Immobile comprato e ristrutturato in coppia, ma la convivenza si chiude: rimborso alla donna non proprietaria

Operazione conclusa durante gli anni vissuti insieme, ma l’appartamento resta nelle mani dell’uomo. All’ex compagna va riconosciuto il contributo fornito il 50 per cento non del valore dell’immobile, ma delle somme ‘comuni’ destinate all’operazione.

Il metaforico lungo cammino verso la Chiesa si interrompe bruscamente più prosaicamente, il legame e la convivenza tra uomo e donna si dissolvono, all’improvviso, senza il coronamento delle nozze. Addio e ognuno per la propria strada? Non sempre è così semplice, soprattutto se resta da dividere il ‘mattone’, ovvero l’immobile comprato e ristrutturato – e intestato all’uomo, in questo caso – durante gli anni vissuti da coppia. Legittima la richiesta della donna di vedersi riconosciuto il credito relativo a quella operazione, calcolato però non in riferimento al valore dell’immobile ma a quello delle spese effettivamente legate ad acquisto e ristrutturazione Cassazione, sentenza n. 15644/2012, Seconda Sezione Civile, depositata oggi . Flussi di denaro. Secondo la donna, per la precisione, il credito ammonta a quasi 200milioni di vecchie lire, ed è legato a somme erogate – 50 per cento del totale – per acquisto e ristrutturazione e provenienti da conti cointestati e da un mutuo rimborsato da entrambe le parti . Richiesta fondata secondo il Tribunale, ma modificata parzialmente dalla Corte d’Appello. Per i giudici di secondo grado, infatti, il diritto di credito della donna corrisponde al 50 per cento non già del prezzo dell’immobile e delle spese di ristrutturazione, ma del 50 per cento degli esborsi a tali fini sostenuti con denaro comune delle parti provenienti da conti cointestati . Ancora più in dettaglio, il credito è acclarato alla luce delle uscite direttamente riferibili all’acquisto . Credito certo. Secondo l’uomo, però, la decisione emessa in Appello, seppur capace di ridurre il quantum da restituire alla ex compagna, è comunque solo parzialmente accettabile. Secondo il legale che rappresenta l’uomo, difatti, è stata fatta confusione tra petitum e causa petendi , e, allo stesso tempo, è mancato l’accertamento definitivo che le somme esaminate fossero state destinate all’acquisto e alla ristrutturazione dell’immobile. Errori evidenti a cui porre rimedio? Assolutamente no, secondo i giudici della Cassazione, che confermano la pronuncia d’Appello, rigettando il ricorso dell’uomo. Innanzitutto perché la domanda avanzata dalla donna era diretta ad ottenere non già il riconoscimento di un acquisto comune, ma il pagamento di un credito costituito dal rimborso del contributo economico della donna mediante prelievo dai conti correnti comuni all’ acquisto e alla ristrutturazione dell’immobile di cui solo l’uomo era divenuto proprietario. Nessun dubbio, quindi, sulla natura del credito restitutorio , connesso strettamente al 50 per cento degli importi prelevati dai conti con la specifica destinazione al pagamento del prezzo di acquisto e delle spese di ristrutturazione , natura documentata dagli estratti conto per quegli importi che erano sicuramente riferibili all’acquisto o alla ristrutturazione .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 luglio – 18 settembre 2012, n. 15644 Presidente Triola – Relatore Proto Svolgimento del processo Con citazione del 25/3/1994 A.A. conveniva in giudizio F.G. e, premesso di avere vissuto per sette anni more uxorio con il predetto e di avere sostenuto il 50% delle spese per l’acquisto e la ristrutturazione di un immobile acquistato e intestato al solo F., chiedeva che fosse accertato il suo credito ammontante a lire 427 o alla somma maggiore o minore da determinarsi e la condanna del convenuto al pagamento del relativo importo. L’attrice assumeva che le somme da lei erogate per l’acquisto e la ristrutturazione provenivano da conti cointestati e da un mutuo rimborsato da entrambe le parti. Il Tribunale di Torino, sezione stralcio, con sentenza del 20/6/2002 dichiarava il F. tenuto a versare alla A. il 50% delle somme corrispondenti ai costi di acquisto e ristrutturazione e con separata ordinanza disponeva la prosecuzione del giudizio per l’accertamento dell’entità del credito. Il F. proponeva appello al quale resisteva la A. La Corte di Appello di Torino con sentenza in data 1/6/2005 in parziale riforma della sentenza appellata accertava la sussistenza di un giudizio di credito della A. nei confronti del F. nella misura del 50% non già del prezzo dell’immobile e delle spese di ristrutturazione, ma del 50% degli esborsi a tali fini sostenuti con denaro comune delle parti provenienti dai conti cointestati accesi presso il Credito Italiano e l’Istituto Bancario S. Paolo. La Corte territoriale rileva - che i motivi di appello sono diretti a contestare la fondatezza della pronuncia di accertamento dell’esistenza del credito - che nel periodo di convivenza giugno 1986-giugno 1998 le parti avevano due conti cointestati