Infiltrazioni dalle parti comuni del Condominio: il danneggiato deve dimostrare il nesso eziologico

In tema di responsabilità da cosa in custodia ex art. 2051 c.c., trattandosi di un criterio di imputazione oggettivo della responsabilità, l’attore/danneggiato deve dimostrare il nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25018/20 depositata il 9 novembre. La Corte d’Appello di Torino dichiarava inammissibile l’impugnazione della pronuncia di prime cure con cui era stata respinta la domanda di risarcimento dei danni da infiltrazioni di acqua e di umido provenienti dalle parti di un Condominio. Secondo i giudici dell’appello non poteva ritenersi dimostrato il nesso causale tra il danno e la cosa in custodia. Il condomino danneggiato ha proposto ricorso in cassazione. Il Collegio ricorda che l’ art. 2051 c.c. afferma la responsabilità del custode della cosa per i danni cagionati sulla base di un criterio di imputazione che prescinde dai connotati colposi e che opera sul piano oggettivo dell’accertamento del rapporto causale tra cosa ed evento dannoso. Non assume dunque rilievo la condotta del custode e l’osservanza degli obblighi di vigilanza. La responsabilità può essere esclusa solo dal caso fortuito, quale fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile ma al profilo appunto causale dell’evento. Si tratta in definitiva di un criterio di imputazione oggettivo della responsabilità per la cui dimostrazione l’attore/danneggiato deve dimostrare il nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria. Precisa dunque la pronuncia in commento che, nell’ambito dell’accertamento del nesso causale, non è dato isolare la prova del rapporto tra il bene in custodia e il pregiudizio lamentato dalla prova del nesso eziologico in senso proprio, essendo entrambi pertinenti alla derivazione del danno dalla cosa in custodia, la cui prova grava integralmente sul danneggiato , come correttamente affermato del giudice dell’appello. Le deduzioni del ricorrente circa l’accertamento da parte del ctu della derivazione delle infiltrazioni dalle parti comuni dell’edificio sono in conclusione inammissibili in quanto si risolvono in un giudizio di fatto, sottratto al sindacato di legittimità. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 15 settembre – 9 novembre 2020, n. 25018 Presidente Lombardo – Relatore Fortunato Fatti di causa La Corte d’appello di Torino ha dichiarato inammissibile l’appello del Centro Lista nozze s.n.c. avverso la sentenza del tribunale di Alessandria, con cui era stata respinta la domanda di risarcimento del danno da infiltrazioni di acqua e di umido proveniente dalle parti comuni del Condominio omissis . Secondo il giudice distrettuale, l’impugnazione non aveva una ragionevole probabilità di accoglimento ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., poiché, discutendosi dei danni da infiltrazioni di umido provocate dalle parti condominiali, non vi era prova del nesso causale. Difatti, nelle stesse allegazioni di parte attrice, l’origine del danno era stata ricondotta a fattori eziologici diversi, mentre neppure la prova testimoniale e l’accertamento tecnico svolto in corso di causa avevano consentito di individuare la provenienza delle infiltrazioni dalle parti condominiali. Avverso la sentenza di primo grado e avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., il Centro Lista Nozze propone ricorso in unico motivo, illustrato con memoria. La Unipols Sai Assicurazioni s.p.a. e il Condominio omissis resistono con controricorso. In prossimità dell’adunanza camerale il Condominio ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 2051 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la sentenza abbia ritenuto indimostrato il nesso causale e la provenienza del danno dalle parti comuni dell’edificio, confondendo la prova del nesso eziologico tra la cosa in custodia e il pregiudizio lamentato, con la necessità di individuare specificamente anche la causa del danno stesso, la cui prova competeva al Condominio. Secondo il ricorrente, la prova del nesso causale era stata comunque raggiunta, poiché il c.t.u. aveva elaborato una pluralità di ipotesi, ognuna delle quali comprovava la responsabilità del condominio provenienza delle infiltrazioni dal sottosuolo comune, dalle pareti condominiali o provocate da un innalzamento della falda acquifera . 2. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, avendo la sentenza definito le questioni in diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che le deduzioni formulate in ricorso consentano di mutare orientamento. L’art. 2051 c.c., nell’affermare la responsabilità del custode della cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione che prescinde da qualunque connotato di colpa, operando sul piano oggettivo dell’accertamento del rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso Cass. 2477/2018 . Non assume rilievo, a tal fine, la condotta del custode e l’osservanza degli obblighi di vigilanza tale responsabilità è quindi esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento Cass. 15383/2006 Cass. 2563/2007 . Il criterio di imputazione della responsabilità ha - dunque - carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione - da parte dell’attore - del nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria Cass. 27724/2018 Cass. 12027/2017 Cass. 7125/2013 . In tale ambito, il rapporto di custodia opera come criterio di identificazione del responsabile, presupponendo che - però - il pregiudizio risarcibile sia comunque riconducibile al bene. Come precisato da questa Corte, il criterio di imputazione collegato al rapporto di custodia reagisce sul rapporto di causalità, nel senso che un rapporto causale concepito allo stato puro tende all’infinito. La responsabilità oggettiva non può essere pura assenza o irrilevanza dei criteri soggettivi di imputazione, bensì sostituzione di questi con altri di natura oggettiva, i quali svolgono nei confronti del rapporto di causalità, la medesima funzione che da sempre è propria dei criteri soggettivi di imputazione nei fatti illeciti. Tale criterio di imputazione nelle specifiche fattispecie di responsabilità oggettive è fissato dal legislatore con una qualificazione del soggetto, su cui viene fatto ricadere il costo del danno così, testualmente, Cass. 15383/2006 . Non è dato, quindi, isolare, nell’ambito dell’accertamento del nesso causale riguardo alla fattispecie regolata dall’art. 2051 c.c., la prova del rapporto tra il bene in custodia ed il pregiudizio lamentato, dalla prova del nesso eziologico in senso proprio, essendo entrambi pertinenti alla derivazione del danno dalla cosa in custodia, la cui prova grava integralmente sul danneggiato, come correttamente stabilito dal giudice dell’appello. In definitiva, la responsabilità ex art. 2051 c.c., postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa. Detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente un impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità tra molte Cass. 15761/2016 . Le ulteriori deduzioni del ricorrente circa il positivo accertamento, ad opera del c.t.u., della derivazione delle infiltrazioni dalle parti comuni dell’edificio appaiono inammissibili, poiché l’accertamento del nesso di causalità e della colpa di un soggetto nella produzione di un evento dannoso si risolve in un giudizio di fatto, che si sottrae al sindacato in sede di legittimità se, come nella specie, correttamente motivato Cass. 3939/1996 Cass. 6974/2000 . Il ricorso è respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, liquidate in 200,00 per esborsi ed Euro 4000,00 per compenso, in favore del Condominio omissis , nonché di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 3000,00 per compenso, in favore della UnipolSai assicurazioni s.p.a., il tutto oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.