corrispondenza in atti, evidenziando che, nel corso dell'istruttoria della pratica di finanziamento, era stata chiesta all'acquirente la documentazione fiscale relativa all'anno 1995, mai fornita dall'attrice, che non si era attivata per ottenere il finanziamento. La sentenza del Tribunale di Verona veniva impugnata dalla Autotrasporti Bombasini di Espedito Bombasini che rappresentava di non aver potuto provare compiutamente il suo assunto per l'ingiustificato rigetto delle istanze istruttorie formulate in primo grado e che la decisione era errata, avendo il Giudice fondato il suo convincimento unicamente sulla raccomandata del 22 luglio 1996, cui non era attribuibile, invece, nessun valore. La società appellata si costituiva chiedendo il rigetto del gravame proposto e formulava appello incidentale lamentando l'erronea determinazione dei danni operata dal primo Giudice. La Corte di appello di Venezia, con sentenza del 7 febbraio 2006, accoglieva l'appello principale e rigettava quello incidentale, condannava quindi la Arena Car S.p.A. divenuta nel frattempo Fergiarena S.r.l. alla restituzione, in favore dell'appellante, della somma di Euro 2.582,28, oltre interessi legali dal suo versamento al saldo nonché alle spese del doppio grado di giudizio. Riteneva la Corte di merito che la rilevanza della nota del 22 luglio 2006 con la quale l'appellata aveva comunicato all'appellante la necessità di fornire alla società di leasing alcuni documenti era venuta meno a seguito della successiva comunicazione dell'11 marzo 1997, inviata dalla società di leasing F.D.S. S.r.l. all'appellata, da cui si desumeva che le condizioni per ottenere il finanziamento erano nel frattempo mutate, essendo stata richiesta ex novo all'Arena Car S.p.A. una fideiussione da prestarsi a cura di S.E. , obbligato anche a reperire i documenti necessari all'istruttoria della pratica. Secondo i giudici di secondo grado, stante il mancato avveramento della condizione — che essi qualificavano come casuale - non per colpa dell'acquirente, essendo la mancata stipulazione del contratto di leasing stata determinata dal comportamento del terzo, S.E. , andava dichiarata l'inefficacia della compravendita in questione, con conseguente obbligo della venditrice di restituire la caparra all'acquirente, sulla quale, quindi, non poteva gravare alcuna obbligazione risarcitoria. Avverso la sentenza della Corte di merito la Elimar S.r.l. già Eergiarena S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. Ha resistito con controricorso la Autotrasporti Bombasini di Espedito Bombasini. La controricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 1353 e 1355 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha qualificato quella apposta al contratto stipulato tra le parti come condizione casuale e non come risolutiva e ha ritenuto che il mancato buon fine del contratto di leasing sia dipeso da un terzo identificato v. sentenza p. 9 nella società di leasing, mentre, ad avviso della ricorrente, la mancata conclusione del contratto sarebbe dipesa dalla Bombasini, che non si era attivata per consegnare la necessaria documentazione, in quanto, a causa di difficoltà sopraggiunte e di una diversa valutario ne delle sue capacità lavorative e finanziarie, non aveva più interesse alla conclusione del contratto. 2. Con il secondo motivo, dolendosi della falsa applicazione degli artt. E358 e 1359 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente deduce che la controparte avrebbe, per sua scelta, omesso ogni attività per poter far giungere il contratto ad esecuzione e non si e comportata secondo buona fede, sicché ad essa sarebbe imputabile la mancata conclusione del contratto di leasing e, quindi, il mancato avveramento della condizione, e non già al terzo, come invece ritenuto dalla Corte di merito. 3. Con il terzo motivo, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti art. 360 n. 3 c.p.c. in ordine all'imputabilità della mancata conclusione del contratto di compravendita , la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, insufficientemente motivando, ha ritenuto che il convincimento del Tribunale fosse basato unicamente sulla raccomandata del 22 luglio 2007, posto che in nessun punto della sentenza di primo grado si fa riferimento alla lettera indicata come dirimente deduce, quindi, la contraddittorietà della motivazione, sostenendo che le due missive cui la sentenza impugnata fa riferimento avrebbero lo stesso tenore e dimostrerebbero entrambe l'inadempimento della Bombasini, in quanto S.E. sarebbe la persona prescelta dall'acquirente e, se quest'ultima avesse voluto concludere il contratto, avrebbe consegnato la documentazione necessaria. Sarebbe, quindi, ad avviso della ricorrente, incomprensibile l'argomentazione del Giudice di appello laddove basa la sua decisione sulla seconda lettera senza giustificare e motivare compiutamente il percorso logico-deduttivo seguito. 4. I primi tre motivi di ricorso - i quali, stante la loro intima connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono fondati e vanno, pertanto, accolti. 4.1. Iva Corte di appello ha qualificato la condizione apposta al contratto stipulato tra le parti e di cui si discute in causa quale condizione c.d. casuale, ossia dipendente dal caso o dal fatto del terzo ossia la società di leasing . ed ha escluso l'applicabilità nel caso all'esame delle disposizioni di cui agli artt. 1358 e 1359 cod. civ. Così statuendo, la sentenza impugnata non si sottrae alle censure della ricorrente. 