L’appaltatore non ha diritto all’indennizzo per l’immobile abusivo in accessione

In tema di appalto di terzo su suolo altrui, e quindi di accessione, l’illecito edilizio rende nullo il rapporto e, quindi, illecita l’opera eseguita, impedendo, agli eredi dell’appaltatore, il riconoscimento economico dell’eventuale obbligazione assunta e, comunque, posta in essere dal dante causa.

E’, così, legittima la sentenza con cui, accertata la natura abusiva dell’immobile realizzato su terreno altrui oggetto di contratto preliminare di compravendita, vengano respinte le azioni di indennizzo ex artt. 936 e 2041 c.c Il principio si argomenta dalla sentenza n. 23019, depositata il 14 dicembre 2012. Il caso. Negli anni ’60, un soggetto, mediante contratto preliminare successivamente risoluto con sentenza passata in giudicato , prometteva di acquistare il suolo di un altro individuo. Così, su incarico di tre soggetti uno dei quali avente causa dal promittente acquirente veniva realizzato da parte dell’appaltatore, sul terreno oggetto del contratto preliminare, un fabbricato, successivamente qualificato abusivo ed oggetto di ordinanza comunale di demolizione. Quindi, gli eredi dell’appaltatore adivano il Tribunale che, in primo grado, rigettava la domanda surrogatoria, proposta rispetto ai tre committenti dai medesimi ritenuti creditori della proprietaria del terreno, e, poi, quali cessionari dei diritti acquistati in corso di processo dei committenti, proponevano l’azione, accolta, di cui all’art. 936 c.c. a carico degli eredi della deceduta proprietaria del medesimo terreno, azione che però, in secondo grado, unitamente a quella per arricchimento senza causa, veniva rigettata. Il caso verte, sotto il profilo sostanziale, in tema di appalto, contratto, compravendita, abuso edilizio, proprietà e diritti reali, accessione, successioni, ingiustificato arricchimento. All’uopo, è necessario stabilire se e quale azione possa esperirsi in caso di immobile, qualificato abusivo, realizzato su terreno altrui da un terzo ed, in primis , accertare se, ed in quali termini, possa configurarsi, tra gli eredi dell’appaltatore e quelli della proprietaria del terreno, un rapporto creditori-debitori, anche in riferimento ad un precedente rapporto di promessa di compravendita. Bisogna, quindi, focalizzare sui concetti di reato edilizio e di illiceità contrattuale. L’azione surrogatoria presupposti e condizioni. L’azione ex art. 2900 c.c. conferisce al creditore la legittimazione all’esercizio di un diritto altrui è, in sostanza, uno strumento finalizzato a prevenire e neutralizzare gli effetti negativi che possano derivare, alle ragioni del creditore, dall’inerzia del debitore il quale, cioè, ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad incrementare o tutelare il suo patrimonio, in tal modo riducendo la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori. Segnatamente il presupposto dell’esperibilità dell’azione è la trascuratezza non potrebbero, quindi, farsi differenze tra il comportamento inerte e quello che invece, pur apparentemente attivo, si risolva in iniziative manifestamente inidonee allo scopo. L’accessione presupposti e condizioni. In linea generale, l’opera o la costruzione esistente sopra o sotto il suolo appartiene al relativo proprietario art. 934 c.c. segnatamente, quando l’opera è fatta da un terzo con materiali propri, il proprietario del fondo ha diritto di obbligare, con richiesta di rimozione entro sei mesi dalla notizia, colui che l’ha fatta a levarla, tranne se realizzata a sua scienza e senza opposizione o fatta dal terzo in buona fede, o può ritenerla, pagando, in tale secondo caso, a sua scelta il valore dei materiali ed il prezzo della mano d’opera o l’aumento di valore recato al fondo art. 936 c.c. . Così, ha diritto all'indennizzo il terzo che realizzi una costruzione con opere eseguite anche nel proprio interesse, se vi è stata l'accessione della costruzione al suolo e la sua ritenzione da parte del proprietario, a condizione che l'opera arrechi al fondo un aumento di valore Cass. n. 7100/1992 . Tuttavia, è da precisare che il decorso del termine di sei mesi non comporta decadenza dall’esercizio, da parte del proprietario, dello ius tollendi se l’opera realizzata è da considerarsi abusiva secondo la legislazione urbanistica peraltro, anche se ipotizzabile la decadenza, il proprietario non deve corrispondere alcun indennizzo, se l’esecuzione delle opere abusive configura un illecito penale Cass. n. 888/1997 . L’arricchimento senza causa presupposti e condizioni. Elementi costitutivi della fattispecie ex art. 2041 c.c. sono l'arricchimento ingiustificato, l'impoverimento, l'esistenza di un unico fatto