uno, poi estinto, presso il Credito Italiano sul quale affluivano i redditi di lavoro di entrambi secondo le non contestate deduzioni della A., e uno presso l’Istituto Bancario S. Paolo - che la mera cointestazione dei conti non è significativa di una effettiva partecipazione della A. agli esborsi per acquisto e ristrutturazione - che la partecipazione agli esborsi si deve desumere da emergenze che consentano di collegare gli esborsi e i prelievi all’acquisto o alla ristrutturazione - che un credito della A. effettivamente esiste, ma non con riferimento al 50% del prezzo dell’immobile e delle spese di ristrutturazione, bensì al 50% delle uscite dai conti cointestati direttamente riferibili all’acquisto e alla ristrutturazione e provati a quanto alla prima rata semestrale del mutuo contratto per l’acquisto, dalle dichiarazioni confessorie del F. circa il prelievo della provvista dal conto cointestato, che trova riscontro nei prelievi di rilevo da conto contestato in corrispondenza del pagamento della prima rata b quanto a lire 70000 per lavori di ristrutturazione e alle spese notarili per l’acquisto dalle dichiarazioni rese nell’interrogatorio formale dal F. che ha dichiarato di avere pagato i lavori di ristrutturazione e le spese notarili con denaro prelevato dal conto cointestato c quanto ai pagamenti quietanziati in compromesso per lire 30.000.000 dalla circostanza che i pagamenti sono stati effettuati con assegni tratti dai conti cointestati riscontrati sugli estratti conto , circostanza ulteriormente per i versamenti del luglio 1987 per lire dal teste R., parte venditrice - che le indicazioni quantitative in ordine al credito non erano finalizzate alla determinazione del quantum che doveva essere accertato con la sentenza definitiva, ma solo all’accertamento dell’ an debeatur . F.G. propone ricorso affidato a due motivi. A.A. è rimasta intimata. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. perché sulla domanda della A. di accertamento di un credito pari alla metà delle spese di acquisto e di ristrutturazione dell’immobile la Corte di Appello ha accertato il diritto al rimborso non del 50% del presso e delle spese, ma degli esborsi sostenuti con denaro proveniente dai conti cointestati così violando il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. 1.1. Il motivo è manifestamente infondato perché la domanda, come risulta evidente dallo stesso atto di citazione, era diretta ad ottenere non già il riconoscimento di un acquisto comune, ma il pagamento di un credito costituito dal del contributo economico della A. mediante prelievo dai conti correnti comuni all’acquisto e alla ristrutturazione dell’immobile di cui solo il F. era divenuto proprietario. Pertanto la circostanza che tali contributi, erogati con le modalità sopra indicate, giustificassero il rimborso dell’intero 50% del prezzo di acquisto e della ristrutturazione come richiesto dall’attrice, ma un importo minore calcolato dai prelievi dai conti contestati per i quali v’era prova della destinazione al pagamento del prezzo e della ristrutturazione, non attiene all’esistenza del credito che la Corte di Appello ha correttamente accertato senza per nulla violare l’art. 112 c.p.c. accertamento, come richiesto, l’avvenuta contribuzione il correlativo diritto al rimborso ma alla determinazione del quantum per la quale, con la sentenza non definitiva del primo grado era disposta la prosecuzione del processo in altri termini, la Corte di appello non ha ficato il petitum e la causa petendi, costituita dal credito restitutorio sorto in conseguenza della contribuzione alle spese di acquisto e ristrutturazione dell’immobile e che la Corte di Appello ha notificato non già al 50% degli importi prelevati dal conto cointestato, ma al 50% degli importi prelevati la specifica destinazione al pagamento del prezzo di acquisto e delle spese di ristrutturazione, cioè limitando il quanto dell’iniziale pretesa. 2. Con il secondo motivo il deduce la contraddittorietà della motivazione e afferma che la Corte di Appello dapprima avrebbe ritenuto provato senza che i prelievi dal conto cointestato fossero espressamente attribuibili all’acquisto o alla ristrutturazione. 2.1. Il motivo è manifestamente infondato e travisa le affermazioni della Corte di Appello che ha ritenuto mancante la prova di alcune affermate contribuzioni quella di lire 25.000.000 con denaro propri v. pag. 9 della sentenza e dell’entità dei lavori di ristrutturazione per la somma superiore a lire 70.000.000 pag. 9 e 10 della sentenza e invece non ha ritenuto mancante la prova delle contribuzioni documentate dagli estratti conto per quegli importi che, documentalmente e sulla base delle dichiarazioni rese da F. nell’interpretazione formale, erano sicuramente riferibili all’acquisto o alla ristrutturazione. 3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, non v’è luogo a provvedere alle spese perché l’intimata non si è costituita. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.