Ampliamento del terrazzo e rispetto delle parti comuni

Qualora il proprietario di un appartamento sito in un condominio esegua opere sui propri beni facendo uso anche di parti comuni, indipendentemente dall’applicabilità o meno delle norme sulle distanze, è necessario stabilire se abbia utilizzato tali parti comuni nei limiti di cui all’art. 1102 c.c

Così la Cassazione con sentenza n. 31412/19, depositata il 2 dicembre. La vicenda. L’attore, condomino di un appartamento sito al quinto piano di un edificio, conviene in giudizio il proprietario dell’immobile situato sopra il proprio, sostenendo che questi aveva ampliato il terrazzo, asportando l’ultima tratta di un cassonetto dove vi erano varie canne fumerie dell’edificio che, per effetto delle suddette modifiche, scaricavano i fumi nella proprietà dell’attore. Il Tribunale respingeva la domanda attorea, invece la Corte d’Appello stabiliva, al contrario, che la nuova costruzione andava ad alterare il decoro architettonico dell’edificio, ledeva i diritti di proprietà del condomino e violava la distanza imposta dall’art. 905 c.c., ritenendo che il condomino avesse titolo a lamentarsi dell’eliminazione del cassonetto per impedire che i fumi si ripiegassero sulla sua proprietà. Così l’altro condomino, avverso tale decisione, propone ricorso per cassazione. L’osservanza della normativa. La Corte territoriale aveva ordinato la demolizione dell’ampliamento del terrazzo e il ripristino del vano e delle canne fumarie che vi erano in precedenza. Infatti, il ricorrente si duole del fatto che la domanda relativa alla suddetta demolizione e ripristino non conteneva alcuna esplicita doglianza riguardante la lesione del decoro architettonico o la violazione dei diritti di proprietà del controricorrente ai sensi dell’art. 840 c.c. quindi la Corte d’Appello, nel dichiarare l’illegittimità del balcone sotto profili non dedotti e non allegati della domanda di demolizione è incorsa nella denunciata violazione. Per quanto riguarda invece la violazione dell’art. 905 c.c., la sentenza impugnata si è limitata a stabilire che nel condominio non si possono costruire balconi, terrazze, lastrici che permettano di affacciarsi sul fondo del vicino se non sia rispettata la distanza di un metro e mezzo tra il fondo detto e la linea esteriore della nuova opera. Tuttavia, non è consentita nel caso in esame l’automatica applicazione delle norme in tema di distanze questo perché, qualora il proprietario di un appartamento sito in un condominio esegua opere sui propri beni facendo uso anche di beni comuni, indipendentemente dall’applicabilità o meno delle norme sulle distanze, è necessario stabilire se abbia utilizzato le parti comuni nei limiti di cui all’art. 1102 c.c In caso positivo l’opera si considera legittima anche senza il rispetto delle suddette norme. Dunque, nella fattispecie, la Corte territoriale era tenuta a verificare l’eventuale osservanza dell’art. 1102 c.c. e avendo omesso tale accertamento è incorsa nella violazione dell’art. 905 c.c Il ricorso è accolto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 25 giugno – 2 dicembre 2019, n. 31412 Presidente Oricchio – Relatore Fortunato Fatti di causa E.G. ha convenuto in giudizio Z.S. , esponendo di esser proprietario di un’unità abitativa sita al omissis , sottostante all’immobile in titolarità del convenuto che questi aveva ampliato il terrazzo annesso alla sua unità esclusiva, asportando l’ultimo tratto di un cassonetto ove erano alloggiate varie canne fumarie dell’edificio, le quali, per effetto delle modifiche apportate, scaricavano i fumi nella proprietà dell’attore. Ha dedotto che le nuove costruzioni non erano state autorizzate dall’assemblea, avevano determinato un’arbitraria estensione del diritto di veduta ed avevano modificato lo scarico dei fumi provenienti dalle canne fumarie. Il tribunale di Genova ha respinto la domanda, regolando le spese processuali. Il giudizio di appello, proposto da E.M. e nel quale ha spiegato intervento il condomino T.D. , si è concluso con la riforma della sentenza di primo grado. La Corte territoriale di Genova ha stabilito che la nuova costruzione alterava