generatore del primo e del secondo o di un nesso di causalità immediata e diretta tra arricchimento ed impoverimento. L’ actio de in rem verso è, però, esperibile soltanto quando l’ordinamento non preveda un’azione tipica ad hoc essa grava, in sostanza, l’arricchito dell’obbligo di far rientrare, nel patrimonio del depauperato, quelle utilità che da tale patrimonio siano pervenute in quello dell’arricchito. Il fatto generatore dell’arricchimento e del correlativo impoverimento, essendo atipico, può consistere in qualsiasi condotta umana lecita. I fatti illeciti, invece, non potrebbero fondare l’azione di arricchimento in quanto produttivi non già di una generica iniquità bensì di un nocumento. La norma de quo non può, pertanto, essere esperita per aggirare norme imperative poste a tutela dell’ordine pubblico. In tal senso, non rileva, pertanto, l’avere agito a titolo di cessionari dei diritti dei committenti e, quindi, come successori a titolo particolare e non come aventi causa o eredi del defunto appaltatore. L’illecito edilizio e l’impossibilità di profitto. Un immobile può essere abusivo, tra i vari casi, per destinazione d’uso e/o per consistenza volumetrica nella fattispecie, trattasi di reato di costruzione in totale o essenziale difformità rispetto al titolo edificatorio e non mera difformità esecutiva Cass. nn. 1104/1999, 12271/99, 22866/2007 e 27713/2010 . Se l’immobile non è condonato, l’attività costruttiva posta in essere non è indennizzabile. Non è, infatti, consentito trarre benefici economici da attività illecite sussiste, quindi, giuridica incommerciabilità dell’immobile abusivo. La nullità del contratto d’appalto impedisce l’accoglimento delle azioni civilistiche di natura economica. In ambito di opere eseguite su suolo altrui, il contratto d’appalto, anche se inizialmente valido, diviene, sostanzialmente, nullo per contrasto con norme imperative quando l’immobile realizzato si configura abusivo nessuna tutela può, così, essere riconosciuta per qualsiasi pretesa, direttamente o indirettamente, derivante dall’attività edilizia illecita Cass. nn. 713/1998, 8040/99, 6777/2001, 2884/2002, 12347/2003, 4015/2007, 11300/07, 29340/2008, 4731/2011, 13696/11 e 26583/11 . L’abuso edilizio prevale, cioè, su eventuali obbligazioni, sul lavoro svolto e su eventuali crediti, impedendo, a differenza di quanto sostenuto da Trib. Napoli nn. 3730/1998 e 12333/2001, l’accoglimento delle azioni ex artt. 936 e 2041 c.c. App. Napoli n. 2635/2005 . Ergo , il ricorso va rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 novembre - 14 dicembre 2012, numero 23019 Presidente Rovelli – Relatore Piccialli Svolgimento del processo Il giudizio di merito, per quanto risulta dalle conformi narrative della sentenza impugnata, del ricorso e del controricorso, fu instaurato con citazione notificata il 26.6.81, con la quale P.R. , G. , I. , A. e M.R. ed I R. , eredi di Ge Pa. , convennero al giudizio del Tribunale di Napoli I.F. , Mi Po. , U A. e A D. , per sentir dichiarare che i primi tre, loro debitori ai quali intendevano surrogarsi, avevano diritto all'indennità di cui all’art. 936 c.c. dovuta dalla quarta, per avere ella fatto proprio un fabbricato realizzato in omissis negli anni '60, su un terreno della medesima, dall'appaltatore Ge Pa. dante causa degli attori su committenza dei I. - Po. - A. la seconda quale avente causa da po.mi. , promissario acquirente del suolo in virtù di un contratto preliminare con la D. , poi giudizialmente risoluto, con sentenza passata in giudicato , o, in subordine, a quella per indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., chiedendo la conseguente condanna della convenuta al pagamento della somma, da determinarsi in corso di causa, in favore dei soli P.R. e Gi. , in quanto resisi cessionari delle quote degli altri eredi attori. Radicatosi il contraddittorio, furono pronunziate dall'adito tribunale tre sentenze. Con la non definitiva numero 4738 del 1987, rilevato che in corso di causa i convenuti debitori degli attori avevano fatto proprie le domande introduttive e che, pertanto, non sussistevano più le condizioni dell'azione surrogatoria, questa domanda fu respinta, disponendosi il prosieguo per istruire quelle di I. , Po. e A. . Con la successiva non definitiva numero 3730 del 1998 il tribunale, preso atto di alcune transazioni intervenute tra i germani P. ed i loro debitori I. , Po. e A. , ritenute valide le cessioni operate in favore di P.R. e G. e rigettate una serie di eccezioni, dichiarava che questi ultimi avevano diritto all'indennità di cui all'art. 936 c.c. nei confronti della convenuta D. , e per essa, deceduta nella more, degli eredi Te.Ch. , F. , L. , C. , M.G. e