Essere o non essere? Le tendenze schizofreniche (ma poco giustificate) della mediazione in tema di usucapione

Da Varese le controversie in materia di usucapione, seguendo una lettura costituzionalmente orientata delle norme, non sono soggette a mediazione obbligatoria, perché le utilità di una sentenza sono maggiori rispetto a quelle di un accordo amichevole. Da Palermo le controversie in materia di usucapione sono soggette a mediazione obbligatoria, anche perché un accordo amichevole può avere mille contenuti diversi, tutti in grado di soddisfare le specifiche esigenze delle parti, padrone di risolvere una controversia come meglio credono.

La mediazione è obbligatoria in materia di diritti reali. Ma in tema di usucapione, che si fa? Mediazione o non mediazione? Il Tribunale di Varese la esclude quello di Palermo la considera invece necessaria. Le motivazioni sottese a questi due diversi punti di vista meritano attenzione, anche se le argomentazioni del giudice varesino, sebbene dettate da un nobile intento tutelare in modo pieno il diritto di azione , rischiano di scontare un errore di prospettiva. La questione in comune. In entrambi i casi l’oggetto della controversia riguardava l’acquisto per usucapione di un bene immobile ipotesi riconducibile alla nozione di controversie in materia di diritti reali”, dunque soggette alla procedura di mediazione obbligatoria. Il Tribunale di Varese la mediazione non è obbligatoria in base ad un lettura costituzionalmente orientata. Se l’accordo non può dare alle parti le medesime utilità di una sentenza, la mediazione non può essere imposta, perché altrimenti sarebbe leso il pieno diritto di azione. Infatti, in materia di usucapione, l’accordo amichevole raggiungibile, al contrario del provvedimento del giudice, ha due grossi limiti i non può essere trascritto nei Registri Immobiliari ii non può riconoscere l’acquisto della proprietà a titolo originario. Se questo è lo scenario, secondo il criterio costituzionale della ragionevolezza, la mediazione non può essere considerata condizione di procedibilità, perché non è in grado di conferire alle parti le medesime utilità di un provvedimento giudiziario. Una critica l’ordinanza di Varese è viziata da un errore di prospettiva. Tuttavia, non si capisce perché la mediazione non possa portare ad un accordo anche in relazione ad una controversia in tema di usucapione. Se alle parti sta bene concludere la lite insorta con un accordo amichevole peraltro effettivamente non trascrivibile nei Registri Immobiliari , non si capisce perché non debba star bene al giudice. Le parti sono cioè liberissime di risolvere una lite nel modo che ritengono più opportuno. Il giudice di Varese, preoccupato di tutelare l’effettivo e pieno diritto di azione della parte, ha ipotizzato - ma in modo del tutto astratto - un soggetto che vuole andare sino in fondo alla questione, perché crede di avere ragione da vendere, per cui pretende una sentenza che in base all’usucapione lo dichiari proprietario a titolo originario, con conseguente possibilità di trascrizione del provvedimento presso i Registri Immobiliari. Ma se l’attore avesse davvero in mente quanto delineato dal giudice, ben potrebbe rifiutare un accordo in sede di mediazione nessuno, infatti, lo obbliga ad accettare una soluzione amichevole”. Banale considerazione ma che dissolve in radice le preoccupazioni manifestate nell’ordinanza varesina. La preoccupazione del Giudice andava rivolta semmai alla possibilità di trascrivere l’atto di citazione. Il legislatore ha equiparato gli effetti della domanda di mediazione limitatamente alla prescrizione e alla decadenza, con esclusione degli effetti protettivi della stessa la domanda di mediazione non può essere trascritta. Questo è l’aspetto che doveva essere semmai indagato per verificare eventuali violazioni costituzionali. A questo proposito si segnala che la dottrina ammette la presentazione contestuale della domanda di mediazione e della citazione che quindi ben può essere trascritta con salvaguardia degli effetti protettivi salvo poi attendere, quanto al processo, l’espletamento della fase di mediazione . Perché non è stata investita la Corte costituzionale della questione? Stranamente il giudice di Varese, dopo aver di fatto disapplicato la norma sulla mediazione in tema di ‘diritti reali’ perché considerata incostituzionale quanto meno nella parte in cui non esclude l’applicazione della mediazione obbligatoria per le azioni di usucapione , non ha rimesso ogni decisione al riguardo, previa sospensione del processo, alla Corte Costituzionale. Comportamento francamente poco comprensibile e, soprattutto, poco conforme alla legge art. 1, legge cost. n. 1/1948 . Al contrario, per il Tribunale di Palermo la mediazione è obbligatoria. Appare maggiormente condivisibile l’opinione del giudice di Palermo, che prendendo espressamente posizione sulla teoria sposata dal provvedimento varesino, giunge a scartarla il procedimento di mediazione tende a far trovare un accordo che impedisca il sorgere del contenzioso giudiziario, senza che il contenuto dell’intesa amichevole debba per forza coincidere con quello del provvedimento giudiziale. La mediazione non è un clone anticipato della sentenza. Infatti, l’accordo in sede di mediazione sulla domanda di usucapione può essere configurato in mille forme, tutte idonee a fare venire meno la lite ad esempio trasferendo la proprietà del bene con un acquisto a titolo derivativo o rinunciando alla domanda di acquisto della proprietà per usucapione a fronte del pagamento di una somma di denaro . Per cui, la mediazione non è inutile per il solo fatto che l’eventuale verbale di accordo non sia trascrivibile o che lo stesso non possa prevedere un acquisto a titolo originario della proprietà del bene controverso.