il decoro architettonico dell’edificio, ledeva i diritti di proprietà dell’appellante ai sensi dell’art. 840 c.c., violando inoltre la distanza imposta dall’art. 905 c.c Ha ritenuto che l’E. avesse titolo a dolersi dell’eliminazione del cassonetto per impedire che i fumi si disperdessero nell’atmosfera o ripiegassero sul suo terrazzo. Ha quindi ordinato la demolizione del terrazzo e il ripristino del vano ove erano alleggiate le canne fumarie. La cassazione di detta pronuncia è stata richiesta da Z.S. sulla base di un quattro motivi di ricorso, illustrati con memoria. E.A. , E.F. , Er.Fi. hanno depositato controricorso e memoria illustrativa. Con ordinanza interlocutoria del 30.11.2018 è stata ordinata la notifica del ricorso a T.S. , il quale ha depositato successivo controricorso. Er.An. è rimasto intimato. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la pronuncia stabilito che le modifiche al terrazzo ledevano il decoro architettonico, benché nessuna doglianza fosse stata sollevata in proposito dall’E. . Il secondo motivo censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contestando alla Corte di merito di non aver considerato che, sul balcone sottostante alla proprietà del ricorrente, l’E. aveva realizzato una veranda trasformata in volume abitabile, per cui occorreva tener conto anche delle modifiche precedentemente apportate alla facciata dell’edificio ai fini di accertare la lesione del decoro architettonico. Il terzo motivo censura la violazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 840, 873, 905, 907, 1117, 1127 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza ritenuto che l’ampliamento del balcone avesse violato i diritti di proprietà sulla colonna d’aria sovrastante il terrazzo dell’E. , non considerando che la linea esterna del balcone arretrava rispetto alla copertura della veranda del piano sottostante, in corrispondenza del quale non era possibile alcuna ulteriore costruzione. Sostiene inoltre il ricorrente che l’art. 840 c.c., non è invocabile in ambito in ambito condominiale e che la sua violazione non era stata dedotta a fondamento della domanda. Parimenti, la sentenza non poteva ritenere violato l’art. 905 c.c., senza valutare se la nuova costruzione fosse conforme ai limiti imposti dall’art. 1102 c.c Il quarto motivo censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contestando alla sentenza di aver disposto l’eliminazione del vano ove erano collocate le canne fumarie, sebbene il consulente avesse accertato che nel suddetto vano erano state illegittimamente posizionate le tubazioni di areazione dei bagni delle singole unità abitative, il che ne escludeva la natura condominiale, fermo inoltre le nuove opere non avevano compromesso la funzionalità degli scarichi. 2. Il primo, il secondo ed il terzo motivo, che vanno esaminati congiuntamente, sono fondati nei termini che seguono. La Corte territoriale ha ordinato la demolizione dell’ampliamento del balcone realizzato dai ricorrenti nonché il ripristino del vano e delle canne fumarie che vi erano precedentemente alloggiate. Riguardo al primo profilo la sentenza ha stabilito che la nuova opera alterava il decoro architettico, aggravava la preesistente servitù di veduta, era lesiva del regime delle distanze ai sensi dell’art. 905 c.c. e pregiudicava la proprietà esclusiva del resistente, che, ai sensi dell’art. 840 c.c., si estende in altezza usque ad sidera . Dall’esame della citazione di primo grado, che è consentito dalla natura del vizio denunciato, si evince però che l’E. aveva richiesto la demolizione dell’ampliamento del balcone ed il ripristino del vano ove erano posizionate le canne fumarie, dolendosi esclusivamente del fatto che a l’opera non era stata autorizzata nè dal proprietario dell’unità abitativa sottostante, nè dall’assemblea condominiale quanto allo sconfinamento del balcone b il mutamento dell’originario stato dei luoghi aveva determinato un’estensione arbitraria del diritto di veduta nella proprietà altrui, ulteriormente aggravato dalla copertura della canna fumaria condominiale c era stata compromessa la sicurezza dell’edificio d la nuova opera era stata realizzata in assenza di concessione edilizia cfr. atto di citazione, pag. 4 . La domanda non conteneva - quindi - alcuna esplicita doglianza riguardante la lesione del decoro architettonico o la violazione dei diritti di proprietà esclusiva dell’E. ai sensi dell’art. 840 c.c Di conseguenza la Corte di appello, nel dichiarare l’illegittimità del balcone anche sotto profili non dedotti e non allegati della domanda di demolizione, ha pronunciato ultra-petita, incorrendo nella violazione denunciata. 