R. , rimettendo al prosieguo la relativa determinazione e dichiarando cessata la materia del contendere nei confronti di tutte le altre parti, diverse dai germani P.R. e G. e dagli eredi D. , tra i quali il processo avrebbe dovuto proseguire. Con sentenza definitiva numero 12333 del 2001 i T. furono condannati al pagamento, a titolo di indennità ex art. 936 c.c., in favore di P.R. e G. della somma di L. 1.442.042.500, oltre agli interessi legali sul capitale originario di L. 80.647.846 a decorrere dal 15.2.1963, ed al rimborso delle spese del giudizio. Ma all'esito dell'appello dei soccombenti T. , resistito da P.R. e G. nella contumacia di P.M.R. , I. e A. e di F I. , con A sentenza numero 2635 del 2005 la Corte di Napoli, dichiarato inammissibile per difetto della prescritta tempestiva riserva il gravame avverso la prima sentenza la non definitiva numero 4738/87 , accoglieva quelli contro le altre due ed, in totale riforma delle stesse, rigettava sia la domanda di pagamento dell'indennità di cui all'art. 936 cc., sia quella per indebito arricchimento, che gli appellati avevano in subordine riproposto, compensando interamente le spese del doppio grado di giudizio. Tali le essenziali ragioni della suddetta decisione 1 la natura abusiva del fabbricato, caratterizzato da numerose e significative difformità ed eccedenze in particolare, destinazione ad appartamenti, anziché a cinema-teatro e ad albergo con un piano in più di quelli previsti rispetto al progetto assentito dalla licenza edilizia, mai eliminate, tanto da dar luogo ad ordinanza comunale di demolizione, né condonate ai sensi delle leggi, nnumero 47/85 e 724/94, comportavano la non indennizzabilità ex art. 936 dell'attività costruttiva, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, non essendo consentito comunque trarre benefici economici da attività illecite 2 analogamente non indennizzabile sarebbe stata detta attività ai sensi dell'art. 2041 c.c., la cui azione non avrebbe potuto essere spiegata per aggirare norme imperative poste a tutela dell'ordine pubblico peraltro i P. , avendo agito contro la D. quali cessionari dei diritti dei committenti e non quali aventi causa dal loro genitore appaltatore, nulla potevano nella prima qualità pretendere, non essendovi stato alcun depauperamento dei predetti per di più, escluso che dall'opera abusiva in sé, come tale incommerciabile, potesse derivare un vantaggio economico al proprietario del fondo, neppure era risultato provato che la stessa fosse stata di fatto e proficuamente utilizzata. Contro la suddetta sentenza P.R. e G. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Hanno resistito con rituale controricorso i T. . Gli altri intimati non hanno svolto attività difensive. Motivi della decisione Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 936, 1418 e 2041 cod. civ., oltre che vizio di motivazione . Premesso che gli istanti, eredi di Ge Pa. , avrebbero fatto valere il diritto all'indennizzo di cui all'art. 936 co. 2 c.c., in quanto terzi, poiché cessionari legittimazione quest'ultima sostituita a quella surrogatoria, originariamente dedotta di quello dei committenti I. , Po. e A. , che non erano proprietari del fondo, né da questi incaricati, si lamenta che la corte di merito, ritenendo abusiva l'intera costruzione e non la sola parte difforme rispetto alla licenza edilizia, avrebbe con un mero artificio verbale del tutto cancellato il suddetto diritto, si da premiare il proprietario del fondo, pur avendo dato atto che la commissione edilizia aveva condizionato il suo parere favorevole all'opera nel suo complesso alla eliminazione della accertate difformità . Sarebbe stato così sanzionato in modo sproporzionato ed ingiusto il comportamento del materiale costruttore anche perché il proprietario avrebbe potuto provvedere addirittura alla sanatoria dell'intera opera , tanto più considerando che la giurisprudenza riferisce la determinazione del valore dei materiali e del prezzo della mano d'opera ex art. 936 c.c. al momento in cui i primi vengono impiegati e la seconda prestata prescindendo così da ogni considerazione relativa al complessivo inserimento nell'opera quale potrà essere quella fatta dal terzo . Il motivo è infondato. La corte di merito, sulla base di accertamento di fatto adeguatamente motivato sulla scorta di inconfutabili risultanze documentali, ha acclarato che il fabbricatoci fatto realizzato dai committenti I. - Po. - A. , a mezzo dell'appaltatore P. , era consistito in un organismo edilizio del tutto diverso da quello previsto nel progetto approvato e dunque totalmente abusivo, sia per strutturale diversità della destinazione d'uso realizzazione di appartamenti, anziché di