Tribunale di Palermo, sez. distaccata di Bagheria, ordinanza 30 dicembre 2011 Est. M. Ruvolo Il Giudice sciogliendo la riserva rilevato che la causa in questione è relativa ad una domanda di accertamento dell'acquisito della proprietà per usucapione verte in una materia oggetto di mediazione obbligatoria in base alle previsioni del d.lgs. 28/2010 ritenuto che le domande in tema di usucapione rientrano nell'ambito della mediazione obbligatoria costituendo domande relative a controversie in materia di diritti reali e come tali soggette a mediazione obbligatoria quelle volte ad ottenere l'accertamento dell'avvenuto acquisto, per possesso prolungato nel tempo, del diritto reale di proprietà o di un diritto reale di godimento considerato che non è condivisibile quell'impostazione per cui - poiché la mediazione in tema di usucapione non può avere il medesimo effetto della sentenza posto che non sarebbe trascrivibile il negozio di accertamento dell'acquisto della proprietà per usucapione - allora un'interpretazione costituzionalmente orientata del d.lgs. 28/2010 dovrebbe portare ad escludere le controversie in materia di usucapione dalla mediazione obbligatoria ritenuto, infatti, che il procedimento di mediazione tende a fare trovare un accordo che impedisca il sorgere del contenzioso giudiziario, senza che necessariamente tale accordo debba coincidere con il contenuto della pronuncia giudiziaria richiesta da parte attrice considerato che la mediazione non è un clone anticipato della sentenza l'accordo in sede di mediazione sulla domanda di usucapione può essere configurato in mille forme, tutte idonee a fare venire meno la lite ad esempio trasferimento della proprietà del bene con acquisto a titolo derivativo o rinuncia alla domanda di acquisto della proprietà per usucapione a fronte del pagamento di una somma di denaro rilevato, in altri termini, che l'assenza, in relazione al procedimento di mediazione, del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato comporta che una controversia che entra in mediazione come domanda di usucapione può uscirne mediata in un’altra forma ritenuto, pertanto, che, se è vero che la mediazione è da ritenere non necessaria nei casi in cui non sia configurabile un accordo che possa evitare la lite, è anche vero che in relazione alla domanda di usucapione è possibile ipotizzare vari accordi risolutivi della controversia rilevato, quindi, che la mediazione non è inutile per la sola circostanza che l’eventuale verbale di accordo non sia trascrivibile considerato, in conclusione, che il tentativo di conciliazione è obbligatorio anche quando l’attore vuole vedere dichiarato il proprio acquisto del diritto reale per usucapione, poiché trattasi di controversia in materia di diritti reali ” ai sensi del primo comma dell’art. 5 del d.lgs. 28/10 e poiché è possibile una risoluzione extragiudiziale della lite visto che nel caso di specie non risulta espletato il procedimento di mediazione richiesto dal citato d.lgs. 28/2010 quale condizione di procedibilità della domanda rilevato che non è andata a buon fine la notificazione dell'atto di citazione ad uno dei convenuti considerato che non può allo stato assegnarsi il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione con rinvio della causa ad un'udienza successiva alla scadenza del termine, di 4 mesi, di durata massima della mediazione , dovendosi prima instaurare correttamente il contraddittorio tra le parti rilevato, invero, in generale, che non può disporsi la rinnovazione della citazione o della notificazione della stessa o l'’integrazione del contraddittorio per una successiva udienza assegnando contestualmente il termine per la proposizione dell'istanza di mediazione considerato, infatti, che è necessario garantire a tutte le parti del giudizio la possibilità di interloquire sulla necessità o meno di instaurare un procedimento di mediazione con riferimento ad esempio alla circostanza della sussumibilità della specifica controversia in quelle soggette per legge alla mediazione obbligatoria ritenuto che l'invio delle parti in mediazione contestualmente all'imposizione degli adempimenti per la regolare instaurazione del contraddittorio sarebbe sì una soluzione attuativa del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, ma impedirebbe alle parti ancora non presenti in giudizio di evidenziare le ragioni per cui non andrebbe effettuata la mediazione obbligatoria e potrebbe comportare, in caso di presentazione davanti al mediatore del chiamato in mediazione, la sopportazione di costi ad opera di quest'ultimo soggetto ancora non costituito in giudizio e la necessità per lo stesso chiamato, in caso di sua contumacia nel procedimento di mediazione, di dover motivare il giustificato motivo della sua assenza qualora decidesse di costituirsi poi in giudizio e ciò al fine di evitare le conseguenze negative previste dall'art. 8, comma 5, d.lgs. 28/10 valutato che è vero che più volte la Corte di Cassazione ha evidenziato che l'ordinamento vigente impone la necessità di interpretare ed applicare la normativa processuale in armonia con il principio di cui all'art. 111 Cost. sulla ragionevole durata del processo come principio che conduce ad escludere che il mancato compimento di adempimenti processuali che si siano appalesati del tutto superflui possa condurre ad una conseguenza di sfavore per il processo, ma che è anche vero che ciò vale sempre che siano rispettati il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa v. Cass., sez. un., 20604/08 sez. un. 9962/10 sull'incidenza sulle regole processuali del principio della ragionevole durata del processo solo dopo la regolare instaurazione del contraddittorio v. anche, in materia di decisioni della c.d terza via, Cass., sez. III, 6051/10 considerato comunque, che, in linea con le citate esigenze di ragionevole durata del processo, nulla esclude che nel presente giudizio l'attore si attivi spontaneamente, dopo la rinnovazione della notificazione dell'atto di citazione, e quindi la pendenza della lite, ma prima dell'udienza di comparizione davanti al giudice, per provocare il tentativo di mediazione, così evitando di dover attendere a tal fine l'udienza ex art. 183 c.p.c. per poi dovere subire il rilievo officioso dell'improcedibilità della domanda e, quindi, un ulteriore rinvio ad oltre quattro mesi di distanza P.Q.M. dispone rinnovarsi, nel rispetto dei termini di legge, la notificazione all'estero della citazione non andata a buon fine fissa come nuova prima udienza di comparizione delle parti quella del 31.10.2012, ore 10.00.

Tribunale di Varese, ordinanza 20 dicembre 2011 Est. G. Buffone Osserva L’atto di citazione è stato notificato dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 28/2010 e, dunque, nella vigenza della mediazione cd. obbligatoria per le controversie identificate dal Legislatore nell’art. 5 comma I del decreto cit. Con l’atto introduttivo del giudizio, l’attore esercita un’azione di usucapione. L’azione non è stata preceduta dal tentativo di conciliazione dinanzi agli organismi di mediazione. Come noto, la proprietà dei beni immobili può essere acquistata a titolo originario per effetto del possesso continuato per vent’anni art. 1158 c.c. . A tal fine, chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus , ma anche dell'” animus ”. Da qui l’intervento giudiziale che si consuma con una sentenza trascrittibile nei registri della Conservatoria immobiliare. La statuizione giurisdizionale, in questo caso, ha una valenza per il titolare del diritto dominicale che tale vuole essere di portata significativa consente all’attore di diventare proprietario del bene immobile a titolo originario e non derivativo così potendo conseguire il risultato irrinunciabile del cancellare il rischio di ogni azione da parte di creditori o terzi che vantino diritti verso il convenuto. Ebbene l’art. 5, comma I, d.lgs. 28/2010 sottopone al tentativo obbligatorio di mediazione le controversie in materia di diritti reali e, quindi, di fatto anche l’azione per la declaratoria di usucapione. Va, però rilevato che, in questo caso, il verbale di conciliazione non può offrire all’attore un risultato equivalente a quello della sentenza. La conciliazione, infatti, non può determinare in favore