2.1. Quanto alla violazione dell’art. 905 c.c., la sentenza si è limitata ad osservare che nel condominio edilizio non si possono costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici e simili muniti di parapetto che permettano di affacciarsi sul fondo del vicino se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere , rilevando inoltre che ai sensi dell’art. 873 c.c., le costruzioni su fondi finitimi devono rispettare la distanza dalle costruzioni fronteggianti di mt. 3,00 cfr. sentenza pag. 4 . Non era tuttavia consentita l’automatica applicazione delle norme in tema di distanze dalle vedute o tra le costruzioni , posto che tali disposizioni sono applicabili al condominio solo se compatibili con la disciplina degli artt. 1117 c.c. e segg. Cass. 5196/2017 Cass. 10563/2001 Cass. 4844/1988 Cass. 682/1984 . Qualora il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere sui propri beni facendo uso anche di beni comuni, indipendentemente dall’applicabilità della disciplina sulle distanze, è necessario stabilire se, in qualità di condomino, abbia utilizzato le parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 c.c In caso positivo, l’opera deve ritenersi legittima anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue Cass. 6546/2010 Cass. 7044/2004 Cass. 360/1973 l’art. 1102 c.c., è - difatti - specificamente destinato a regolare i rapporti condominiali e quindi prevale sulle disposizioni di cui agli artt. 905 c.c. e segg La Corte d’appello era quindi tenuta a verificare l’eventuale osservanza, da parte del ricorrente, dell’art. 1102 c.c. e a dar conto delle ragioni dell’eventuale superamento dei limiti imposti dalla norma, per cui, avendo omesso del tutto siffatto accertamento, è incorsa nella violazione dell’art. 905 c.c 3. Il quarto motivo non può essere accolto. La sentenza ha stabilito che la modifica del sistema di scarico delle canne fumarie e degli sfiati ospitati nel vano posto a ridosso del balcone non solo era lesiva dei diritti condominiali, ma arrecava anche un danno alla proprietà esclusiva ai sensi dell’art. 2043 c.c. cfr. sentenza pag. 6 , poiché i fumi, invece di disperdersi nella atmosfera così come in passato, convergevano sul terrazzo dell’E. . Ha difatti soggiunto che il resistente non solo in qualità di condomino, ma anche in forza dell’art. 2043 c.c., aveva diritto di pretendere che il suo possesso non fosse turbato da esalazioni moleste che si sversavano sul suo terrazzo cfr. sentenza pag. 6 . La domanda di ripristino dello stato dei luoghi è stata accolta pertanto - sulla base di una duplice argomentazione, di cui l’una quella concernente l’illiceità dell’opera alla stregua dell’art. 2043 c.c. - era da sola idonea a sorreggere la decisione, per cui, non essendo stata censurata, è divenuta definitiva, comportando l’inammissibilità delle ulteriori contestazioni. I riscontrati effetti dannosi della nuova costruzione giustificavano inoltre - il ripristino dello stato dei luoghi, occorrendo disporre la cessazione delle cause delle immissioni dei fumi e degli sfiati nella proprietà esclusiva dell’E. . Era difatti irrilevante che il vano costituisse un bene comune o che ne fosse stata precedentemente alterata la destinazione, venendo in rilievo le conseguenze lesive delle modifiche apportate ed il loro carattere pregiudizievole per la proprietà esclusiva del resistente. Sono - in definitiva - accolti il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, mentre è respinto il quarto. La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Genova, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Genova, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.