Nullità del contratto? Può essere rilevata dal giudice se è stata proposta domanda di adempimento

La domanda di accertamento dell’avvenuto trasferimento di proprietà, comporta la necessaria verifica, anche d’ufficio, della validità del contratto stesso, quale necessario antecedente logico – giuridico dei diritti dallo stesso derivanti.

La vicenda. Due società con scrittura privata si impegnavano a vendere ad un’altra società, con facoltà per quest’ultima di designare un terzo destinatario dei trasferimenti, un’azienda commerciale esercente attività di balneazione, nonché gli immobili su cui insisteva il relativo complesso turistico. La società promissaria acquirente, inoltre, veniva immessa nel possesso del bene e versava una cospicua caparra confirmatoria impegnandosi a trasferire l’ulteriore prezzo di vendita in un secondo momento. Successivamente, una delle due società promittenti venditrici dava esecuzione al contratto trasferendo l’azienda al terzo designato. Ciò nonostante, quest’ultimo non versava il saldo del prezzo per la vendita e la società, che aveva concluso il preliminare in qualità di promissaria acquirente, si rendeva inadempiente nel pagamento dell’importo residuo. Le società venditrici, dunque, agivano in giudizio chiedendo al Tribunale di dichiarasi legittimo il recesso di una delle società alienanti, con diritto alla ritenzione della caparra e risolversi per inadempimento del terzo designato il contratto di vendita, con condanna alla restituzione dell’azienda oltre al risarcimento dei danni risolversi per inadempimento della promissaria acquirente il preliminare di vendita, oltre risarcimento dei danni. Costituitesi ritualmente in giudizio, le convenute eccepivano che i beni oggetto della vendita erano gravati da ipoteche ed esecuzioni immobiliari e che una delle particelle era stata già in precedenza venduta a terzi. Le attrezzature e gli impianti, inoltre, non si trovavano in buono stato per cui si erano rese necessarie delle spese per ripristinare i locali. Pertanto, le convenute chiedevano respingersi, ex art. 1460 c.c., le domande delle attrici ed in via riconvenzionale l’accertamento del trasferimento degli immobili in capo alla promissaria acquirente, in forza dell’originaria scrittura e della designazione del terzo, con contestuale riduzione del prezzo e richiesta di risarcimento danni gradatamente richiedevano, altresì, ove ritenuto preliminare il contratto, disporsi il trasferimento ex art. 2932 c.c., risolversi il contratto per inadempimento della parte venditrice. Il Giudice di prime cure, accertata la natura di preliminare improprio” della scrittura privata stipulata, dichiarava trasferiti alla società acquirente i beni immobili indicati nel contratto ed accertata l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. sollevata dalle convenute, rigettava le domande proposte nei loro confronti e dichiarava il diritto della società acquirente alla riduzione del prezzo. La società venditrice, pertanto, impugnava la sentenza. La Corte territoriale, rigettava parzialmente l’appello proposto e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la nullità del contratto ai sensi degli artt. 17 e 40 della l. n. 47/1985, non essendo stati indicati gli estremi del permesso di costruire o di quello in sanatoria. La Suprema Corte, con sentenza n. 6633, depositata il 30 aprile 2012, rigettava il ricorso proposto dalle società acquirenti. Il rilievo d’ufficio della nullità è consentito in caso di domanda di esatto adempimento. Le ricorrenti nell’impugnare la sentenza sostenevano che, a loro avviso e secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, la dichiarazione di nullità del contratto non avrebbe potuto essere rilevata di ufficio in quanto, la domanda di merito atteneva alla risoluzione del contratto stesso e non anche al relativo adempimento. La Suprema Corte evidenzia la discutibilità di tale affermazione di principio posto che la questione è tutt’altro che pacifica in giurisprudenza, essendo stata rimessa nel 2011 alle SS.UU La tesi tradizionale infatti, sostiene che il rilievo d’ufficio è consentito solo nel caso di domanda di esatto adempimento del contratto, comportando la nullità, il difetto di un elemento costitutivo del diritto azionato. Altro orientamento invece, amplia le ipotesi di rilievo di ufficio della nullità alle domande di risoluzione, annullamento o rescissione del contratto. Seppur la querelle interpretativa merita un approfondimento, nel caso di specie, la questione esula dal contrasto giurisprudenziale in quanto il contratto, dichiarato nullo dai giudici di appello, era