Quando due edifici possono considerarsi frontistanti ai fini della verifica del rispetto delle distanze legali?

Sono considerati frontistanti gli edifici che, da bande opposte rispetto alla linea di confine, presentino le rispettive facciate che si fronteggino almeno per un segmento, in modo che, ipotizzando di farle avanzare in modo lineare e non radiale o a raggio e, in particolare, in linea ortogonale tra i diversi fronti, si incontrino almeno in quel segmento. Laddove tale fronteggiamento non sussiste, non può considerarsi lesa alcuna norma sulle distanze tra costruzioni.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3043/20, depositata il 10 febbraio. Il caso. Il Tribunale di Verbania accoglieva la domanda di condanna dei convenuti all’arretramento a distanza legale di un edificio realizzato, tramite demolizione e ricostruzione di un precedente immobile previa concessione edilizia, in violazione della distanza di 10 metri dal frontistante di cui all’art. 9 d. m. n. 1444/1968 e di quella di 5 metri prescritta dal p.r.g I convenuti erano condannati anche all’eliminazione delle vedute e sporti realizzati e al risarcimento del danno La Corte d’Appello confermava la decisione e i soccombenti hanno dunque proposto ricorso in Cassazione. Frontistanza. La questione che viene portata all’attenzione dei Supremi Giudici riguarda la nozione di frontistanza. Secondo i ricorrenti infatti la Corte d’Appello ha erroneamente applicato la distanza di 10 metri prevista per edifici antistanti, in quanto nel caso di specie le pareti sarebbero in posizione divergente” Secondo la giurisprudenza, si considerano frontistanti gli edifici che, da bande opposte rispetto alla linea di confine, presentino le rispettive facciate che si fronteggino almeno per un segmento, in modo che, ipotizzando di farle avanzare in modo lineare e non radiale o a raggio e, in particolare, in linea ortogonale tra i diversi fronti, si incontrino almeno in quel segmento. Laddove tale fronteggiamento non sussiste, non può considerarsi lesa alcuna norma sulle distanze tra costruzioni. In merito all’art. 9 d.m. n. 1444/1968, la giurisprudenza ha poi chiarito che la distanza minima di 10 metri tra le costruzioni ha natura assoluta e deve dunque essere applicata indipendentemente dall’altezza degli edifici antistanti e dall’andamento parallelo delle loro pareti, purchè sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento. Applicando tali principi al caso di specie, il motivo di ricorso risulta infondato in quanto, sussistendo già un’intercapedine tra i due edifici, tale possibilità di fronteggiamento è stata correttamente ritenuta esistente dai giudici di merito. Ristrutturazione. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione del p.r.g. comunale, nella parte in cui richiama l’art. 9 d.m. n. 1444/1968. Secondo i ricorrenti la Corte territoriale ha erroneamente affermato che il complessivo nuovo organismo edilizio avrebbe dovuto rispettare le distanze vigenti al momento della sostituzione edilizia. Anche tale censura risulta infondata. Nell’ambito delle opere edilizie, la giurisprudenza distingue la semplice ristrutturazione con modificazioni interne che non abbiano interessato le componenti essenziali dell’edificio come i muri perimetrali, le strutture orizzontali e la copertura dalle ipotesi di ricostruzione laddove dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per demolizione, le suddette componenti e l’intervento edilizio consista nell’esatto ripristino delle originarie dimensioni dell’edificio senza aumenti di volumetria . Laddove sia invece riscontrato un aumento di volumetria, si realizza l’ulteriore ipotesi della nuova costruzione, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente in quel momento. Nella vicenda in esame i giudici di merito hanno correttamente applicato tali principi. Vedute. Risulta infine fondata la censura relativa alla violazione dell’art. 900 c.c. per aver la Corte d’Appello ritenuto idonea all’ inspicere e al prospicere la soletta di copertura del manufatto, pur privo di ringhiera. È stato infatti disatteso il consolidato orientamento secondo cui, per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell’art. 900 c.c., è necessario che le c.d. inspectio et prospectio in alienum ovvero la possibilità di affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o laterlamente siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. Il parapetto dunque costituisce elemento decisivo a tal fine. Risultando sul punto carente la valutazione della sentenza impugnata, la Corte di Cassazione accoglie tale motivo di ricorso e cassa, limitatamente a tale aspetto, la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Torino.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 22 febbraio 2019 – 10 febbraio 2020, n. 3043 Presidente Orilia – Relatore Sabato Rilevato che 1. Con citazione notificata il 9 maggio 2009 G.C.C.G. e G.C.M. hanno convenuto innanzi al tribunale di Verbania, sezione distaccata di Domodossola, F.G. ed C.E. , lamentando che questi ultimi, proprietari in omissis di una stalla a piano terra con abitazione al primo piano a circa sessanta centimetri dal fabbricato degli attori con confine a metà della distanza, avessero demolito l’immobile e ricostruito un organismo con diversa conformazione - oggetto di concessione edilizia ma non rispettoso della distanza di dieci metri dal frontistante di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, nè di quella di cinque metri dal confine prescritta dal p.r.g. - oltre che aperto vedute e sporti, sollevato il piano di campagna con infiltrazioni, nonché ristretto il sedime di un passaggio dagli attori acquistato per usucapione. 