4.2. Ed infatti, la condizione in questione va correttamente qualificata come condizione potestativa mista, il cui avveramento dipende in parte dal caso o dal terzo e in parte dalla volontà di uno dei contraenti, inoltre, questa Corte ha più volte affermato che il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all'art. 1358 cod. civ., che impone alle parti l'obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione Cass., sez. un., 19 settembre 2005, n. 18450 Cass. 28 luglio 2004, n. 14198 , ed ha precisato che l'omissione di un'attività intanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico la sussistenza di un siffatto obbligo deve affermarsi anche per il segmento non casuale della condizione mista, in quanto gli obblighi di correttezza e buona fede, che hanno la funzione di salvaguardare l'interesse della controparte alla prestazione dovuta e all'utilità che la stessa assicura, impongono una sene di comportamenti di contenuto atipico , che assumono la consistenza di standard” integrativi di tali principi generali, e sono individuabili mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge Cass. 28 luglio 2004, n. 14198 . Come già osservato dalle Sezioni Unite con la sentenza sopra richiamata, l'art. 1358 c.c. dispone che colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte . La norma s'inserisce nell'ambito applicativo della clausola generale della buona fede, operante nel diritto dei contratti sia in sede di trattative e di formazione del contratto medesimo art. 1337 c.c. , sia in sede d'interpretazione art. 1366 c.c. , sia in sede di esecuzione art. 1375 c.c. . La fonte dell'obbligo giuridico de quo, dunque, si trova appunto nel citato art. 1358, che lo stabilisce al fine di conservare integre le ragioni dell'altra parte e dunque gli attribuisce un chiaro carattere doveroso. Né convince la tesi secondo cui tale obbligo andrebbe escluso per il profilo attuativo dell'elemento potestativo della condizione mista. Invero, il principio di buona fede intesa, questa, nel senso sopra chiarito come requisito della condotta costituisce ad un tempo criterio di valutazione e limite anche del comportamento discrezionale del contraente dalla cui volontà dipende in parte l'avveramento della condizione. Tale comportamento non può essere considerato privo di ogni carattere doveroso, sia perché - se così fosse - finirebbe per risolversi in una forma di mero arbitrio, contrario al dettato dell'art. 1355 c.c. sia perché aderendo a tale indirizzo si verrebbe ad introdurre nel precetto dell'art. 1358 una restrizione che questo non prevede e che, anzi, condurrebbe ad un sostanziale svuotamento del contenuto della norma, limitandolo all'elemento casuale della condizione mista, cioè ad un elemento sul quale la condotta della parte la cui obbligazione è condizionata ha ridotte possibilità d'incidenza, mentre la posizione giuridica dell'altra parte resterebbe in concreto priva di ogni tutela. Invece è proprio l'elemento potestativo quello in relazione al quale il dovere di comportarsi secondo buona fede ha più ragion d'essere, perché è con riguardo a quell'elemento che la discrezionalità contrattualmente attribuita alla parte deve essere esercitata nel quadro del principio cardine di correttezza. Si deve, perciò, affermare che il contratto sottoposto a condizione mista è soggetto alla disciplina dell'art. 1358 c.c. che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione. Il vero che l'omissione di un'attività in tanto può costituire fonte di responsabilità in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, ma tale obbligo, in casi come quello in esame, discende direttamente dalla legge e, segnatamente, dall'art. 1358 c.c. che lo impone come requisito della condotta da tenere durante lo stato di pendenza della condizione, e la sussistenza di un obbligo siffatto va riconosciuta anche per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo di una condizione mista. Pertanto il giudice del merito deve procedere ad un penetrante esame della clausola recante la condizione e del comportamento delle parti, nel contesto del negozio in cui la clausola stessa è contenuta, al fine di verificare, alla stregua degli elementi probatori acquisiti, se corrispondano ad uno standard esigibile di buona fede le iniziative poste in essere al fine di ottenere il finanziamento . A tale orientamento va data continuità. Inoltre, va rilevato che questa Corte ha anche condivisibilmente affermato Cass. 8 marzo 2003, n. 5492 che alla condizione potestativa mista è pure applicabile l’art. 1359 cod. civ., secondo cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata per fatto imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa. A tanto deve aggiungersi che secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, che pure va condiviso v. Cass. 18 novembre 2011, n. 24325 , l'art. 1359 cod. cod., allorché fa riferimento alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento della condizione, non intende riferirsi soltanto a coloro che, per contratto, apparivano avere interesse al verificarsi della condizione, ma anche ai comportamenti di chi, in concreto, ha dimostrato con una successiva condotta di non avere più interesse al verificarsi della condizione ponendo in essere atti tali da contribuire a fare acquistare al contratto un elemento modificativo dell'iter attuativo della sua efficacia. Nel caso in esame la sentenza impugnata non si è conformata ai richiamati principi, escludendo in radice l'applicabilità alla fattispecie degli artt. 1358 e 1359 cod. civ 5. Con il quarto morivo, lamentando omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti art. 360 n. 3 c.p.c. in ordine al risarcimento del danno , la ricorrente deduce che, per aver dato esecuzione al contratto su richiesta dell'acquirente, ha subito notevoli danni pari a L. 69.282.836, corrispondenti alla differenza tra entrate e uscite, cui dovrebbero aggiungersi L. 32.650.040 per interessi legali sulla somma versata per l'acquisto del veicolo dall'Iveco nel 1995 sino alla data di vendita del medesimo a terzi 21 marzo 2000 , che dovrebbero essere risarciti dalla Bomabasini mentre al riguardo nulla avrebbe osservato la Corte di merito. 5.1. Per effetto dell'accoglimento del primi tre motivi di ricorso resta assorbito l'esame delle ulteriori censure articolate dalla ricorrente con il quarto motivo di ricorso. 6. La sentenza impugnata è cassata in relazione alle censure accolte. La causa va rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Venezia che si uniformerà ai principi sopra indicati v. p. 4.2. e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.