stato dedotto dalle società acquirenti, a fondamento della domanda riconvenzionale di accertamento dell’avvenuto trasferimento di proprietà, pertanto, tale domanda, comportava anche d’ufficio la necessaria verifica della validità del contratto stesso, quale necessario antecedente logico – giuridico dei diritti dallo stesso derivanti. Principio quest’ultimo perfettamente conforme all’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità. Conversione del contratto nullo può essere compiuta d’ufficio? La Corte nel proseguire nel suo iter argomentativo, non condivide quanto affermato dalle ricorrenti. Quest’ultime si lamentavano della mancata osservanza del principio di conservazione del negozio secondo il quale, anche nell’ipotesi di nullità del contratto immediatamente traslativo, lo stesso avrebbe potuto spiegare, in base alla intenzione delle parti e contenendo tutti i requisiti di forma e sostanza, gli effetti di un contratto preliminare. Osserva il Collegio che l’accertamento ex art. 1424 c.c. ai fini della conversione del negozio nullo, implica un accertamento di fatto riservato al giudice di merito che non può essere compiuto in sede di legittimità e che, non essendo stato sollecitato dalle parti nel corso dei precedenti gradi di giudizio non avrebbe potuto essere compiuto d’ufficio dal giudice.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 - 30 aprile 2012, n. 6633 Presidente Relatore Piccialli Svolgimento del processo Con atto notificato il 14.12.98 le società Acquarama s.r.l e Velamar s.r.l. citarono al giudizio del Tribunale di Venezia le società Penegal s.r.l. e Zephir s.r.l., esponendo che con scrittura privata del 20.4.98 si erano impegnate a vendere alla Penegal, con facoltà di quest'ultima di designare un terzo destinatario dei trasferimenti, per i rispettivi prezzi di L. 500.000.000 e L. 2.000.000.000, la prima, un'azienda commerciale esercente attività di balneazione in , la secondagli immobili su cui insisteva il relativo complesso turistico che la Penegal, immessa contestualmente nel possesso del complesso, aveva versato a titolo di caparra confirmatoria la somma di L. 500.000.000, impegnandosi all'ulteriore pagamento di L. 400.000.000 entro il 30.9.98 ed al saldo all'atto del conseguimento del già richiesto finanziamento che l'Acquarama aveva dato esecuzione al contratto, trasferendo con atto pubblico del 3.6.98 l'azienda alla terza designata Zephir che quest'ultima, tuttavia, non aveva provveduto al saldo di L. 350.000.000 entro il 30.8.98, così come la Penegal si era resa inadempiente nel pagamento della rata di L. 400.000.000 in pari scadenza. Su tali premesse e deducendo il grave inadempimento delle controparti, le attrici chiedevano, gradatamente 1 dichiararsi legittimo il recesso di Velamar nei confronti di Penegal, con diritto alla ritenzione della caparra, e risolversi per inadempimento di Zephir il contratto del 3.6.98, con condanna della stessa alla restituzione dell'azienda ed al risarcimento dei danni in L. 250.000.000 2 risolversi per inadempimento di Penegal il contratto concluso con Velamar il 20.4.98, con condanna dell'inadempiente al risarcimento dei danni in L. 100.000.000 3 risolversi per inadempimento di Penegal i contratti del 20.4.98 stipulati con Velamar e Acquarama, dichiarandosi conseguentemente inefficace la designazione di terzo nella Zephir e condannandosi quest'ultima alla restituzione dell'azienda. Costituitesi le convenute, eccepivano che, contrariamente a quanto dichiarato e garantito dalle promittenti venditrici, i beni erano risultati in parte gravati da ipoteche ed esecuzioni immobiliari, in parte da vincolo di uso pubblico, che una delle particelle era stata, addirittura, già venduta a terzi fin dal 1985, che le attrezzature e gli impianti non si trovavano in buono stato di manutenzione, per cui si erano rese necessarie spese per complessive L. 43.579, 210. Pertanto le convenute chiedevano respingersi, ex art. 1460 c.c., le avverse domande ed, in via riconvenzionale e gradatamente I accertato che la proprietà degli immobili era già stata trasferita a Zephir, in forza dell'originaria scrittura e della designazione del terzo, ridursi il prezzo in ragione di quanto sopra esposto e condannarsi le attrici al risarcimento dei danni II disporsi, ove ritenuto preliminare il contratto, il trasferimento ex art. 2932 c.c. III risolversi il contratto per inadempimento di Velamar e condannarsi la stessa al risarcimento dei danni in misura di almeno un miliardo di lire. Successivamente Penegal eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, in conseguenza dell'operata nomina di terzo in persona di Zephir. Interrotto e poi riassunto il giudizio per il fallimento di Acquarama, la cui curatela non si costituiva intervenuta rinuncia da parte di Zephir agli atti nei confronti del fallimento, a seguito di transazione con lo stesso conclusa, ammessa ed espletata consulenza tecnica e disattese le istanze istruttorie delle convenute, con sentenza non definitiva del 16.7.02 il Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere tra Penegal, Zephir ed il fallimento Acquarama accertata la natura di preliminare improprio del contratto stipulato il 20.4.98, dichiarava trasferiti in proprietà di Zephir, in virtù della nomina effettuata da Penegal con l'atto introduttivo del giudizio, i beni immobili indicati nel contratto di proprietà di Velamar accertata la legittimità dell'eccezione ex art. 1460 c.c. sollevata dalle convenute, rigettava le domande nei confronti delle stesse proposte da Velamar e dichiarava il diritto di Zephir alla riduzione del prezzo riservava al prosieguo del giudizio le ulteriori questioni. Proposto appello da Velamar, resistito da Penegal e Zephir, con proposizione da parte della prima di appello incidentale, contumace il fallimento di Acquarama, con sentenza del 19.12.06-11.7.07, la Corte di Venezia, rigetta va parzialmente l'appello proposto da Velamar s.r.l e, in parziale riforma della sentenza , dichiara va la nullità del contratto stipulato in data 20.4.98, con il quale è stata trasferita la proprietà dei beni immobili ivi indicati a Zephir s.r.l. per effetto della nomina di terzo effettuata da Penegal s.r.l . , condannava quest'ultima e Zephir, in solido, a rifondere all'appellante le spese di entrambi i gradi di giudizio e poneva a carico della medesime quelle della consulenza tecnica di ufficio. La corte lagunare, premessa la scindibilità dell'ormai definito rapporto tra le attrici ed Acquarama e per essa del relativo fallimento , confermato, quanto all'eccepito difetto di legittimazione passiva di Penegal, che in mancanza di prova dell'electio amici e, comunque, di accettazione da parte di Zephir anteriore al giudizio, soltanto con la costituzione delle convenute e con le rispettive richieste si fossero perfezionate detta nomina e la relativa accettazione, con conseguenti successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c. e legittimazione processuale di entrambe, confermata altresì la natura immediatamente traslativa del contratto in data 20.4.98, desumile, al di là della nominale intestazione, dal complessivo tenore, sia letterale, sia sostanziale delle pattuizioni, dalla relativa esecuzione immediata della consegna e non esclusa dalla rateizzazione del prezzo, né dalla stipula in data 3.6.98 di una locazione degli immobili tra Velamar e Zephir che, anzi, la confermava, dandosi atto della già avvenuta alienazione Acquarama - Zephir dell'azienda e prevedendosi che il canone sarebbe stato scomputato dal prezzo di acquisto degli immobili, così integrando una sostanziale corresponsione anticipata del prezzo , pur rilevato che la maggior parte del prezzo non era stata ancora versata, riteneva tuttavia giustificato, dalla successiva scoperta delle ipoteche e delle procedure esecutive il mancato pagamento da parte delle acquirenti, che per liberare i beni dalle stesse avevano sopportato un costo complessivo, documentalmente provatoci circa un miliardo di lire, in ragione del quale l'effettivo valore dei beni stessi si riduceva all'incirca a quello, di L. 500.000.000, della caparra. Disatteso, per tali ragioni, l'appello di Velamar, ne andava tuttavia accolta l'eccezione, sollevata nel corso del giudizio di secondo grado e, comunque, evidenziante un'invalidità rilevabile di ufficio ex art. 1421 c.c., in quanto afferente il negozio posto a base delle reciproche domande delle parti, di nullità del contrattoci sensi degli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985 il cui contenuto era stato poi ribadito dall'art. 46 L. 380/01 , non essendo stati indicati gli estremi del permesso di costruire o di quello in sanatoria. Detta pronuncia assorbiva e rendeva superfluo l'esame delle ulteriori questioni, ivi comprese quelle dal primo giudice rimesse al prosieguo del giudizio, tutte presupponenti la validità ed efficacia del contratto. Avverso tale sentenza le società Penegal e Zephir hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito la società Velamar con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo le ricorrenti censurano, per violazione degli artt. 1421 c.c., 112 e 345 c.p.c., in relazione all'art. 360 co 1 n. 4 c.p.c., la dichiarazione di nullità del contratto in data 20.4.98 a seguito di eccezione sollevata soltanto in grado di appello, che a loro avviso e secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità non avrebbe potuto essere rilevata di ufficio in quanto, nel caso di specie, la domanda di merito atteneva alla risoluzione del contratto stesso e non anche al relativo adempimento. Il motivo, a prescindere dall'opinabilità dell'affermazione di principio su cui si basa tutt'altro che pacifica in giurisprudenza, essendo stata la questione rimessa alle S.S.U.U. di questa Corte è, comunque infondato, considerato che nel caso di specie, come si rileva dalla narrativa, il contratto, diversamente qualificato e dichiarato nullo dai giudici di appello, era stato dalle odierne ricorrenti dedotto a fondamento della domanda riconvenzionale, ribadita in secondo grado, di accertamento dell'avvenuto trasferimento di proprietà o in subordine di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. , che, non snaturata dalla concorrente richiesta di riduzione del prezzo non implicante la risoluzione o la caducazione del negozio , comportava la necessaria verifica, anche di ufficio, della validità del contratto stesso, quale necessario antecedente logico - giuridico dei diritti dallo stesso derivanti, in conformità a giurisprudenza costante ed in tale senso ancora oggi univoca tra le altre v. Cass. nn. 5901/06, 21632/06, 12398/07, 27088/07 e, per quanto riguarda la rilevabilità anche in sede di legittimità, Cass. n. 8810/03 . Con il secondo motivo, deducente violazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. ex. in relazione all'art. 17 L. 47/85, come sost. dall’art. 41 del D.P.R. 380/01, ed all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., nonché per vizio di motivazione ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., le ricorrenti, pur ammettendo di avere, paradossalmente , sin dal primo grado ed in via principale, chiesto di accertare la natura di preliminare improprio , immediatamente traslativo, del contratto suddetto, mentre la controparte ne aveva sostenuto la natura di vero e proprio preliminare, premesso il proprio sopravvenuto interesse, in considerazione dell'esito del giudizio di appello, a sostenere la tesi subordinata della natura obbligatoria del negozio, censurano la diversa interpretazione fornita dalla corte territoriale, con particolare riferimento alla valutazione, quale comportamento successivo delle parti, del contratto di locazione, che al riguardo sarebbe stato illogicamente ed arbitrariamente considerato alla stregua di negozio inesistente, simulato o, comunque privo di causa, laddove la chiarezza del dato letterale, l'assenza di alcuna controdichiarazione e la conformità alla pratica, riconosciuta anche in giurisprudenza, di un collegamento negoziale tra locazione e contratto preliminare, avrebbero dovuto farne ritenere l'effettività, sì da confermare la natura obbligatoria del contratto collegato. 11 motivo, pur frutto di un ripensamento rispetto all'ordine delle richieste formulate nei gradi precedenti in cui si era, in via principale, sostenuta la natura di contratto definitivo ed immediatamente traslativo di quello in questione e solo in subordine quella di preliminare , contrariamente a quanto eccepito dalla controricorrente, è ammissibile sotto il profilo dell'art. 100 c.p.c., derivando l'evidente interesse all'impugnazione dall'esito sostanzialmente sfavorevole del giudizio di merito, conclusosi con la reiezione dell'una e dell'altra domanda. Le censure, tuttavia, non meritano accoglimento, proponendo una rivisitazione delle risultanze istruttorie, in senso del tutto difforme dalla valutazione compiuta dalla corte territoriale, che, ancorché obiettivamente controvertibile, in quanto esente da vizi logici testualmente evidenti o da malgoverno dei canoni di interpretazione negoziale, non può essere sindacata in questa sede sulla base di un raffronto con alternative, ancorché astrattamente plausibili, ipotesi di lettura delle risultanze suddette, dovendo il vaglio di legittimità essere limitato all'intrinseca tenuta - logico giuridica del modulo argomentativo adottato dal giudice di merito in sé considerabile nella specie risulta comprensibile, esauriente e ragionevole. La Corte d'Appello, infatti, nel confermare la natura definitiva ed immediatamente traslativa del contrattoci di là dell'intestazione notoriamente di per sé sola irrilevante , si è basata peraltro recependo una tesi strenuamente sostenuta fino a quel momento proprio dalle odierne ricorrenti su una serie di indici ritenuti, a ragione, inequivocabili, sia