cinema - teatro e albergo , sia per consistenza volumetrica, essendo stato realizzato un piano in eccedenza dal previsto, tanto da incorrere in ordine di demolizione totale emanato dalla competente amministrazione comunale L'accertamento di siffatte difformità ed eccedenze, comportanti secondo la costante giurisprudenza penale di legittimità v, tra le tante, Cass. 3^ nnumero 1104/99, 12271/99, 22866/07, 27713/10 la configurabilità dell'ipotesi di reato di costruzione in difformità ed essenziale o totale rispetto al titolo edificatorio e non di mera difformità esecutiva e, sul piano amministrativo, le sanzione dell'acquisizione al patrimonio comunale o della demolizione, correttamente dunque ha dato luogo, in sede civile, al rigetto sia della domanda di indennizzo ex art. 936 cod.civ., sia, e di riflesso, a quella ex art. 2041 c.c. Tale reiezione risulta conforme alla giurisprudenza di questa Corte ormai consolidatasi, dalla quale il collegio non ravvisa motivi per discostarsi, secondo cui non solo in considerazione della giuridica incommerciabilità di siffatti beni, ma anche e soprattutto per la contrarietà all'ordine pubblico delle attività di realizzazione degli stessi, concretanti illeciti a carattere penale, oltre che amministrativo, qualsiasi pretesa economica, direttamente o indirettamente, derivante dalle stesse non può ricevere tutela dall'ordinamento oltre a Cass. nnumero 888/97, 713/98, 6777/01, 12347/03 citate nella sentenza impugnata, v. le successive nnumero 11300/07, 29340/08, 4731/11, 26583/11 . Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione delle norme ex artt. 1418 e 2041 c.c., vizio di motivazione , con riferimento al mancato accoglimento della subordinata domanda per ingiustificato arricchimento. Tale diniego contrasterebbe con il principio giurisprudenziale, secondo cui la locupletazione del committente non può essere esclusa in ragione della precarietà del suo diritto dominicale, in considerazione della possibilità di provvedimenti demolitori della P.A., dovendosi comunque tener conto delle utilità comunque e di fatto ricavate dall’opera, sia godendo, sia alienando la stessa, come nella specie sarebbe stato provato. Sotto un secondo profilo, si censura la mancata considerazione che gli attori, odierni ricorrenti, avrebbero agito anche quali eredi dell'appaltatore, qualificazione della domanda che sarebbe stata indebitamente sminuita. Anche tale motivo va respinto. Sotto il primo profilo è sufficiente richiamare le ragioni esposte nel rigettare il precedente motivo, alla stregua delle quali deve ritenersi altrettanto corretta la reiezione da parte della corte di merito della subordinata domanda di ingiustificato arricchimento, considerato che la pretesa economica, anche sotto tale diversa qualificazione, comunque risulta immeritevole di tutela, in quanto derivante da attività illecite e, comunque, tenuto conto della natura residuale dell'azione prevista dall'art. 2041 c.c., nei casi di arricchimento di un soggetto in pregiudizio dell'altro, la cui esperibilità è data soltanto nei casi in cui l'ordinamento non preveda una azione tipica ma non anche in quelli in cui la stessa, sia pur astrattamente prevista, non sia stata esercitata o, se esercitata, come nel caso di specie ex art. 936 c.c., sia risultata infondata. Sotto il secondo profilo, oltre a ritenersi corretto, nel contesto della complessa vicenda processuale come in narrativa ricostruita, il dirimente rilievo della corte territoriale, secondo cui i P. non hanno agito quali aventi causa dal padre appaltatore, bensì quali successori a titolo particolare dei committenti per acquisto fattone in corso di causa, dopo la reiezione, passata in giudicato, del la domanda surrogatoria , giova aggiungere che la domanda, che si sarebbe voluto introdurre, quali aventi causa da un appaltatore, materiale costruttore di un'opera edilizia abusiva, non avrebbe avuto miglior sorte, tenuto conto della costante giurisprudenza, che anche in tali casi ravvisa la nullità del contratto di appalto, in quanto illecito per contrasto con norme imperative, con conseguente non accoglibilità di pretese economiche derivanti dallo stesso v., tra le altre, Cass. nnumero 8040/99, 2884/02, 4015/07, 13696/11 . Il ricorso va, conclusivamente, respinto. Giusti motivi, tuttavia, comportano la totale compensazione delle spese del presente giudizio, tenuto conto della complessità della vicenda, dalla quale la D. e, per essa, i suoi eredi sono usciti di fatto indenni, sulla scorta di giurisprudenza formatasi e consolidatasi in epoca di gran lunga successiva all'inizio della causa. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra tutte le parti le spese del giudizio.