2. Sulla resistenza dei convenuti, il tribunale con sentenza del 3 maggio 2012 ha accolto le domande di condanna all’arretramento a distanza legale dell’edificio, all’eliminazione delle vedute e sporti irregolari, al ripristino del passaggio di cui ha accertato l’usucapione, nonché al risarcimento dei danni. 3. La sentenza di primo grado è stata appellata dai signori F. - C. in via principale, chiedendo rigettarsi le domande delle controparti, nonché in via incidentale dai signori G. , che hanno chiesto estendersi la condanna all’arretramento, oltre che al fabbricato aggiunto, anche alla parte di edificio residenziale in violazione delle distanze e la corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 9 marzo 2015, ha parzialmente accolto la sola impugnazione principale riducendo la somma quantificata a titolo risarcitorio e rigettando la domanda di accertamento di acquisto per usucapione del diritto di passaggio. 4. A sostegno della decisione la corte d’appello ha considerato a quanto all’appello principale - essere infondata la tesi per cui la distanza di dieci metri ex art. 9 D.M., si applicherebbe solo a pareti frontistanti parallele, sussistendo frontistanza e pericolosa intercapedine anche in caso di posizione obliqua delle pareti come nel caso di specie - dover essere chiarito che la condanna all’arretramento concerne anche il corpo di fabbrica aggiunto punto 1 nella posizione del preesistente fabbricato demolito tenuto conto che il locale seminterrato è parte integrante del fabbricato residenziale, il nuovo complessivo organismo è del tutto diverso da quello preesistente, ciò che obbliga al rispetto delle distanze vigenti al momento della sostituzione edilizia - doversi qualificare veduta la soletta di copertura del basso fabbricato e la nuova scala - doversi ridurre la quantificazione del danno a Euro 5000 oltre interessi - doversi riformare la sentenza impugnata, non essendo fondata la domanda di accertamento dell’acquisto per usucapione della servitù di passaggio b quanto all’appello incidentale - essere la condanna di primo grado riferita all’edificio comprensivo di autorimessa, come in dispositivo, per cui la motivazione era affetta da mero refuso non necessitante provvedimenti. 5. Per la cassazione di detta sentenza hanno proposto ricorso F.G. ed C.E. , su quattro motivi illustrati da memoria. Hanno resistito con controricorso G.C.C.G. e G.C.M. anche nell’interesse di questi ultimi è stata depositata memoria in data 14.2.2019, oltre il previsto termine a computarsi rispetto all’odierna adunanza in data 22.2.2019. Considerato che 1. Con il primo motivo si deduce violazione del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9 scilicet, in combinato disposto con l’art. 873 c.c. e le norme tecniche di attuazione del locale p.r.g. , per avere secondo i ricorrenti - la corte d’appello erroneamente applicato la distanza di dieci metri ivi prevista tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti a una fattispecie concreta in cui le pareti non sarebbero antistanti , bensì in posizione divergente così p. 14 del ricorso . Si richiama altresì la ratio delle distanze ex art. 873 c.c., costituita dall’evitare intercapedini dannose o nocive. 1.1. Il motivo è infondato. 1.2. La giurisprudenza di questa corte, in generale, ha recepito la nozione di frontistanza come ricorrente nella situazione di edifici che, da bande opposte rispetto alla linea di confine, presentino le rispettive facciate che si fronteggino almeno per un segmento, di guisa che, supponendo di farle avanzare, in modo lineare e non radiale o a raggio come invece previsto in materia di vedute art. 907 c.c. , e precisamente in linea ortogonale tra i diversi fronti, si incontrino almeno in quel segmento. Se tale possibilità di fronteggiamento non esiste, non si lede alcuna norma sulle distanze fra costruzioni. 1.3. Anche specificamente in ordine alla distanza minima di dieci metri tra le costruzioni stabilita dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, questa corte ha statuito la natura assoluta della stessa, che ne impone l’applicazione indipendentemente dall’altezza degli edifici antistanti e dall’andamento parallelo delle loro pareti, purché sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento cfr. ad es. Cass. n. 24076 del 03/10/2018 e n. 5741 del 03/03/2008 . 1.4. Nel caso di specie, la possibilità di fronteggiamento esiste, per cui sussiste - seppur in maniera limitata - un’intercapedine. 2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 2.1.8 delle norme tecniche di attuazione del p.r.g. di OMISSIS , che richiama l’art. 9 del D.M. cit Si contesta la valutazione operata dalla corte d’appello secondo la quale il complessivo nuovo organismo edilizio deve rispettare le distanze vigenti al momento della sostituzione edilizia e si invoca per il basso fabbricato meno alto del precedente, ma in identica distanza dal confine l’applicazione della distanza preesistente. 2.1. Anche tale motivo è infondato, oltre che parzialmente inammissibile. 