di ordine testuale qualificazione delle parti quali venditrice e acquirente , coniugazione del verbo vende al presente indicativo e non al futuro , sia sostanziali, tra i quali in particolare l'immediata consegna, previa corresponsione di un consistente acconto e, soprattutto, la mancata previsione di un termine per la stipulazione dell'atto pubblico e del saldo, ritenendo per converso non incompatibile tale natura con la generica previsione di un atto pubblico riproduttivo. Quanto alla locazione successiva, i cui canoni sarebbero stati scomputati dal prezzo all'atto del regolamento finale5ne ha del pari ritenuta l'irrilevanza ex post, ai fini della qualificazione del contratto anzidetto, in quanto solo apparente, al riguardo argomentando che una rinuncia a posteriori a tali canoni sarebbe stata poco plausibile, nell'ipotesi in cui la società Velamar, avendo stipulato un semplice preliminare, fosse rimasta proprietaria degli immobili, così ravvisando nella previsione di tali canoni una effettiva natura solutoria del rateizzato prezzo di vendita, ulteriormente confermante la natura del negozio de quo. La tesi può essere opinabile, ma non è illogica, e pertanto le censure devono essere disattese, anche sotto il profilo della violazione della norme di ermeneutica contrattauale, avendo la corte di merito, in particolare, tenuto conto di tale comportamento delle parti successivo alla stipulazione del contratto, pervenendo ad una motivata valutazione dello stesso che, già sostenuta dalle odierne ricorrenti e contrastata dalla controparte nel giudizio a quo, viene in questa sede, oggi, melius re perpensa , rimessa in discussione con argomenti, richiamanti prassi negoziali asseritamente diffuse, ma non costituenti la regola, di puro merito. Né coglie nel segno il richiamo al canone interpretativo della conservazione del contratto di cui all'art. 1367 c.c., che sarebbe stato disatteso non riconoscendo effetto alcuno all'anzidetta locazione , posto che l'interpretazione del negozio fornita dalla corte di merito non ne ha vanificato la portata pratica, ma ha solo ascritto allo stesso effetti sostanziali diversi, quelli di porre in essere un meccanismo solutorio, collegato al precedente contratto di vendita a prezzo rateizzato, diverso da quello dichiarato e desumibile dalla complessiva operazione negoziale posta in essere dalle parti. Non miglior sorte merita, infine, il terzo motivo, deducente violazione dell'art. 1424 c.c. in rel. all'art. 17 L. 47/85 e succ. modd., con il quale si lamenta la mancata osservanza del principio di conservazione del negozio, che anche nell'ipotesi di formale nullità quale contratto immediatamente traslativo, avrebbe potuto, conformemente alle intenzioni delle parti, confermate dalle conclusioni rispettivamente rassegnate, spiegare i minori effetti di un contratto preliminare proprio, contenendone tutti i requisiti di forma e di sostanza. Al riguardo, a prescindere dalla possibilità, in linea di principio, di ravvisare i requisiti di sostanza e forma di un contratto, quello preliminare, comportante l'obbligo di una futura stipula traslativa, in un altro invalido , che tale trasferimento abbia previsto quale immediato, negozi caratterizzati dunque da cause diverse, dei quali non può ritenersi che l'uno rappresenti un minus contenuto nell'altro essendo comunque necessaria una manifestazione di volontà delle parti propria del negozio diverso v. Cass. nn. 10498/01, 2912/02 , è sufficiente osservare che l'accertamento, ex art. 1424 c.c. ai fini della conversione del negozio nullo, dell'ipotetica volontà delle parti, nel caso che avessero conosciuto l'invalidità del contratto da esse stipulato, implica un'indagine di fatto riservata al giudice di merito, che non può essere compiuta nella presente sede e che, non essendo stata in alcun modo sollecitata dall'una o dall'altra parte in quella di merito, non avrebbe potuto essere compiuta di ufficio dal giudice, come già precisato dalla giurisprudenza di legittimità a questo collegio condivisa v. in particolare Cass. nn. 10498/01, 3443/73 . Ne consegue l'inammissibilità del motivo, per novità della relativa questione. Il ricorso va conclusivamente respinto. Giusti motivi, tuttavia, tenuto conto dell'assoluta singolarità e, particolare complessità della vicenda processuale, che ha visto le parti in questa sede assumere posizioni inverse rispetto a quelle sostenute in sede di merito, circa la qualificazione del contrattola cui nullità è comunque da ritenersi ad entrambe imputabile, comportano infine la compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.