dell’attore l’acquisto a titolo originario potendogli solo far conseguire eventualmente il bene immobile a titolo derivativo. In questa intercapedine si innesta la questione giuridica relativa alla configurabilità, in subiecta materia , di un negozio di accertamento poiché ammettere un contratto del genere smentirebbe le conclusioni sin qui rassegnate. Vi è, però, che l’utilizzabilità del negozio di accertamento per la ricognizione della proprietà di un bene o di diritti reali è fortemente avversata da una larga parte dei notai e costituisce una foce interpretativa controversa in Dottrina e giurisprudenza. In ogni caso, pur ammettendo l’atto ricognitivo, si tratterebbe di una strada che non realizza comunque il risultato della sentenza. Trattandosi un negozio delle parti, esso resterebbe sempre impugnabile anche dai terzi con gli strumenti offerti dall’ordinamento per tutelare il soggetto che si ritenga leso nelle garanzie ad esempio per un congegno simulatorio posto in essere ai suoi danni. Se è vero, infatti, che la transazione ha natura costitutiva e il negozio di accertamento ha natura invece dichiarativa, è sempre pur vero che anche il secondo può essere prestato a finalità elusive dei diritti altrui e, quindi, può essere oggetto di un autonomo giudizio per tale verifica 1 . Insomma, a ben vedere l’accordo, in questo caso, non si surroga alla sentenza e la composizione amichevole della lite volge inevitabilmente al fallimento perché l’attore non può rinunciare alla garanzia” dell’accertamento giudiziale. Ciò è ancora più vero dove si tenga presente che, le prime pronunce in materia, hanno affermato che il verbale di conciliazione che accerta l’usucapione non è trascrivibile v. Tribunale Roma, sez. V civile, decreto 22 luglio 2011 in www.altalex.com . Orbene, proprio in relazione al rito agrario, la Suprema Corte ha ritenuto che la condizioni di accesso al Tribunale non sia esigibile quanto la fase stragiudiziale non possa assicurare quel risultato di conciliazione tale da evitare la instaurazione della controversia ” 2 . Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’intenzione del legislatore è quella di ridurre il contenzioso, favorendo, tra gli interessati, accordi stragiudiziali delle vertenze. Ma, allora, dove le parti non abbiano uno strumento conciliativo per evitare la controversia, la condizione non deve essere richiesta 3 . Ne consegue che, nei casi in esame – quelli in cui l’accordo non può comporre la lite evitando la sentenza che si figura come indefettibile – non è richiesta la condizione di procedibilità ex art. 5, comma I, dlgs 28/2010, giusta una interpretazione teleologica della disposizione, che conformi l’articolato al criterio costituzionale della ragionevolezza. L’interpretazione secundum constitutionem deve ritenersi ammessa nel caso di specie, in conseguenza anche della elencazione contenuta nell’art. 5 comma I del decreto legislativo 28 del 2010 delle materie sottoposte al regime dell’obbligatorietà che costituisce secondo i primi commentatori quasi una scelta a casaccio”. In presenza di una approssimazione del genere, il rischio è quello di una applicazione automatica dell’art. 5, comma I cit. che conduca a risultati interpretativi palesemente incostituzionali in particolare, là dove si imponga la mediazione cd. obbligatoria nella consapevolezza che i litiganti non potranno comunque pervenire ad un accordo di conciliativo. L’incostituzionalità si manifesta all’interprete in modo evidente poiché viene frustrata la stessa ratio dell’istituto operare come un filtro per evitare il processo ma se il processo non è evitabile, l’istituto è una appendice formale imposta alle parti con irragionevolezza e, quindi, violazione dell’art. 3 Cost. . P.Q.M. Rinvia l’udienza in data 22 maggio 2012 ore 10.15 per l’udienza di prima comparizione ex art. 183 c.p.c. Si comunichi alle parti. Note 1 Sulla distinzione, v. Cass. civ., sez. I, sentenza numero 18737 del 2004 2 Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1992 numero 8290 in Dir. e giur. agr. 1993, 35 3 Cass. civ., Sez. III, 21 ottobre 1994, numero 8653 in Mass. Giur. It., 1994