2.2. La giurisprudenza di questa corte v. ad es. Cass. sez. U n. 21578 del 19/10/2011 ha chiarito i casi nei quali, nell’ambito delle opere edilizie, si verifica una semplice ristrutturazione modificazioni esclusivamente interne, che abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura e quelli in cui è ravvisabile la ricostruzione allorché dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria in presenza di tali aumenti, si verte, invece, nell’ulteriore ipotesi di nuova costruzione , come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima. 2.3. Spetta al giudice del merito - la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità - stabilire in via fattuale se, in relazione a modificazioni intervenute, si sia di fronte a un nuovo organismo edilizio, ciò che impone l’applicazione del regime delle distanze vigente al momento della novella edificazione cfr. Cass. n. 15041 del 11/06/2018 . 2.4. Essendosi i giudici di merito attenuti al criterio giuridico indicato, il motivo, nella parte in cui non è addirittura inammissibile in quanto si traduce in un’istanza di riesame di apprezzamenti fattuali, è dunque infondato. 3. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 900 c.c., contestandosi la decisione della corte d’appello di ritenere idonea all’inspicere e al prospicere la soletta di copertura del basso manufatto, pur privo di ringhiera. 3.1. Alla p. 18 dell’impugnata sentenza, confermando l’analoga decisione del tribunale, i giudici d’appello hanno ritenuto, in relazione alla soletta descritta in ambito di c.t.u. come priva di ringhiere o parapetti, di poter affermare il principio giuridico per cui l’assenza di tali manufatti di protezione non potesse escludere la qualificazione . come terrazzo , utilizzazione confermata dall’accessibilità e praticabilità connessa anche all’apertura su esso di porte-balconi. 3.2. Così statuendo, la corte d’appello è incorsa effettivamente nell’error in iudicando denunciato dai ricorrenti. In particolare, la corte d’appello si è contrapposta, non condivisibilmente, alla giurisprudenza fondata sul tenore testuale dell’art. 900 c.c. per la quale v. ad es. Cass. n. 18910 del 05/11/2012 per cui, per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell’art. 900 c.c., conseguentemente soggetta alla regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, è necessario che le cd. inspectio et prospectio in alienum, vale a dire le possibilità di affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente così l’art. cit. , siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. In applicazione dell’enunciato principio, questa corte ha altresì elaborato criteri circa l’altezza del parapetto, anche in relazione al suo spessore, che deve esser sufficiente per garantire un affaccio sicuro cfr. ad es. Cass. n. 7267 del 12/05/2003 e n. 26049 del 10/12/2014 . 3.3. Come affermato da questa corte v. ad es. la pur remota Cass. n. 2084 del 05/04/1982 l’assenza di parapetto su una terrazza di copertura di un edificio costituisce dunque elemento decisivo per escludere che l’opera abbia i caratteri della veduta o del prospetto, anche se essa sia di normale accessibilità e praticabilità da parte del proprietario. La praticabilità - valorizzata erroneamente dalla corte d’appello ai fini della qualificazione come veduta - può valere invece ai fini della qualificazione della situazione come luce irregolare, in ordine alla quale il vicino ha sempre il diritto di esigere l’adeguamento ai requisiti stabiliti per le luci. Per escludere anche questa seconda configurazione giuridica è necessario accertare, avuto riguardo all’attuale consistenza e destinazione dell’opera, oggettivamente considerata, ed alle sue possibili e prevedibili utilizzazioni da parte del proprietario, se e quali limitazioni, ancorché diverse e minori di quelle derivanti da un’apertura avente i caratteri della veduta o del prospetto, possano discenderne a carico della libertà del fondo vicino altrui così Cass. ult. cit. v. anche ad es. Cass. n. 113 del 04/01/2017 e n. 5718 del 10/06/1998 accertamento, questo, che erroneamente la corte d’appello ha svolto, invece, ai fini della qualificazione quale veduta. 3.4. Si rende dunque necessario, all’esito della cassazione a pronunciarsi, che il giudice del rinvio proceda a nuovo esame della situazione di fatto, attenendosi agli indicati principi di diritto. 4. Con il quarto motivo si deduce violazione art. 2043 c.c., censurandosi le valutazioni sul danno consequenziale alle violazioni in tema di distanze, globalmente considerate p. 19 dell’impugnata sentenza . 4.1. Il motivo è assorbito, trattandosi di tema consequenziale a quanto a riesaminarsi in relazione alla cassazione a disporsi. 5. Va dunque disposta cassazione, designandosi quale giudice di rinvio la corte d’appello di cui in dispositivo, che governerà anche le spese del giudizio di legittimità tenendo conto, a tali fini liquidativi, che la memoria depositata nell’interesse dei controricorrenti nel giudizio di cassazione è, per quanto detto, inammissibile siccome tardiva in relazione all’art. 380 bis c.p.c., n. 1 . P.Q.M. rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo e, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte d’appello di Torino, in diversa sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità.